Dopo aver parlato delle prospettive del mercato geospaziale globale e del posizionamento dell’Italia in termini di propensione e capacità di utilizzo delle tecnologie geospaziali, torniamo sulla situazione del mercato globale analizzando il GeoBuiz 2018 Report, pubblicato dalla stessa società indiana Geospatial Media and Communications, che lo aveva reso disponibile anche lo scorso anno.
In questa nuova edizione del rapporto l’analisi è stata affinata, sia in termini di metodologia, sia – riportano gli autori – per quanto riguarda la quantità di fonti raccolte direttamente attraverso contatti, interviste e tramite la consultazione di una collezione di documenti, ottenuta con un’ampia ricerca bibliografica.
Come nella precedente edizione, il documento è suddiviso in due sezioni.
La prima di cui parleremo riguarda l’indagine dedicata al mercato geospaziale, sempre con un orizzonte temporale fino al 2020. Indagine che, oltre ad essere stata aggiornata e arricchita – compare, ad esempio, la tecnologia blockchain tra quelle driver del settore GIS/ Spatial Analytics – viene proposta dagli autori con una suddivisione dei capitoli che rende più fruibili i diversi contenuti.
A una parte introduttiva, in cui sono inquadrate nell’ambito dell’ecosistema digitale dell’industria geospaziale le quattro principali branche del settore geospaziale – (i) Geographic Information Systems (GIS) – Spatial Analytics, (ii) Earth Observation Technologies (EOT), (iii) Global Navigation Satellite Systems (GNSS) e sistemi al suolo, (iv) tecnologie scanning (vedi figura 1) -, fa seguito una ricca esposizione del mercato geo-ICT, in termini di dimensione e previsione di crescita globale e per regioni.
Figura 1. Ecosistema digitale dell’industria geospaziale
Sono considerati diversi aspetti di questo mercato: le tecnologie che ricoprono il ruolo di driver, lo spettro dei principali user e settori industriali; la valutazione dell’impatto economico indotto dall’impiego delle tecnologie geospaziali all’interno di business processes; la descrizione del dinamismo attuale del settore, attraverso l’esposizione dei modelli di business emergenti, nonché dei trend riguardanti le partnership, le fusioni e le acquisizioni.
Una ricca messe di informazioni, integrata con numerosi grafici e istogrammi, che rappresenta una rilevante fonte conoscitiva per ogni professionista informatico (e non solo) interessato ad acquisire un quadro delle potenzialità delle tecnologie geospaziali e del valore che queste creano in combinazione con altre componenti dell’ICT.
Limitandoci alle stime globali, complessivamente il settore è previsto che passi dai 292,2 miliardi di dollari del 2017 ai 439,2 miliardi di dollari nel 2020, con un tasso annuo di crescita nel periodo (compound annual growth rate, CAGR) del 13,6% e un’accelerazione di oltre due punti percentuali rispetto al periodo precedente 2013-2017. Ragguardevole risulta l’impatto economico generato dall’utilizzo delle informazioni e tecnologie geospaziali, che si estende oltre i confini dell’industria geospaziale. Lo studio riporta un progresso dai 1.188,7 miliardi di dollari del 2013 ai 2.210.7 miliardi di dollari del 2017, con un CAGR del 20.9%. Ciò dà ragione del ruolo delle tecnologie geospaziali come elemento trainante nella diffusione dell’innovazione digitale.
Come sono cambiati i pillar su cui si basa il report?
La seconda sezione del GeoBuiz 2018 Report ripropone l’analisi comparativa tra 50 nazioni, rispetto al loro grado di maturità e propensione all’utilizzo delle tecnologie geospaziali, espressa in termini di Geospatial Readiness Index (GRI), concepito per riassumere – attraverso l’assegnazione di un punteggio finale – la capacità di sfruttare le opportunità offerte dalle tecnologie geospaziali espressa da una nazione.
La struttura concettuale per questa seconda analisi ha previsto non più quattro ma cinque temi fondamentali (pillar), sdoppiando il primo pilastro del modello adottato lo scorso anno, precisamente “Infrastruttura geospaziale e struttura delle policy”, in “Infrastruttura dei Dati” e “Struttura delle Policy”. Inoltre, la rimodulazione in sottotemi di quest’ultimo pilastro ha considerato anche le policy abilitanti per il settore geospaziale, specificatamente relative a Science & Technology, Innovazione e ICT.
Nell’ambito dell’analisi riguardante il tema “Capacità Istituzionale” (terzo pillar) è stata posta maggiore attenzione all’organizzazione delle Istituzioni dedicate alla Ricerca e alla Formazione, nonché ai programmi formativi disponibili.
La suddivisione in sottotemi del quarto pilastro (“Livello di attuazione da parte degli utilizzatori”) non ha subito modifiche in termini di sotto-temi considerati.
Infine, l’ultimo tema fondamentale è stato riformulato come “Tessuto Industriale”, considerando la caratterizzazione adottata nel precedente lavoro, cioè “Capacità Industriale” (suddivisa in prodotti, servizi e soluzioni) come un sotto-tema di tale pilastro, e valutata in termini di varietà delle aziende e presenza sulla scena internazionale. A questo, sono stati affiancati altri due sotto-temi: “Ecosistemi di promozione dell’innovazione e di business venture” e “Network dell’industria geospaziale e professionali”.
La figura sottostante illustra schematicamente il framework adottato per la valutazione del Geospatial Readiness Index (GRI) 2018, a livello di nazioni.
Un’altra novità significativa dal punto di vista metodologico, riguarda l’assegnazione dei pesi associati ad ogni pillar (e sub-pillar): è stata infatti abbandonata la distribuzione uniforme, sostituendola con un’attribuzione differenziata in base a una valutazione dell’importanza relativa di ogni dataset, ogni parametro e ogni sotto-tema, a cui sono pervenuti gli analisti che hanno condotto l’indagine. Il documento riporta unicamente le ponderazioni assegnate ad ogni tema fondamentale, valori evidenziati nelle tabelle successive.
Quali sono le nazioni con il più alto Geospatial Readiness Index nel 2018?
Si confermano leader Stati Uniti e Regno Unito. Guadagnano rispettivamente due e sette posizioni rispetto alla graduatoria del 2017, la Germania (terza) e Singapore (quarta), che si collocano davanti ai Paesi Bassi, “medaglia di bronzo” nel 2017. Troviamo al sesto posto quest’anno la Cina, che ha fatto un salto di cinque posizioni rispetto all’anno precedente, seguita dal Canada (che retrocede dal quarto al settimo posto) e dalla Danimarca che, invece, dal sedicesimo posto è passata all’ottavo. Chiudono la graduatoria dei primi dieci Paesi, la Svizzera e la Francia: la Confederazione nel 2017 era in dodicesima posizione, i nostri cugini d’Oltralpe al nono posto. Sono scomparse dalla graduatoria delle prime dieci nazioni, la Russia e il Giappone: li ritroviamo quest’anno rispettivamente, al diciassettesimo e al sedicesimo posto.
Come osservato nella recensione della precedente indagine, gli esiti di questo tipo di studi hanno un valore indicativo: possono aiutarci a considerare eventuali sorprese – positive o negative – che emergano dai risultati rispetto alle nostre conoscenze e convinzioni, per aiutarci a comprendere se le nostre valutazioni siano riformulabili e/o si possano o debbano trarre insegnamenti.
Il rapporto propone anche classifiche per ognuno dei cinque pillar adottati per comporre il Geospatial Readiness Index delle 50 nazioni considerate. Basandoci su tali dati e sui commenti esposti dagli analisti di Geospatial Media and Communications, nel prossimo post di luglio riporteremo i risultati assegnati all’Italia e li presenteremo facendo anche riferimento alle variazioni emerse rispetto alla prima indagine del 2017. Stay tuned!
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