Spesso sono chiamato a illustrare il funzionamento delle licenze open content (Creative Commons e simili) agli addetti ai lavori del mondo della ricerca scientifica e più in generale del mondo accademico. In realtà, per aiutare la comprensione di Open Access, queste licenze sono di certo un ingrediente importante, ma non l’unico e forse non il principale: alla base c’è, a mio avviso, una esigenza di maggior consapevolezza sui meccanismi del diritto della proprietà intellettuale.
Confido che gli spunti forniti in questo primo articolo di una serie finalizzata a spiegare l’Open Access, insieme al libro di prossima pubblicazione “Fare Open Access. La libera diffusione del sapere scientifico nell’era digitale”, possano contribuire proprio ad aumentare la consapevolezza o quanto meno a fornire un’utile mappa concettuale da utilizzare e consultare al bisogno.
La questione è – per così dire – anche “psicologica”: troppo spesso ho avvertito da parte di alcuni una sorta di idiosincrasia verso questo tema, in quanto noioso e complesso. Lasciatemi dire che in realtà nell’apprendimento di qualche nozione di base sul diritto d’autore non vi è nulla di così complesso da non essere alla portata di persone con una formazione di livello massimo (dottorato di ricerca e master) come tutte quelle che lavorano nel mondo della ricerca scientifica e dell’insegnamento universitario. A volte a chi mi dice che non conosce bene questi temi rispondo che per una infarinatura di base sarebbe sufficiente leggere con attenzione la voce “diritto d’autore” su Wikipedia; e non vi è dubbio che quella sia una lettura davvero alla portata di tutti. Bisogna solo mettersi nella giusta disposizione d’animo verso l’argomento e di apertura mentale.
In alcuni casi il problema non è tanto la noia, la complessità o la pigrizia, bensì una sorta di atteggiamento “snob” verso questioni come la titolarità dei diritti sulle proprie opere e la gestione di contratti di cessione e licenze d’uso. Come a dire “io devo occuparmi di ricerca scientifica, non posso abbassarmi a queste cose meramente amministrative”. Ecco, in questo caso mi viene da pensare al noto adagio popolare secondo cui non vi è peggior sordo di chi non vuol sentire. Questa impostazione mentale è davvero controproducente. In fondo, si chiama “diritto d’autore” perché è un diritto dell’autore, della persona che crea l’opera. Se non è l’autore stesso a preoccuparsi per primo dei diritti sulle proprie opere, è ovvio che ci sarà qualcuno che se ne occuperà in sua vece. Ma poi eventuali lamentele da parte dell’autore o i classici “non so, non me ne occupo io” che spesso creano problemi proprio in caso di diffusione Open Access, non troverebbero serie giustificazioni.
Cosa fare dunque come prima cosa per aprirsi all’Open Access? Partire dal riflettere sul significato di diritto d’autore.
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