Serve formazione per lo sviluppo delle competenze digitali per la PA?

Affermazione: le competenze e la cultura digitale della PA italiana non sono migliori di quelle dei suoi utenti.

Osservazione: il capitale umano digitale italiano è tra i più poveri in Europa, al venticinquesimo posto su ventinove Paesi. Un indice (0,42 su 1) che vale meno della metà della Finlandia (0,87), il paese più avanzato. Una delle variabili che distingue la performance della Finlandia è la percentuale di adulti che partecipano a iniziative di lifelong learning (25% contro il 7% dell’Italia).

Considerazione: la formazione degli adulti che lavorano ha ancora un senso e un effetto sulla capacità di essere competitivi nell’economia e nella società digitale.

Formazione permanente non solo di chi lavora nel settore pubblico, certo, ma la PA conta 2 milioni di potenziali destinatari con oltre 200.000 figure dirigenziali che vanno dagli esperti legali ai chirurghi, ai magistrati, agli ufficiali, ai segretari comunali…Giovani con una età media di 52 anni! Funzionari che, comunque, devono essere capaci di innovare e produrre servizi ancora per 15 anni (sempre in media).

Sembra che non sia un problema di risorse economiche visto che i fondi strutturali 2014-2020 ancora non sono diventati progetti esecutivi. Servono progetti settoriali e territoriali per lo sviluppo di tutte le competenze digitali utili.

La sfida è impegnativa e il tempo limitato (quello che resta fino al 2020):

  • sviluppare competenze orizzontali per l’innovazione della PA (e-leadership)
  • sviluppare competenze tecnologiche verticali, aggiornare e aggiungere le nuove professioni (big data, sicurezza…)

Tre anni e 2 milioni di funzionari pubblici richiedono il concorso di tutto il mondo della formazione e consulenza, pubblico e privato, però non si può affidare, a cento o mille diversi soggetti, questo compito senza regole e linee guida, senza la presenza di azioni di sistema che traccino la strada.

Tutti i potenziali destinatari, senza distinzione di razza amministrativa, nord o sud, città o montagna meritano la garanzia di un intervento adeguato, l’inclusione deve riguardare tutti con pari risorse, pari opportunità e pari qualità. Serve un minimo comune denominatore qualitativo, un modo di chiamare le forme di intervento e di presentare le opportunità di apprendimento digitale esplicito e adeguato allo stato dell’arte della formazione.

Da dove si inizia? Come e cosa definire? Chi lo definisce?

La prima sfida è condividere un modello formativo che comprenda e integri tutte le diverse modalità con le quali si può mettere in campo un sistema di formazione permanente:

  • quelle massive dei mooc per raggiungere il più ampio numero di destinatari con il costo più basso e una base di conoscenze comune;
  • quelle che integrano la formazione tradizionale con le metodologie e tecnologie più avanzate, dai convegni e i corsi in aula ai webinar, le non conferenze e gli eventi partecipati;
  • quelle di laboratori e workshop mirati alle azioni e ai progetti di cambiamento che coinvolgono gruppi definiti di partecipanti di specifiche amministrazioni o unità organizzative;
  • fino alla formazione individuale, l’accompagnamento, il coaching dei dirigenti che sono responsabili delle azioni di cambiamento e innovazione chiave.

Un esempio concreto di questo approccio integrato, che potrebbe essere esteso e arricchito con ulteriori elementi, è il percorso di sviluppo delle competenze digitali avviato dalla regione Sardegna sulla e-leadership e gli open data.

Costruiamo insieme un glossario che definisca seminario o workshop o mooc in modo che tutti, produttori e consumatori, intendano la stessa cosa. Riprendiamo in mano e aggiorniamo le obsolete linee guida per l’e-learning nella PA, perché la formazione per il digitale deve essere, soprattutto, digitale!

La seconda sfida è la trasparenza e l’accountability delle singole azioni formative, per le quali è indispensabile stabilire degli standard:

  • di costo (siamo sempre in tempi di spending review)
  • di tracciabilità
  • di qualità
  • di valutazione.

Un tempo il MIUR aveva fissato in 30€ il costo di un’ora partecipante per i corsi di alta formazione. Ovviamente servono costi standard differenziati. Per esempio tutti gli attuatori dovrebbero fare riferimento agli stessi parametri di costo:

  • la formazione massiva (di qualità) dovrebbe costare tra 1,5 e 3€ ora partecipante e le unità multimediali prodotte raggiungere almeno 10.000 destinatari
  • i seminari on line (webinar) dovrebbero costare tra i 3 e i 6€ ora partecipante e puntare a raggiungere almeno 1.000 destinatari
  • la formazione integrata (on line e in presenza) e i convegni potrebbero costare tra i 6 e i 12€ ora partecipante ed essere pensati per almeno 200 destinatari
  • gli eventi formativi tradizionali o partecipati (seminari, laboratori, attività facilitate…) dovrebbero essere pianificate per gruppi di 10-20 partecipanti (mi pare che ci siano già standard FSE di questo tipo) e potrebbero costare mediamente 12-24€ ora partecipante
  • la formazione uno a uno dovrebbe utilizzare al meglio le competenze interne alla PA e restituire alle amministrazioni (o anche alle imprese) che mettono a disposizione i loro migliori funzionari un vantaggio (servizi, voucher formativi, finanziamenti…) adeguato e incentivante.

Tutti i partecipanti dovrebbero essere identificati con SPID e registrati in un sistema pubblico e aperto di presentazione degli eventi, con il tracciamento di chi partecipa a cosa e di chi fa lezione su cosa, con una rilevazione del gradimento pubblica e omogenea e con la pubblicazione immediata dei materiali.

Tutti gli eventi devono essere valutati on line dai partecipanti con un questionario di reazione con la stessa metrica.

La formazione deve essere raccordata ad azioni di condivisione della conoscenza:

  • comunità di pratiche e professionali
  • wiki e domande&risposte condivise
  • repository in formato e-book o pdf di manuali, guide, ricerche, job aid ecc.
  • cataloghi di videolezioni, learning object, interviste, esercitazioni, test…

Ovviamente tutto ciò che viene prodotto con il finanziamento pubblico deve essere aperto e disponibile per il riuso.

Ovviamente ogni progetto dovrebbe avere un bel cruscotto per l’accountability che in tempo reale aggiorna i dati sullo stato di avanzamento, gli obiettivi raggiunti, gli indicatori di produzione e risultato, i costi unitari, i soldi impegnati e pagati.

Ovviamente queste sono idee in libertà e bisognerebbe lavorarci sopra…

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