Un viaggio a Ferrera Erbognone per smontare 4 pregiudizi sui data center

Campagna, risaie, poco traffico. Le strade che conducono al Data Center Eni di Ferrera Erbognone sono questo: un misto tra paesaggio pavese e profumo di innovazione che si respira sin dall’ingresso. Una struttura poco impattante ma architettonicamente gradevole, nonostante la destinazione, direbbe qualcuno. Il Data Center Eni si compone di due “trifogli”, nord e sud, così soprannominati perché dall’alto li ricordano molto, anche se allo sguardo di chi si affaccia sul viale principale saltano all’occhio le 6 “torri” di colore arancio utilizzate per aspirare ed espellere aria.

Il data center occupa circa 20.000 metri quadrati, ma sembra un piccolo agglomerato a fianco di una presenza “imponente”: la centrale elettrica Enipower a gas metano, che rappresenta il carburante del Data Center e uno dei motivi della scelta di sede. Da qualche tempo, al fine di affiancare fonti energetiche rinnovabili, si è messo a dimora nelle vicinanze del green data center anche un impianto fotovoltaico da 1 MegaWatt che può fornire fino al 15-20% dell’energia consumata dal supercomputer presente Hpc4.

Appena fatta la registrazione e messo al collo il badge visitatore, mi viene da pensare a ciò che oggi sempre più si legge di critico sui data center e mi chiedo se la scelta fatta da Eni nel 2013 abbia ancora un senso.

Insieme ad altri quattro giornalisti entriamo in sala riunioni. Ad accoglierci c’è Gabriele Provana, responsabile del Data Center e responsabile delle Operations informatiche nel settore ICT di Eni e dei servizi agli utenti finali. Starà a lui smontare quattro pregiudizi sulle strutture come questa.

I data center propri non servono: c’è il cloud

Molte ricerche parlano chiaro: sempre più aziende e PA scelgono soluzioni che consentono di “appaltare” a servizi esterni la conservazione dei dati. Perché, si legge, è comodo, sicuro, economico. Queste almeno le principali motivazioni addotte. E allora perché la scelta di Eni? “Se nel 2013 non avessimo scelto di fare questo investimento – afferma Provana – non avremmo ora un grado di libertà in più, non potremmo scegliere una soluzione per la conservazione dei nostri dati, ma potremmo solo decidere a chi affidarli”.

Avere un data center proprio, invece, garantisce la possibilità di scegliere soluzioni “in casa” per dati particolarmente sensibili e importanti; consente di “ampliare le possibilità del cloud” dice Provana “prendendo anche in considerazione l’ipotesi di federarsi con altri cloud”. Oltre questo c’è una questione di opportunità che fa notare il responsabile del Green Data Center rispetto al dare “una casa” alle informazioni in Europa, in Italia in questo caso. “I dati sempre più sono valore, potere. Avere data center in Europa credo sia una soluzione da cercare”.

Per un grande data center ci vogliono grandi potenze di calcolo. Impossibile avere tutto

Percorrere strade che altri non hanno già tracciato”. Questa la definizione di innovazione per Provana, questo il meccanismo che porta a non accontentarsi nell’avere soltanto uno spazio in cui poter conservare dati. Tanti dati, pari attualmente a 24 Petabyte, ovvero quasi 3 miliardi di libri. Il data center diventa significativo se mette a disposizione potenze di calcolo in grado di elaborare grandi quantità di informazioni e magari renderle fruibili in azienda al fine di migliorare i processi decisionali. Nella sala computer ci sono circa 7.200 server al lavoro h24, ma la prima donna è sicuramente Hpc4, uno dei dieci supercomputer più potenti del mondo, con i suoi 18 Petaflop di capacità di calcolo che possono arrivare fino a 22. “Nella classifica mondiale – afferma Provana – per capacità di elaborazione davanti a noi ci sono solo supercomputer governativi o di proprietà istituti di ricerca”.

Hpc4, nato dalla evoluzione degli altri Hpc ancora presenti nel data center ed esposti in una sala interattiva con il fine di mostrare il cambiamento dei sistemi nel tempo, si trova dentro una specifica sezione. La particolarità dell’elaboratore sta nella sua architettura che affianca processori tradizionali a particolari acceleratori di calcolo di tipo GPU, processori grafici che permettono di velocizzare i processi tenendo bassi i consumi. Processori che consentono ad Hcp4 di analizzare i tanti dati raccolti per esempio nell’imaging sismico, ovvero nella raccolta di informazioni sulla struttura del sottosuolo e nella sua rappresentazione in immagini tridimensionali.

I data center non possono essere green

Che i data center possano assorbire grandi quantità di energia elettrica, spesso utilizzata per il raffreddamento, è innegabile. L’esperimento di Eni però dà l’opportunità di comprendere come sia possibile risparmiare ogni anno migliaia di MegaWatt/ora e ridurre in modo consistente la quantità di anidride carbonica immessa nell’ambiente. Nel Data Center di Ferrera Erbognone l’indice PUE, Power Usage Effectiveness, che rileva il rapporto tra consumo elettrico complessivo e quello dei soli apparati informatici è pari a 1,179 contro una media mondiale di 1,8. Contributo importante arriva proprio dai sistemi Hpc che riducono di circa 65.000 tonnellate la Co2 emessa.

Per il raffreddamento funziona il free cooling: l’aria viene “catturata” dall’esterno, filtrata attraverso lunghe pareti di filtri che trattengono particelle inquinanti e polveri di ogni tipo, e fatta circolare attraverso grandi ventilatori di derivazione aeronautica situati vicino a vasche d’acqua usate per raffreddare in caso di necessità particolari. Rispetto agli altri Data Center i server sono posti in alto, a 8 metri dal pavimento, e c’è sempre una leggera sovrappressione che agevola il raffreddamento.

Un Data Center made in Italy è utopia

Questo Data Center oltre ad avere sede in Italia è stato realizzato utilizzando fornitori italiani” – ha aggiunto Provana. “Per noi era un aspetto importante, in quanto in questo contesto territoriale abbiamo una presenza industriale con la quale volevamo rapportarci e collaborare anche per far crescere il territorio”.

 

In collaborazione con Eni

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