Se nel rito civile la prassi del giudizio telematico è ormai condivisa e apprezzata da tutte le parti, sul versante penale l’iter gestazionale prosegue con grande difficoltà, nonostante gli encomiabili sforzi profusi da chi se ne sta occupando “in progress”.
Ciò non è stato per il procedimento civile che, una volta entrato a regime e “digerito” nella prassi operativa anche dagli avvocati più anziani, ha superato ogni resistenza ed ha comportato un indubbio snellimento di prassi e tempi, al punto che è opinione condivisa quella che “indietro non si torna”.
Desidero subito sgombrare il campo da qualunque sospetto di “luddismo” o di snobismo corporativo da parte degli avvocati penalisti che certamente non lo meritano e che anzi, storicamente, sono sempre stati all’avanguardia nel recepimento delle novità tecnologiche, in particolare per la ricerca della prova.
E nello stesso solco si muove questo mio contributo, ovvero quello di offrire un umile apporto alla costruzione di solide fondamenta per il processo che verrà.
Ed è questa la medesima prospettiva che anima culturalmente il Circolo dei Giuristi Telematici ed anche le componenti rappresentative della avvocatura penalistica fra le quali, con piena personale contezza, posso evidenziare l’Unione Nazionale delle Camere Penali.
Fatta questa doverosa premessa, è tuttavia necessario affermare con nettezza come i primi, incerti e contradditori vagiti del “penale telematico” siano stati esclusivamente subiti dalla avvocatura.
E allora, ferma la necessità che tutte le parti permangano attive e grintosamente fiduciose per il futuro e che non si arrestino i contributi “de jure condendo”, è necessario rappresentare “dall’interno” lo scetticismo, se non le preoccupazioni, dalla componente penalistica verso le preannunziate riforme.
Non sembri, a questo punto, banale il richiamo alle differenti specificità che differenziano le due giurisdizioni, con particolare riguardo al dato genetico ed alla divergenza strutturale.
Il rito civile si basa sull’apporto probatorio di due parti in conflitto che si rivolgono al giudice terzo, rispettivamente assumendo su di se l’onus probandi.
Infatti nel processo telematico civile la simmetria procedimentale resta immutata perfino nella ipotesi di un petitum che involga come parte un soggetto pubblico, anche con riferimento a sanzioni di inutilizzabilità e decadenze.
Ciò non è, ovviamente nel penale, con particolare riferimento alla attività delle Procure, la cui natura di “parte pubblica” risente della perennemente irrisolta problematica della mancata separazione delle carriere.
Ed è proprio in forza della contiguità tra la Pubblica Accusa ed il Giudice che dovrebbe essere “Terzo”, che i primi incerti passi del penale telematico si sono prospettati verso l’avvocatura in maniera asimmetrica, quando non vessatoria.
Non intendo qui riportare approfondimenti di carattere strettamente processual-penalistico relativi alla dinamica procedimentale per i quali non mancherà l’occasione in sedi più specifiche, bensì delineare futuribili prassi virtuose, partendo dalle attuali distorsioni applicative che sono la fonte della serpeggiante e diffusa sfiducia del ceto forense penalistico verso il “nuovo che avanza”.
Mancanza di reciprocità e aspetto delle notifiche
Si tratta proprio dei primi effetti della introduzione di “adeguamenti tecnologici” nel corpo vigente dell’attuale rito penale. Sul piano metodologico dall’analisi della questione “notificazioni ed avvisi” perverremo al secondo e più importante aspetto della assenza di simmetria processuale.
Sento il bisogno di motivare l’utilizzo della espressione “distorsioni applicative” perché per onestà intellettuale si deve premettere come fin dagli anni 70, in quelli che furono i primi progetti di introduzione di prassi tecnologicamente innovative, fu espressamente indicato quello della «semplificazione del sistema delle notifiche con possibilità di adottare anche nuovi mezzi di comunicazione», il tutto al fine di garantire maggiore celerità e parità tra i soggetti e la riduzione delle forme processuali attraverso procedimenti semplificati di comunicazione.
I primi vagiti intertemporali applicativi del processo penale telematico, purtroppo recitano tutt’altro.
Chiunque si accosti a questo contributo, non avrà certamente difficoltà a rappresentarsi come il vertiginoso passaggio dall’analogico al digitale abbia certamente comportato delle difficoltà di recepimento nella amministrazione della giustizia, con particolare riferimento al processo penale.
Personalmente ho conservato copia di una delle prime sentenze rese dalla Corte di Cassazione in materia di diffamazione a mezzo mail, battuta a macchina con l’apposizione a penna del simbolo “@” che evidentemente non esisteva sulle vetuste Olivetti ministeriali.
Perché questo scritto non resti un settorializzato “cahier de doleances”, ma realizzi un contributo di propositività ed approfondimento, è necessario velocemente ripercorrere l’iter normativo che regola il futuribile processo penale telematico.
Come nasce il processo penale telematico?
E’ noto come, sul piano tecnico/gestionale, sono state introdotte due diverse piattaforme il SICIP (Sistema Informativo della Cognizione Penale) precluso all’utente “privato” in quanto ha la funzione di coordinare i registri informatici di tutte le Procure ed il SNT (Sistema Notifiche Telematiche Penali).
Questi sistemi, entrati a pieno regime dal 2015, tendono l’uno ad una razionalizzazione ed immediata accessibilità condivisa di un unico registro delle notizie di reato, l’altro a consentire le notificazioni a persona diversa dall’imputato attraverso “l’uso di mezzi tecnici idonei”.
Tale definizione “aperta” è evidentemente frutto della consapevolezza del legislatore del 2012 di non potere inseguire con una analitica definizione normativa il turbinoso sviluppo evolutivo della tecnologia.
Ed è chiaro come lo sforzo di adeguamento normativo, e di conseguenza la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, abbia dovuto fare i conti, in tema di nullità relative ad avvisi e notifiche, anche con distorte prassi applicative di fax staccati, di mail non recapitate, di notifiche a mezzo di sms e/o Whatsapp e, più recentemente, di PEC inviate ad avvocati omonimi magari di altro Foro, oppure ancora di PEC inviate al giusto destinatario ma con allegati in PDF relativi ad altri processi, con altra data e diversi destinatari (Sez.III n. 50372/2016 dell’8.11.2016) .
La casistica del rapporto tra atti processuali e mezzi tecnici sarebbe affascinante (si veda per tutte l’irrisolta questione delle modalità di trasmissione delle istanze di rinvio) ma ci porterebbe lontani dallo “specifico” del processo telematico.
Sul piano procedurale la L. 221/2012 risente negativamente, a mio parere, di una promiscuità genetica. Infatti, nello stesso art. 16 comma 4, in tema di notificazioni sono regolate le modalità sia delle notifiche in sede civile, rese “equidistanti” dalla evidente terzietà del Giudice rispetto alle parti, che, in materia penale, quelle da effettuarsi a persona diversa dall’imputato.
Non è stata quindi considerata la specificità del processo penale, ed il legislatore ha colpevolmente omesso qualunque valutazione sul piano della tutela delle garanzie processuali intimamente connesse ai diritti difensivi.
Nell’ambito di tale previsione normativa sono state indicate, quali norme di riferimento gli artt. 148 comma 2 bis e 150 cpp, afferenti a notificazioni da effettuarsi da parte del Giudice e, purtroppo, anche l’art.151, che si riferisce alle notifiche che promanano dal Pubblico Ministero.
In una relazione del Massimario espressamente si legge “In ordine alla possibilità che il pubblico ministero possa avvalersi di questo tipo di notificazione urgente ex art. 149 cod. proc. pen. per via telematica la questione parrebbe non avere rilievo pratico. L’art. 4, comma 3, della l. n. 24 del 2010 rinvia infatti alle notificazioni disposte dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 151 c.p.p., consentendo così di fatto l’utilizzo del mezzo telematico anche per le notificazioni della parte pubblica, senza prevedere alcun limite.”
Ed è proprio in questa illimitata estensione che, a parere di chi scrive, si concentrano le zavorre che impediscono lo sviluppo di un modello fiduciosamente condiviso del processo penale telematico, come di seguito meglio chiarito.
L’art. 148, comma 2 bis, cod. proc. pen. è esclusivamente applicabile per gli atti che devono essere notificati ai difensori e prescinde dalle prescrizioni formali dettate per rendere certa la ricezione dell’atto da parte del suo destinatario, evidentemente in considerazione delle qualità professionali del difensore, nonché, presumibilmente, della maggiore affidabilità dei mezzi tecnici di trasmissione degli atti intervenuta nel frattempo.
Sul punto si espressero con nettezza le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la nota sentenza Pedicone del 28.42011, n. 28451.
Nella stessa sentenza si legge “In tal senso si è ravvisato un nesso tra l’omogeneità della disciplina prevista per la trasmissione degli atti tra organi dell’amministrazione giudiziaria e tra questi ultimi e la categoria professionale degli avvocati.”, ovverossia un coordinamento Tra SICIP e SNT. Sebbene l’art. 150 cod. proc. pen. quale norma aperta in rapporto con il diffondersi di nuovi mezzi di comunicazione, avrebbe di per sé consentito l’adeguamento del sistema delle notificazioni allo strumento internet, l’art. 4, comma 3, della l. n. 24 del 2010 stabilisce espressamente che le notifiche di cui all’art. 150 cod. proc. pen. possano effettuarsi per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata che i professionisti iscritti agli albi sono tenuti a comunicare. Si è già detto di come, ai sensi dell’art. 150 cod. proc. pen., il presupposto perché si possa procedere a tali notificazioni è che lo “consiglino circostanze particolari”.
Tale norma, peraltro, inquadrata in una prospettiva di fruibilità e razionalizzazione, specificatamente nelle indicazioni di forma di cui all’art. 150 cpp, nel caso concreto, si preoccupa che il mezzo tecnico sia idoneo per l’effettuazione delle notifica telematica e che questa possa soddisfare l’esigenza di portare il contenuto dell’atto a conoscenza del destinatario, proceduralmente qualificato come “persona diversa dall’imputato”.
Questo, in assoluta ed incompleta sintesi, il corpus normativo che ha dato luogo alle attuali difficoltà legate al futuribile processo telematico.
Lungi da chi scrive, ma anche dalla totalità del ceto forense, la volontà di estenuanti battaglie conservative e di retroguardia, non vi è dubbio alcuno che tali norme siano state concepite in un processo di razionalizzazione di costi e tempi che non può essere ostacolato, ma anzi deve essere supportato e fatto proprio da chi si occupa di penale.
Per un avvocato abituato a battagliare con la toga addosso, la tutela dei diritti della difesa è il “logos” su cui conformare ogni esigenza procedurale, funzionale ed economica, con prevalenza anche sulle seduzione della comodità di un futuribile procedimento che veda eliminate code, copie cartacee e file chilometriche davanti alla cancellerie.
Per fare questo, sarà indispensabile mettere mano al codice di rito, eliminando distorsioni che, vuoi per il mancato coordinamento con un codice pensato e partorito in era analogica, vuoi per le forzature allegramente e spudoratamente poste in essere dalle cancellerie delle Procure, finiscono per comprimere l’esercizio del diritto di difesa e l’effettività della stessa.
Quali le cose da migliorare?
Al momento, infatti, l’introduzione delle notifiche telematiche ha creato un vero e proprio Far West, che ha posto gli avvocati sotto assedio. Per dare quindi concretezza e conclusività a queste note, si rende quindi necessario illustrare due filoni argomentativi, l’uno legato alla descrizione delle presenti distorsioni contingenti, l’altro finalizzato de iure condendo ad attenuarle.
Per quanto attiene il primo punto, è necessario chiarire come, ai sensi dell’art. 16 comma 4 del DL 179/12 poi convertito nella L. 221/2012 preveda la notificazione a mezzo PEC a quegli indirizzi che risultino da elenchi pubblici e comunque accessibili dalla P.A.
In seconda battuta bisogna poi rilevare come la notifica telematica a mezzo PEC sia stata concepita, nei casi e con le specificità indicate, come alternativa rispetto alle notificazioni tradizionali, a mezzo di ufficiale giudiziario.
Tale alternatività voleva, nelle intenzioni del legislatore, comunque individuare la notifica a mezzo PEC come sostitutiva di quelle effettuate a mezzo fax,telefono o telegrafo.
Infatti secondo le Sezioni Unite, “l’uso di mezzi tecnici idonei” per le notificazioni o gli avvisi ai difensori, previsto dall’art. 148, comma 2 bis, cod. proc. pen., costituisca un sistema ordinario e generalizzato di notificazione degli atti, e, dall’altra, come, con specifico riferimento alle notificazioni per via telematica, sia la stessa legge a ritenere il mezzo in questione idoneo allo scopo, allorquando il Ministro della Giustizia emetta il decreto ministeriale che attesti l’idoneità funzionale dei servizi di comunicazione dei singoli uffici giudiziari.”
Ma ciò non è avvenuto con il risultato che la notifica telematica, in luogo di un sistema ordinario e generalizzato, allo stato è applicata come “un sistema alternativo” in quanto sono contemporaneamente praticate tutte le forme di notifica, nessuna esclusa.
Tutto ciò determina, per un avvocato penalista, la necessità di tenere sotto continuo monitoraggio la PEC, la email ordinaria, il telefono cellulare acceso anche di notte, ed il fax, simulacro tecnicamente obsolescente che tuttora troneggia nello studio, perché ancora molto adoperato dalle cancellerie, spesso in maniera “alternativamente integrativa” in funzione del grado di “digital divide” dell’impiegato di turno.
E questo è un primo aspetto di rilevante importanza pratica, atteso che la “natura” illimitatamente integrativa del dettato di cui all’art. 151 cpp ha consentito a tutte le Procure di procedere alla notifica di qualunque atto, senza porsi il problema del carattere recettizio di tali notifiche.
Ne consegue che questo “modus operandi” abbia determinato nei penalisti una vera e propria sensazione di assedio telematico, con particolare riferimento ad alcuni passaggi procedimentali di cui, in maniera colpevolmente sommaria accennerò di seguito.
Preciso, affinché non ci siano equivoci, che non mi riferisco alle consolidate prassi di urgenza che riguardano direttissime, riesami e sequestri, che sono direttamente connesse alla operatività di un penalista militante. Bensì a comunicazioni di nessuna urgenza, ad esempio proroga indagini, depositi fuori termine o decreti di citazione per udienze fissate ad oltre un anno di distanza, che ugualmente, in base all’arbitrio gestionale delle cancellerie, irrompono nella vita privata a tutte le ore del giorno e della notte , accompagnate da minacciosi preannunci telematici o telefonici.
Proprio nella stretta contemporaneità con la redazione di queste note, è stata resa notizia della sentenza francese che ha sancito per i dipendenti il Perché “diritto alla disconnessione” al di fuori dell’orario di lavoro.
Ecco, un avvocato penalista non può disconnettersi mai, ormai anche con riferimento ad atti di qualunque tipo, perché, all’atto della ricezione del temuto avviso, necessariamente bisogna interrompere qualunque cosa, connettersi ed andare a vedere di che si tratta. Un qualunque penalista preferirà alzarsi dalla poltrona del teatro o del cinema, farsi dare del cafone per non avere spento il cellulare, piuttosto che restare con l’ansia di sapere quali nuove reca l’avviso di ricevimento della PEC, manifestatosi sul cellulare alle 22.30!
Ma ancora non basta, perché oltre a ciò, la mattina dopo bisogna correre molto presto a studio per vedere se dal fax spunta qualche temuto foglio!
Ma oltre agli aspetti gestionali, che rilevano umanamente e professionalmente in quanto si riverberano sulla qualità del lavoro, mi piace soffermarmi sull’aspetto più strettamente legato alle ricadute procedurali, con ciò avvicinandomi al secondo effetto “vessatorio” introdotto da questi primi vagiti del processo penale telematico, ovvero quello della mancata previsione di una normativa che preveda una prassi di reciprocità.
Per reciprocità, in relazione a quanto stiamo trattando, si intende l’aspetto pratico di una piena, reciproca fruibilità del mezzo “tecnico” da parte del difensori, che, allo stato è preclusa.
Ovviamente resta fermo ed intangibile il richiamo agli artt. 3 e 111 comma 3 Cost.ne e all’ art. 6 CEDU, anche avuto riguardo al principio sovrannazionale della “ègalité des armes”, che è evidentemente precluso, rispetto al processo penale telematico, da una vigenza di norme che, per quanto legate al contingente e svincolate dalla organicità di un progetto complessivo, semplicemente impongono all’avvocato di subire le vessatoria deregulation di notifiche ed avvisi in entrata, senza poterla compensare con la reciprocità dell’utilizzo dello stesso mezzo per le stesse, medesime funzioni.
Infatti nel codice vigente, che per gestazione ed entrata in vigore è totalmente analogico, non si è pensato di coordinare le notifiche telematiche verso l’avvocato, con la possibilità che questi possa, a sua volta, depositare gli atti con la stessa prassi.
Giova a questo punto ricordare, soprattutto a chi non ha pratica quotidiana con il codice penale di rito, come permangano istituti procedimentali e processuali, che impongono alla parte privata, che il deposito di taluni atti debba materialmente avvenire solo e soltanto presso la cancelleria del giudice a quo, ed in forma cartacea.
Fra questi sono annoverati anche passaggi di non poca rilevanza quali i riesami cautelari e reali (309,324 cpp) e le relative impugnazioni di legittimità (310 e 325 cpp) nonché le memorie ex art. 121 cpp, e per i cosiddetti “motivi nuovi” ex art. 585 cpp. le richieste di revisione e riparazione di errori giudiziari (633,645 cpp) e riparazione per ingiusta detenzione (315 cpp). Ugualmente le impugnazioni di merito, pur potendo essere depositate anche “fuori sede”, restano comunque vincolate alla forma cartacea.
E’ evidente come, in una prospettiva di futura implementazione del processo penale telematico, dovrà essere indispensabile rimettere le mani su questi istituti procedimentali, prevedendo, su base telematica, le modalità di deposito e di dialogo con le cancellerie.
Nel continuo alternarsi tra diritto futuribile e storture correnti, è però indispensabile chiarire come, allo stato le Procure possano notificare l’atto “presupposto” per via telematica alla PEC del difensore (anche quello d’ufficio), ma questi debba necessariamente depositare l’atto “conseguente” in forma cartacea e presso la cancelleria del PM.
Si pensi alla richiesta di interrogatorio post 415 bis (ricevo per PEC l’avviso di deposito ma devo necessariamente depositarla in cancelleria ed in cartaceo) e soprattutto alla fase procedimentale racchiusa negli artt. 408/410 cpp, ovvero la comunicazione della richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero.
Questa fase procedimentale è quella in cui, secondo me, si realizzano le più eclatanti violazioni della simmetria tra accusa e difesa.
L’avviso del deposito della richiesta di archiviazione deve essere notificato alla p.o. che abbia nominato un difensore presso quest’ultimo, domicilio ex lege ai sensi dell’art. 101 cpp.
Nel termine di gg. 10 il difensore deve acquisire copia degli atti e depositare l’opposizione presso la cancelleria del PM, il quale avrà poi l’onere di trasmettere il tutto al GIP competente.
Nella vigenza delle norme attuali, il difensore si vede notificare telematicamente l’avviso, non ha modo di accedere telematicamente al contenuto della richiesta, né di vedere gli atti di riferimento.
Deve quindi acquisirli in cartaceo e, soprattutto, deve depositare l’opposizione materialmente ed in forma cartacea presso la cancelleria del Pubblico ministero richiedente, perché la normativa, contrariamente all’appello. non consente il deposito “fuori sede”.
Invero, recentemente la Cassazione ha determinato il termine di 10 giorni come ordinatorio, tuttavia, appare di totale evidenza come, in relazione a questa fase procedimentale, sia eclatante lo squilibrio introdotto dalla notifica telematica, ove solo si ponga mente alla carenza di reciprocità.
Altro che “ègalité des armes”!
Perché il processo penale telematico possa essere una risorsa per l’avvocatura si dovranno necessariamente colmare queste ed altre lacune, con coraggiose modifiche dell’attuale codice di rito ed aggiustamenti da effettuarsi con perizia e chirurgica precisione.
Il principio dovrà essere quello della “simmetria telematica” fra le parti e sarà indispensabile operare con forza e determinazione affinchè ciascuno possa telematicamente ricevere e depositare, in ogni fase e grado delle indagini e del processo.
In difetto, il processo penale telematico non decollerà mai, il che costituirebbe un arretramento antistorico ed antieconomico, ancor più ingiustamente preclusivo della richiesta di legalità, sollecita nei tempi e garantita nelle forme, che proviene dal paese reale.
Ribadisco che nel processo telematico civile la simmetria procedimentale resta immutata perfino nella ipotesi di un petitum che involga come parte un soggetto pubblico, anche con riferimento a sanzioni procedurali di inutilizzabilità e decadenze.
Ma un qualunque dialogo telematico determina, necessariamente un livello condiviso di interlocuzione, il che pare preclusivo delle antistoriche pretese corporative di “conservazione” di certa magistratura.
Ed è quindi questa resistenza che preclude l’adozione di un modello procedimentale orizzontale e paritario, e non certamente la tiepida accoglienza dell’avvocatura penalista.
Chiunque si rende conto che l’adozione di tali norme realizzerebbe una sorta di obbligato piano inclinato verso la separazione delle carriere, ed è questo il vero ostacolo “politico” all’adozione di un non più procrastinabile modello condiviso di processo penale telematico.
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