La Milano del Design: tecnologia, euforia e consapevolezza

Un altro record: il salone del Mobile 2018 ha fatto registrare, in sei giorni, 435mila presenze “certificate” provenienti da 180 Paesi diversi. E già fa impressione. Ma si devono aggiungere anche quelli che frequentano solo i “Fuori Salone” della contemporanea settimana del Design. Impossibile calcolarli, ma più di qualcuno azzarda un “almeno altri 200mila”. E questo dà l’idea di una città invasa. Felicemente invasa, anzi euforica sotto un sole che sapeva già di prima estate, incurante che fossimo solo all’inizio della primavera. 

I guerrieri del design

Sulla metro che porta al Salone ufficiale e al Salone Satellite, gli addetti ai lavori si distinguono in due categorie: “quelli che è la prima volta” e quelli con anni di frequentazione alle spalle. I secondi sono vestiti come me, da guerrieri metropolitani: zainetto con bottiglietta d’acqua laterale, occhiali da sole, bandane e sciarpette leggere (che l’aria condizionata fa brutti scherzi), pantaloni e giubbotti pluritasche dalle quali spuntano fili, cuffiette, accessori vari di tecnologia da connessione e riprese. E, al collo, il pass del Salone. Se a quello si abbina il mitico trolley rosso della Piquadro, funzionale omaggio riservato dagli organizzatori alla “Press”, il mondo circostante vi guarderà con invidia: vuol dire avere accesso alla sala stampa, con lounge ben attrezzata e confortevole, wi-fi efficiente, bar esclusivo e gratuito, ma soprattutto avere una serie d’inviti riservati, scavalcare ogni fila del Salone e dei Fuori Salone e avere un’attenzione dedicata dal reparto PR delle aziende.

Anche Franco F, uno degli oltre 5mila giornalisti accreditati, 39enne e professionista da dieci anni, “free lance non per scelta ma per ristrutturazione” ha il suo bravo trolley rosso. Per mettere insieme 1.500 euro al mese, Franco lavora per quattro testate (di cui due cartacee, tiene a sottolineare con orgoglio) perché: “l’intermediazione della stampa sembra essere diventata una bestemmia laica, il mestiere è sempre peggio retribuito; non ci riconoscono più il ruolo, però ci riconoscono il… trolley!”. 

Parola chiave: IMPRESA. Le tendenze

Alla 57° edizione, Il Salone decide di avere un Manifesto, contraddistinto da nove parole-chiave: Emozione, Impresa, Qualità, Progetto, Sistema, Giovani, Comunicazione, Cultura, Milano al centro.

Ne acchiappo alcune che risuoneranno parecchio anche nei Fuori Salone, perché questo mega evento non si sviluppa solo tra i padiglioni della Fiera di Rho, splendidamente allestiti, ma pervade e contamina tutta Milano immersa nella fibrillazione, h24, della Design Week: Impresa, Emozione, Cultura, Giovani e Comunicazione.

Cominciamo dall’IMPRESA. Anzi dalla filosofia dell’impresa del terzo Millennio che ha abbondonato definitivamente il “si è sempre fatto così” facendosi carico dell’impegno a fare “sempre meglio e più di così”, con queste evidenti tendenze:

  • Design e innovazione: investire in design e innovazione genera valore aggiunto e conquista nuove quote di mercato
  • Design e vintage: dopo un lungo periodo di design caratterizzato da forme minimaliste e in scala di grigi, da qualche anno si reinterpretano anche linee del passato: in grande spolvero gli anni ’50 e il tema del viaggio e dell’esplorazione
  • Sostenibilità: il contrasto a ogni forma di spreco dell’acqua e dell’energia ispira il design, a cominciare dai settori bagno e cucine
  • Spazio domestico interattivo: lo spazio si riduce ma diventa sempre più piattaforma interattiva. Le case sono più piccole perché abitate da famiglie sempre meno numerose o da single, ma sono sempre più dominate da tecnologie IoT
  • Arredamento Contract: è una sorta di servizio chiavi in mano per progettare su misura e gestire in maniera coordinata tutto l’arredo degli ambienti: alberghi, villaggi, aeroporti, negozi. Il Contract, in fortissima espansione, vede l’Italia protagonista assoluta
  • Complemento d’arte: al complemento d’arredo, magari solo a pochi pezzi scelti con appassionata attenzione, affidiamo il compito di caratterizzare i nostri sempre più ridotti spazi. Il complemento è il testimone dei nostri gusti e del nostro immaginario culturale. In decisa crescita il fatturato di settore per l’Italian Style
  • Tecnologia: non si discute ovviamente. Ma del suo primato, sì.

Parole chiave: CULTURA ed EMOZIONE. Quale rapporto con la tecnologia?

L’installazione più spettacolare dei Fuori Salone 2018 è la gigantesca “bolla” nel cortile dell’Accademia di Brera. Installazione della Panasonic, che festeggia i suoi cento anni, leader mondiale nello sviluppo di tecnologie destinate all’elettronica di consumo e al settore domestico, aziendale, automobilistico.

Il tema della presenza della Panasonic è TRANSITIONS: affrontare le trasformazioni e le sfide di un futuro ancora sconosciuto nel rispetto e nel recupero della storia e della tradizione.

All’interno dell’installazione (Air Inventions), l’aria è satura di micro particelle acquose atomizzate, sulle quali vengono proiettate immagini ad altissima risoluzione: una qualità video impressionante, che unitamente a suoni e odori avvolgono i partecipanti in un’esperienza multi sensoriale davvero unica.

Immersi per sette minuti in un’atmosfera purissima dentro bagliori, suoni, odori, le immagini sono sensazioni e le sensazioni si convertono ogni istante in immagini. Avverto come un soffio, un alito ancestrale tutt’intorno a me: un’esperienza intensa, fibrillante, evocativa per molti della creazione dell’universo.

Ci si aspettava quasi di vedere comparire il Padreterno con la mano protesa alla creazione di Adamo; e qualcuno alla fine era convinto di averli visti!

 

In una delle tavole rotonde di “Transitions”, discutono del rapporto tra tecnologia e cultura il direttore creativo di Panasonic, Takeido  Ikeda, e il direttore della Pinacoteca di Brera, James Bradbourne, che scandisce: “Stiamo vivendo un momento storico molto particolare e assistiamo a tante tipologie di minacce. Tra queste, aver lasciato il nostro potere decisionale alla tecnologia”.

Nelle parole di Brandbourne ritrovo i ragionamenti, gli obiettivi e le speranze del recente Festival a Roma “Her: She Loves San Lorenzo, fortissimamente voluto dalla coppia creativa Iaconesi & Persico, e al quale ho contribuito: la cultura e le emozioni devono tornare a giocare un ruolo da protagonisti. Anche per il direttore di Brera che sottolinea come la tecnologia abbia preso il sopravvento sul pensiero. Dobbiamo riportarla invece – continua Brandbourne – al ruolo di strumento, di facilitatore nella diffusione della cultura e nella trasmissione delle emozioni: “Qui nella Pinacoteca di Brera è raccolta la creatività degli ultimi 500 anni ed è una risorsa condivisa. Qui si entra in un mondo e si può uscire diversi. Il museo deve creare quello speciale momento in cui Bramante, Caravaggio, Mantegna… entrano nel cuore delle persone“. Nel cuore, anche grazie alla tecnologia. 

Parola chiave: GIOVANI. Seicento da tutto il mondo, vince un italiano

E vince perché è un perfetto interprete dello spirito dei tempi, come vedremo.

Amo moltissimo il Salone Satellite che offre, da oltre venti anni, a giovani creativi sotto i 35 la possibilità di farsi conoscere e d’incontrare le imprese che possono ingegnerizzare i loro prototipi.

Quest’anno, il primo premio assoluto (Salone Satellite Award) è stato assegnato, su oltre seicento partecipanti, proprio a un italiano, un sardo: Stefano Carta Vasconcellos (ha aggiunto anche il cognome della madre brasiliana), laureato in Economia e poi diplomato allo Ied di Cagliari, dove attualmente insegna.

Ha vinto con il progetto “Cucina leggera”: un blocco cucina, assemblabile tramite l’incastro dei sette elementi che la compongono, senza l’utilizzo di viti o altra ferramenta. Con conseguente facilità costruttiva e di assemblaggio, compattezza, accessibilità economica, come sottolineato anche nella motivazione della Giuria internazionale.

Sono tornato al Satellite per complimentarmi e intervistarlo: “Siamo nell’era della conoscenza condivisa: il design deve tradursi in un’idea leggera che possa viaggiare attraverso la rete dei computer e non più soltanto, come prodotto finito, su mezzi di trasporto. L’autoproduzione non deve essere qualcosa in più, ma la caratteristica di base dalla quale ripartire”.

Insomma Stefano ha saputo coniugare “il fai da te” con “il fai da web”, in grande coerenza con i tempi che viviamo. E la Giuria ha colto questa coerenza.

Dalla Sardegna al Giappone, per un riconoscimento al design asiatico.

Di grande suggestione il lavoro della giapponese Yuri Himuro, premiata per “Soft Block”. Lavoro che non ha colpito solo i visitatori (sempre molto affollato il suo stand), ma anche la Giuria che così ha motivato: “i moduli di tessuto Soft Block, favoriscono l’interazione e la creatività di chi li usa, come un progetto non finito, ma aperto a infiniti sviluppi e possibilità… per decorare in modo semplice e personale il proprio ambiente di vita.”

Yuri è morbida nei gesti e nei movimenti esattamente come i prodotti del suo design: dà la sensazione di un mondo dalle linee curve fatto per accompagnare e per relazionarsi con gli altri. Infatti per lei il Design è, prima di ogni altra cosa, “comunicazione”.

A un designer finlandese, Sakari Hartikainen, straordinariamente sobrio ed elegante, la Giuria assegna un altro importante riconoscimento: il Premio Anno Europeo Del Patrimonio Culturale per il prototipo “Savoa”, un tavolino che “trasmette fin dal primo impatto un gradevole equilibrio fra pensiero ecologico e pensiero estetico. Attinge alle più storiche tradizioni del design nordico e asiatico, le fonde e le proietta in modo maturo ed elegante nel mondo contemporaneo”. E coerentemente, quando chiedo anche a lui, di rispondere con una sola parola alla domanda: “What’s  Design for You?”, la risposta è: Harmony!

E poi c’era quel messicano. Quel piccolo messicano, con un inaspettato italiano un po’ meneghino, che portava il suo prodotto praticamente sotto il braccio: “Claro” è una libreria, stile minimal, in compensato di betulla. Peso totale: meno di otto chili, da assemblare a incastro in pochissime mosse.

Un’idea basica del design quella di Miguel Angel Jimenez, specializzatosi in Industria e Design al politecnico di Milano e il cui obiettivo era “avere l’opportunità di tradurre le mie idee in oggetti reali“. Per questo era al Salone Satellite.

Lo prenderà in considerazione la giuria, mi chiedevo? Tra centinaia di progetti molti dei quali presentati in maniera molto più scenografica, mentre il suo era nuda e asciutta progettualità? E invece è successo! Gli hanno attribuito il premio Banca Intesa Award con una calibratissima motivazione: esprime con il minimo, il massimo dell’idea della sostenibilità per leggerezza, semplicità, facilità di montaggio e trasporto, ed economicità. Racchiude in questo modo tutti gli elementi basilari della progettazione sostenibile. Ma quanto mi piace questa giuria! Presieduta, per la cronaca, da Paola Antonelli (del Moma di New York).

Premio che si traduce anche in un assegno di 5mila euro: nuovo spazio per i sogni e soprattutto per i progetti di questo empaticissimo messicano meneghino!

Parola chiave: COMUNICAZIONE

Consiglio sempre ai miei studenti della Sapienza di frequentare i grandi eventi che coinvolgono il sistema produttivo, perché è una straordinaria occasione per vedere all’opera la comunicazione d’impresa.

Il Salone di Milano e la Design Week sono, da questo punto di vista, un appuntamento internazionale e irrinunciabile nel quale si esalta e si percepisce al meglio la distinzione, così cara a J. E. Grunig, tra la funzione “pubbliche relazioni” e la funzione “marketing”.

Alla Triennale di Milano, ad esempio, va in scena il progetto/installazione: “Il mare a Milano: Yachtville”. Un innovativo progetto di interior design, affidato a Piero Lissoni per lo yacht crossover SX88 di Sanlorenzo, azienda leader nella produzione nautica di fascia alta.

Lo yacht è sontuosamente “ormeggiato” proprio davanti la Triennale.

Dentro la Triennale invece, la sagoma dello yacht è evidenziata a terra da una grafica che lo rappresenta attraverso un’astrazione degli ambienti interni: salgo metaforicamente a bordo muovendomi da poppa a prua in uno spazio che riproduce l’ambiente living/dining tra pezzi di arredo reali, prodotti dalle aziende che rappresentano l’eccellenza del design internazionale (Boffi, Cassina, Knoll…).

E lo yacht comincia ad avanzare: nel senso che sulle pareti scorrono immagini di scenari architettonici di città diverse, liberamente reinventate. La sensazione è proprio di navigare solcando mari metaforici, contemplando città oniriche, aspettando di trovarsi da un momento all’altro in mare aperto.

L’addetta all’accoglienza dei giornalisti non è la solita Sparosorriso-RitiroBigliettoda visita-ConsegnoPresskit. Efficiente, preparata, discreta cerca di capire quanto ne so dell’azienda (Sanlorenzo) e del designer (Piero Lissoni), mi completa il quadro con gli elementi che mi mancano, mi suggerisce qualche inquadratura per le foto, mi consegna alla fine uno scatolino da gioiello con dentro una raffinata pendrive in perplex e rame. La sera, quando la infilerò nel lap top, il logo s’illuminerà con un piacevole effetto luce di cortesia.

Lissoni è un architetto e interior designer neoumanista che ama, ed è evidente, la continuità degli spazi: “Io continuo ad immaginarmi le barche, anche quelle molto grandi, come se fossero dei loft, quindi spazi molto aperti con grande vivibilità e soprattutto con la possibilità di essere in contatto con quello che ti circonda”. 

In pratica un loft in mezzo al mare” sintetizza la mia interlocutrice, perfetta interprete delle Public Relations che, al contrario del marketing non devono vendermi il prodotto, ma rendermi consapevole e dialettico complice della filosofia progettuale e dei valori di un’estetica e di un Brand.

Ma è un’estetica del lusso non accessibile!” mi obietterà in sala stampa un collega, nel tentativo di dire qualcosa vagamente di sinistra. E allora? È un ottimo esempio di un Brand che sa comunicare e comunicarsi. E quell’idea di Lissoni di evitare quanto più possibile la soluzione di continuità tra spazi interni e lo spazio esterno, sembra la metafora di una funzionale comunicazione d’impresa: un unico flusso continuo tra comunicazione interna, esterna e di prodotto.

Ok comunque, usciamo dal supposto empireo dell’esclusività e torniamo tra gli umani: tra i ragazzi del NID (Nuovo Istituto di Design) di Perugia ad esempio, che in uno spazio davvero minimo e spartano, nel contesto completamente diverso e pop del Lambrate Design District, propongono il loro progetto “WASTED” che gira intorno a una domanda di fondo: quanto la comunicazione incide sul valore di un prodotto?

Sono dei pronipoti di Duchamp questi ragazzi: lui portò un orinatoio in un contesto artistico affermando, di fatto, che era il contesto che determinava l’opera d’arte, loro vogliono dare voce ad “oggetti insofferenti della loro condizione alienata ed anonima”. Cambiando nome e con un packaging sofisticato questi oggetti banali “stanchi di un utilizzo ingrato e logorante, decidono di migliorare la qualità della loro esistenza intraprendendo un percorso di rinnovamento della Brand Identity, nell’estetica e nella funzione”.

Ed ecco una catenella da sciacquone (“Pull”) diventare un prezioso monile alternativo, un mattarello (“Mattarex”) tornare alle sue origini di arma celtica per garantire la sicurezza della donna tra le mura domestiche, “Squash” è un piccolo clistere sempre a portata di mano per stitici ansiosi, “Scent of the Wild“ sono assorbenti femminili più o meno usati che, grazie a un redesign, diventano un originale profumatore per auto “per chi ama fondersi con l’essenza più intima della natura” in quattro varianti: Classic, Night, Faraway e Pocket. Mi limito al claim di quest’ultimo: “mini nelle dimensioni ma maxi nell’odore”. 

Insomma “Wasted rebel objects” è una riflessione provocatoria sul design, sull’estetica, sull’identità, proposta da questi ironici ragazzi che stanno facendo comunicazione, attraverso una sarcastica parodia del marketing di prodotto. Ma molti, cadendo nella suggestione del rebranding, vanno sul sito disposti a comprare a 10 euro un comunissimo ditale da 50 centesimi; solo che, quando cliccano sul carrello per completare l’acquisto, la risposta è questa:

 

La parola chiave “Milano al centro”

Ho cercato di farvi annusare qualche refolo del Salone e della settimana del design. Con delle scelte inevitabilmente molto soggettive: ognuno ha una sua versione e una sua lettura di questi incandescenti sei giorni. Vi ho parlato di una manciata di eventi (su 1200!), di una dozzina di protagonisti (su migliaia!), di un pugno di espositori (su 2000!).

Se c’è una cosa di cui questo straordinario evento milanese soffre è l’eccesso di cose belle e interessanti condensati in meno di una settimana. Si va via sempre col rimpianto di aver visto una piccola frazione del tutto; paradossalmente, Salone del Mobile e Design Week rischiano d’implodere per l’incontenibile successo: alla lettera, un successo che la città non riesce più a “con-tenere”. E infatti si moltiplicano le imitazioni nel mondo, vedi Shanghai, vedi Mosca.

I numeri dell’edizione 2018 sono stato impressionanti. Vorremmo continuare a impressionarci anche in futuro. Ma sempre a Milano.

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