Il paragone con 1984 di George Orwell viene quasi spontaneo. “Probabilmente Orwell non sarebbe arrivato a tanto, avrebbe avuto paura, forse, e si sarebbe fermato prima” – afferma Paolo Giardini, visionist Tech Economy e esperto di sicurezza informatica. “La differenza è che in 1984 è il sistema che agisce, raccoglie, controlla. Oggi sono le persone che volontariamente si lasciano controllare tramite i social, i telefonini, le app, i gps,… Il rischio è che un domani tutto, dalla cultura alle idee, vengano somministrate alle masse tramite il filtraggio di un sistema che potrebbe fare giungere alle persone solo le idee approvate, le informazioni controllate e censurate, fino a suggerire i desideri e le aspettative. Penso ad esempio alle bambole Cayla con microfono ed altoparlante collegate ad internet che rispondono alle domande delle bambine. Chi decide ed in base a cosa quali sono le risposte adeguate da fornire? E se, per assurdo, già fosse così per le risposte fornite dai motori di ricerca, per i suggerimenti per nuovi contatti da parte dei social?”
Diversa l’esperienza di Marcello Mari: “Ho 32 anni e da 5 possiedo uno smartphone. Da allora sono consapevole che ogni mio movimento può essere tracciato, essendo il mio, come tutti gli smartphone, dotato di GPS. E’ chiaro che se mai dovessi decidere di commettere qualche crimine o di prendere parte a qualche fronte rivoluzionario farei di tutto per liberarmi di questo “tracciatore” o, addirittura, lo utilizzerei per confondere le acque a chi cerca di tracciarmi. Poco mi preoccupa se i miei movimenti vengono tracciati ora che non ho nulla da nascondere. Faccio parte, quindi, di una generazione che la privacy l’ha vista elevare a valore determinante nel momento stesso in cui diventava impossibile difenderla. Come tale, abbiamo imparato a convivere con l’assenza di privacy, prendendo in alcuni casi delle contromisure. Parlo, ad esempio, della movimentazione globale che ha portato Whatsapp a criptare i propri messaggi, del successo di Telegram, Signal o l’utilizzo in massa delle VPN che sfuggono all’occhio del “Grande Fratello” cinese. Con questo ragionamento in mente ho lanciato un piccolo hashtag per i miei amici di Facebook, casualmente 1984, #WhereDaFAQisMarcello. Da qualche mese vivo da nomade digitale in giro per l’Asia. Ho perciò pensato che ai miei amici, conoscenti, o chiunque si sia interessato a me anche senza che lo conoscessi, facesse piacere conoscere dove diavolo mi trovo in ogni momento della giornata. Sfruttando così la nuova funzionalità di Google Maps che permette di far sapere tramite un link pubblico ogni nostro spostamento per un massimo di 3 giorni consecutivi, ho deciso di condividerlo con la mia comunità su Facebook. In questo modo, se Governi, giganti della Silicon Valley e istituzioni più o meno private possono sapere dove sono ogni momento del giorno, allora trovo giusto che siano anche i miei amici a saperlo, creando cosi 1984 potenziali Grandi Fratelli.”
A parlare di The Circle oggi saranno in tanti. A Eta Beta alle 11.40 su Radio1 Rai ci saranno Stefano Epifani, direttore di Tech Economy e presidente del Digital Transformation Institute e David Orban, consigliere di Singularity University, centro di ricerca nato nella Silicon Valley per aiutare l’umanità ad affrontare grandi sfide con le tecnologie più avanzate.
“Difficile commentare un film senza rischi di spoiler” – afferma Stefano Epifani. “Tuttavia, provandoci, mi piacerebbe dire che The Circle è un film di fantascienza, quando in realtà non fa altro che mostrare un futuro possibile, neanche tanto lontano. Un futuro in cui la privacy avrà cambiato faccia (e questo è normale ed inevitabile) e nel quale le persone faranno fatica a comprendere ciò che stanno perdendo facendo cambiare faccia alla privacy. Quello preconizzato da The Circle è un cambiamento radicale, in cui paradossalmente apocalittici ed integrati convivono in un universo in cui il valore della privacy è sostituito da quello della trasparenza. Nel film ci sono l’eroe, che si rifiuta di omologarsi al sistema e l’antieroe, che di quel sistema è in fondo vittima anche nel finale, non meno inquietante della prospettiva che l’antieroe riesce a sconfiggere sconfiggendo il cattivo. Ed il cattivo, che ci ricorda che in mondo in cui tutti sono uguali qualcuno è più uguale degli altri, e vorrebbe aver diritto ad una privacy ad altri negata. Insomma, nel pieno rispetto dello schema di Propp e pescando a piene mani da Orwell, il film ha il merito di banalizzare per il grande pubblico un futuro prossimo possibile, per certi versi probabile. Un futuro che – in larga parte – è già presente: basti pensare a quanto raccontato da Gianni Barbacetto nella sua inchiesta su Watson Health pubblicata da Il Fatto Quotidiano ed ottimamente riassunta da Walter Vannini nel suo podcast Data Knightmare. Il problema, al solito, è che parafrasando un detto un po’ triviale sono tutti trasparenti con i dati degli altri, ma dobbiamo capire che il limite tra trasparenza ed interesse pubblico è sottile e pericoloso da valicare. Un limite che il film non prende in grande considerazione e che invece è quello attorno al quale deve ruotare tutto il discorso attorno a quel diritto alla privacy che, riprendendo la sua più bella definizione, è e deve restare il diritto ad essere lasciati soli. Valido in tutte le epoche ed in tutti gli scenari tecnologici. E ben diverso da quello che porta la privacy ad entrare in conflitto con la trasparenza in nome di un non meglio identificato (nel film) interesse pubblico”.
(Foto di copertina Schmoesknow.com)
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