Meglio leggenda che donna vera

Alla vigilia di un 8 marzo di qualche anno fa, a cena in uno dei locali più tipici nei vicoli della vecchia Salerno, venni introdotto allo splendore di Trotula della famiglia normanna dei De Ruggiero, la più nota delle Mulieres Salernitanae. Innovatrice come donna e come medico, nominata per secoli in tutta Europa (anche con diverse varianti: Trotta, Trocta, Troctula, Tortula…) come riferimento irrinunciabile dell’arte medica, fu bersaglio postumo dell’invidia dei mediocri che misero in dubbio perfino che fosse mai esistita.

Quel giorno in ospedale

“Nonna, sono Trotta, sono al lavoro, ti chiamo stasera… tranquilla!”.

Sono le prime parole che sento man mano che metto a fuoco uscendo dall’anestesia. C’è un sacco di gente in camice e casacche dai diversi colori intorno a me. Trotta mi punta, denotando entusiasmo: “Bene ci siamo svegliati! Quanto fa…” e comincia a chiedermi le tabelline via via più complicate.

Si presenta: “Sono l’anestesista, Valeria”. Uhm, ma non aveva detto “Trotta” parlando con la nonna? La sedicente Valeria si gira verso uno che riempie una cartella e gli detta: “Paziente lucido e collaborativo”. Poi mi sorride e spiega che solo la nonna la chiama Trotta… un soprannome, lessico familiare insomma. Ma che ora devo stare buono e recuperare lentamente. Caccia tutti dalla stanza, dice che un solo familiare può restare, ma senza stancarmi. Io mi sento riposatissimo, sono curioso e insisto: “Perché “Trotta”? Lei è una che scalpita, corre, trotta appunto?”. No, mi spiega, Trotta da Trotula, donna della medicina della scuola salernitana… “da bambina medicavo le bambole e mia nonna è… di Salerno”.  Ma ora basta, il paziente (che sarei io, che paziente non sono) deve riposare. Sì, vabbè… ma il tempo di digitare “Trotula” sull’IPhone me lo prendo; leggo, tappo su “immagini” e mi riaddormento con la visione di una donna in un abito verde che finisce col confondersi con il colore della tuta dell’anestesista Valeria.

Quel giorno a Salerno

Qualche mese dopo sono a Salerno, per lavoro. Vado a cena con Enrico, un mio collega e Sandra, la sua (nuova) fidanzata, ricercatrice universitaria; lui indigeno, lei napoletana. Chiedo loro di Trotula. Lui magnifica la grandezza della scuola medica salernitana: agli inizi dell’XI secolo, poco dopo l’anno 1000 era un centro culturale d’avanguardia, al di fuori del controllo della Chiesa: era anche l’unica Università aperta alle donne in tutto il continente europeo. Ma per quanto riguarda Trotula, Enrico tende a rinchiuderla nella nicchia delle “esagerazioni”, forse anche delle leggende.

“Erri’, stai pazziann’?” reagisce la fidanzata, che fino all’elogio della scuola lo aveva seguito compiaciuta. E il tono si fa vibrante con echi di femminismo anni 70: “Trotula De Ruggiero era una donna reale e vera: medico, moglie di medico, madre di due medici e docente della Scuola salernitana. La più famosa delle Mulieres Salernitanae!”; a ogni titolo di merito che scandisce, batte di taglio la mano sul tavolo. Poi si volta verso di me e continua con un ritmo crescente: un’innovatrice Trotula, una scienziata che rifiutava le pratiche magiche che caratterizzeranno molti protocolli medici maschili ancora per secoli.

“Chiaro?” chiede girandosi verso Enrico spiazzato dalla foga della compagna.

Sandra prosegue raccontando di come Trotula comprendesse e propugnasse l’importanza della prevenzione, dell’igiene e dell’alimentazione equilibrata accompagnata da una regolare attività fisica; studiasse le patologie ginecologiche, scoprendo nuovi metodi per rendere il parto meno doloroso; approfondisse aspetti pediatrici relativi alla cura di neonati e bambini, individuando le condizioni igieniche fondamentali per contrastare la mortalità infantile.
Il tono della fidanzata poi si arricchisce di sfumature d’ammirazione, e ironiche nello stesso tempo, quando sottolinea l’importanza degli studi sulla infertilità, sia femminile sia maschile: “Sì, fu Trotula la prima a sostenere che poteva anche non dipendere dalla donna. Dedicò studi approfonditi alla sessualità e alle malattie veneree, chiamando le cose con il loro nome e svelando anche le lacune sessuali del maschio dominante”.

Stavolta il  “Chiaro?” di Sandra deve suonare piuttosto colpevolizzante al mio amico che biascica un sottomesso “certo, certo” e propone, porgendoci i menù, di dedicarci alla scelta dei piatti.

Lei ignora l’invito. E continua: questi studi e queste scoperte sono descritti nell’opera più conosciuta di Trotula De Ruggiero: il De passionibus Mulierum Curandarum (sulle malattie delle donne), conosciuto col nome di Trotula Major. Suo anche un trattato sulle malattie della pelle e sulla loro cura, De Ornatu Mulierum, detto Trotula Minor, dove descrive rimedi per il corpo, indica pomate e erbe medicamentose per il viso, i capelli, le parti più intime.

La bellezza insomma è il segno visibile di un corpo sano e in armonia con il creato: erbe, pomate naturali, infusi, bagni, massaggi sono cure utili alla donna per vivere in maniera equilibrata il rapporto con il proprio corpo e la propria sessualità e, di conseguenza, quello con la propria psiche. Una visione olistica a metà dell’XI secolo, ad opera di una donna “illuminata e illuminante!”

“Sì… certo, chiaro!”, tenta di precederla stavolta Enrico che ci prova nuovamente a interrompere la lectio magistralis, proponendo di assaggiare la pasta e fagioli, “vera specialità della casa!” Ma non si ferma così facilmente una ricercatrice che della storia della medicina (e delle donne) ha fatto il suo campo d’indagine.

Sandra racconta dei testi di Trotula trascritti manualmente per quattro secoli e pubblicati a stampa nel ‘500. Alla fine dell’800 poi gli storici hanno affermato definitivamente l’autorevolezza degli studi di Trotula e l’autenticità delle sue scoperte, smentendo uno storico tedesco, Karl Sudhoff, che ne aveva dubitato indulgendo alla tesi “maschilista” che studi così sofisticati “non potessero essere partoriti da una donna! Proprio come hai fatto tu, caro: meglio leggenda che donna vera, eh Enri’?”

Il linguaggio del corpo di Enrico è quello dello sconfitto. Alza le braccia,  cercando di recuperare un dignitoso livello di interlocuzione: “Mi arrendo, non lo dico più! Ma adesso, Sandri’, possiamo nutrirci di carboidrati oltre che di storia della medicina?”

Seguirono alcuni secondi di silenzio che a Enrico dovettero sembrare interminabili. Poi Sandra, napoletana vera e mulier salernitana dentro, fiera portatrice del valore aggiunto delle donne, consapevole di aver vibrato la stoccata decisiva, benignamente acconsentì.

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