Basta, per favore, basta

Leggo di un bando per la ricerca industriale appena pubblicato dal MIURLo dico senza mezzi termini: basta, non se ne può più. 

Si dirà: “Ma come, sei contro i finanziamenti alla ricerca industriale? Rompi sempre le scatole per averli e adesso che ci sono ti lamenti?”

Ovviamente ben vengano fondi per la ricerca (in questo caso applicata, ma speriamo anche per la ricerca di base). Ma non se ne può più di bandi fatti in questo modo.

  1. Perché l’80% al Sud? Al nord la ricerca la facciamo con l’aria di montagna? Come competiamo con gli atenei e i centri europei che ricevono ingenti finanziamenti dai propri governi? Perché dobbiamo dannarci per portare a casa fondi europei o per trovarci clienti industriali quando altri hanno fiumi di risorse pubbliche che peraltro, come si legge troppo spesso, finiscono per essere non spese o spese male?
  2. Si dirà “al nord ci sono le imprese, al sud no”. A parte che non è vero e che con questo atteggiamento di fondo al limite si finirebbe per perpetuare questa situazione, cosa vieta alle università e ai centri di ricerca del sud di competere per i fondi europei o di offrire i propri servizi ad aziende del nord o estere? In effetti, alcune di loro (che conosco e stimo) lo fanno, dimostrando che se sei bravo, puoi superare limiti e problemi. Quindi perché reiterare queste distorsioni macroscopiche?
  3. Perché continuare con questi bandi di lunghezza infinita che sappiamo bene essere da un lato inefficienti e dall’altro inevitabilmente soggetti ai condizionamenti della politica o delle lobby dei diversi territori? Perché continuare con questi bandi che creano enormi carovane di partner e che si risolvono in distribuzioni a pioggia di risorse?

Faccio una proposta provocatoria.

Basta bandi. Basta riserve per il sud.

Tenendo conto che si tratta di fondi per potenziare la ricerca industriale (e non quella di base), le risorse disponibili le dividiamo in due parti.

  • Una prima parte viene dedicata ad un meccanismo tipo dollar match usato in alcuni casi in USA: se una università (o organismo di ricerca) riceve un contratto da una impresa per un valore X (meglio ancora, i pagamenti corrispondenti al lavoro fatto!), lo stato aggiunge un altro X. Così diamo risorse a strutture di ricerca che competono e a progetti per i quali le aziende investono con contratti veri dati agli atenei e non con donazioni “in kind” o altre finzioni simili.
  • Visto che abbiamo un deficit di laureati e problemi economici che limitano l’accesso agli studi universitari, la seconda parte delle risorse la destiniamo al diritto allo studio, ma in modo nuovo: diamo i soldi solo agli studenti che ne hanno bisogno e che completano gli studi laureandosi. Si dirà: “ma se non hanno soldi come fanno a seguire i corsi?” Io ero figlio di emigrati (papà operaio cassaintegrato e mamma cameriera in nero); andai a cercarmi qualche lavoretto (dal lavare i cessi in un supermercato all’imbustare lettere in una azienda) per procurarmi qualche soldo. Ci si dia da fare e chi ha voglia certamente riuscirà. E alla fine lo stato premi chi si laurea con un rimborso dei costi sostenuti, soldi che a questo punto possono essere utilizzati, per esempio, per avviare una propria attività o per seguire corsi di specializzazione.

Le mie sono provocazioni, ma neanche tanto. Vogliamo provare a cambiare le cose in questo paese, oppure ci accontentiamo di retorica, qualche bonus a pioggia e un po’ di operazioni da tipica propaganda elettorale?

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