Professionista e PA: c’è davvero bisogno di tutti quei moduli?

Nel mio precedente articolo ho citato uno studio della CNA dal quale emergono le varie complicazioni burocratiche che incontra chiunque voglia avviare una piccola attività imprenditoriale in Italia. In particolare avevo stigmatizzato la tendenza a lasciar prevalere le prassi locali (il classico “da noi si è sempre fatto così”) a discapito degli standard nazionali, oltre che del buon senso.

La situazione però non è certo migliore per i liberi professionisti, categoria di cui anch’io come avvocato faccio parte. Svolgendo costantemente corsi di formazione e docenze per enti pubblici (università, comuni, regioni, istituti scolastici), anch’io mi trovo spesso a scontrarmi con la burocrazia e a dovermi ogni volta orientare nella compilazione di moduli spesso mal concepiti, ridondanti e contraddittori.

Condivido di seguito alcune delle perplessità che mi sono venute nelle varie occasioni in cui ho dovuto formalizzare un incarico di docenza/formazione con una Pubblica Amministrazione. Si tratta a volte di incarichi preceduti da una gara pubblica, altre volte di incarichi ad affidamento diretto che dovrebbero garantire maggiore agilità a livello burocratico. Dovrebbero; il condizionale è d’obbligo. Nei fatti le complicazioni e le lungaggini si sprecano.

Un problema di ridondanza

Normalmente per formalizzare un incarico da parte di una PA, mi viene richiesta la compilazione di almeno tre diversi moduli: un modulo per la fornitura dei miei dati anagrafici e fiscali completi, quello relativo allo status fiscale e previdenziale (dove dichiaro che tipo di regime fiscale applico e a quale ente previdenziale verso i contributi), quello con la dichiarazione di assenza di conflitti di interesse (anticorruzione). A seconda dei casi, poi, si possono aggiungere anche: un modulo per l’indicazione dei dati relativi al conto corrente su cui versare il compenso (basterebbe una riga con l’IBAN, e invece c’è un modulo ad hoc); un modulo per l’autorizzazione al trattamento dei dati personali, corredato della noiosa informativa sul trattamento (spesso con riferimenti a norme abrogate da un pezzo; ne vedo ancora alcuni con “ai sensi della legge 675/1996”); un modulo per la rendicontazione delle spese di trasferta e la contestuale richiesta di rimborso (ognuno ovviamente con i suoi criteri).

Ciascuno modulo richiede di inserire tutti i dati e quindi mi trovo a dover riscrivere più volte nome, cognome, data e luogo di nascita, codice fiscale, partita iva, indirizzo di residenza, indirizzo del domicilio professionale, indirizzo email, numero di telefono. Mi chiedo: non basterebbe accorpare il tutto in un unico modulo in modo da indicarli una volta sola ed evitare inutili ridondanze?

Un problema di tempo

Ho calcolato una media di 9 minuti di tempo per la lettura, comprensione, compilazione, controllo e invio di ciascun modulo. Quindi nella migliore delle ipotesi il tempo dedicato a questa noiosa attività è di circa 25/30 minuti; ma a volte può essere più alto. E la situazione è identica sia che si tratti di un’incarico abbastanza cospicuo, sia che si tratti di un piccolo incarico di docenza da due ore. A volte viene da chiedersi se valga la pena spendere 40 minuti di “burocrazia” per poi lavorare due ore effettive, per di più a una tariffa spesso ridotta e non trattabile (poiché vincolata ai parametri indicati dalla PA committente).

Moduli uguali ma diversi

Dal momento che questi moduli assolvono a obblighi imposti da leggi nazionali, si potrebbe pensare che siano dei moduli standard e che quindi potrei tenermi una loro versione precompilata sul PC e di volta in volta cambiare solo la data. La tipica soluzione “uovo di Colombo”… troppo bella per essere vera. Nel mondo reale infatti ogni pubblica amministrazione ha il proprio modello con la propria intestazione; e se si prova a proporne uno diverso, storcono il naso.

Essere trattato come un’impresa

Il libero professionista inteso all’italiana è un concetto un po’ particolare perché pur avendo una partita IVA rimane una persona fisica e non è un’azienda; per alcuni di essi (come appunto gli avvocati) addirittura lo svolgimento di attività imprenditoriale/aziendale risulta incompatibile sia a livello contributivo/fiscale sia a livello deontologico con l’esercizio della professione.

Ciò nonostante capita non poche volte che i moduli siano pensati per ditte individuali o società a socio unico e non per i liberi professionisti in senso proprio. Ne consegue che riportano alcuni campi obbligatori come “sede legale” (un professionista al massimo ha un domicilio professionale ma non una sede legale), “dati dell’amministratore”, “capitale sociale versato” e altre voci simili che non ha alcun senso chiedere a un libero professionista. Troppo difficile avere un modello diverso (e possibilmente più snello) per i liberi professionisti?

Il codice di buona condotta dell’ente

Non sempre ma comunque abbastanza di frequente mi viene chiesta un’altra formalità che ho sempre ritenuto inutile e ridondante: un modulo in cui dichiaro di impegnarmi a rispettare il codice deontologico e di buona condotta che l’ente committente ha adottato e che tutti i suoi dipendenti e collaboratori dovrebbero osservare. Qui si pongono due questioni. La prima è banalmente legata al tempo (come sopra): se mi devo impegnare a osservare un codice di comportamento, dovrei almeno averlo letto; e spesso si tratta di documenti lunghi che richiedono un po’ di tempo. La seconda questione è più sottile ed è più giuridica: io in quanto avvocato regolarmente iscritto all’albo sono già tenuto a rispettare il codice deontologico della professione forense; se devo sottoscrivere un altro codice deontologico dovrei essere certo che le norme contenute nei due testi non vadano in conflitto tra loro. Poi, in generale, mi chiedo: ce n’è davvero bisogno? E’ davvero così fondamentale questa ulteriore “scocciatura”? Non basta già il controllo “deontologico” operato dal mio ordine professionale?

MePA e piattaforme simili

Il peggio della ridondanza e della lungaggine burocratica l’ho incontrato quando mi sono trovato costretto a registrarmi su piattaforme come MePA nonostante si trattasse di incarichi isolati di piccole docenze (di due o tre ore). Non esiste infatti solo il sito www.acquistinretepa.it (che molti di voi conosceranno), ma esistono anche siti equivalenti utilizzati dalle Regioni o da altri Enti locali per reclutare operatori. Registrarsi su queste piattaforme comporta ben più dei canonici 15-20 minuti, perché è richiesta tutta una serie di dati e documenti, ed è necessario l’utilizzo del dispositivo di firma digitale.

Se un operatore sa che poi potrà avere vari incarichi e lavorare periodicamente con quella Pubblica Amministrazione, può anche fare questo investimento di tempo a cuor leggero. Ma se fin dall’inizio è chiaro che si tratterà di un incarico una tantum (come spesso succede a me), è davvero assurdo dover passare di lì e perdere tutto quel tempo.

Simone Aliprandi

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