Quale lo stato dell’arte del podcasting in Italia?

Da un paio d’anni, ogni settimana, mi metto davanti a un microfono per dare voce ai contenuti di “Buzzword”, il podcast creato con l’idea di offrire 20 minuti di infotainment da ascoltare – cuffie nelle orecchie, con il car play o magari con una smart speaker – in palestra, quando si va al lavoro, mentre ci si fa la barba o si sta pulendo casa.

La cosa che mi piace dei podcast è proprio questa: li ascolti come, quando e con che device vuoi, grazie anche alla funzione asincrona, senza dover “guardare”. Le voci degli host degli show entrano nella tua quotidianità, ti fanno compagnia (pensa alle persone anziane e alla accessibilità del mezzo) e riempiono con insegnamenti (pensa ai bambini che non sanno leggere), cultura o risate i momenti di attesa. Se sei abituato a usare Spotify, per esempio, puoi passare dalla musica alle parole dei podcast e crearti il tuo palinsesto, con i contenuti che piacciano a te – che siano di approfondimento o musicali – per una customer experience che fa della personalizzazione dell’esperienza un mantra.

Forse in Italia la produzione di contenuti dedicati esclusivamente al podcasting è ancora acerba – basta vedere come le radio dominano le classifiche su iTunes – ma la community dei podcaster italiani piano piano cresce. Giorgio Minguzzi ha fondato, su Facebook, Fatti di Podcast, un gruppo di scambio e confronto che raccogliere la nicchia di chi pensa che il mercato in Italia sia ancora in fase pioneristica ma guarda all’Eldorado del digital audio in terra a stelle e strisce.

Ho fatto una chiacchierata con Giorgio, che con “Merita Business Podcast” da anni racconta il mondo dell’impresa, per cercare di raccogliere un po’ le idee sullo stato del podcasting in Italia e capire se le nostre realtà imprenditoriali sono pronte a investire strategicamente nei contenuti audio nella loro forma più digitale, quella che si annida nella rete del web e si ascolta on demand con le tecnologie di ultima generazione.

Dopo 15 anni da dipendente – dice Giorgio Minguzzi – ho deciso di intraprendere una carriera diversa. Dal punto di vista formale dovrei dire di essere un freelance, non è la parola giusta. Non è la parola giusta perché i freelance spesso barattano il loro tempo per denaro. Il mio focus è quindi più legato ad essere un solopreneur, un imprenditore da solo o come direbbe Paul Jarvis una company of one. Se vuoi una definizione ancora più precisa, inerente a ciò che faccio, dico sempre ai miei clienti che faccio fruttare i dati che hanno per generare nuovi clienti. Per questo lo strumento che uso di più è il CRM (customer relationship manager). A volte i clienti non lo hanno, e io li aiuto a implementare i progetti in modo che siano robusti e costruiti su basi solide. Altre volte hanno già un CRM ma non usano i dati che ci sono dentro. Lo trasformano in un’agenda o poco più. Magari qualche attività di marketing la fanno anche, ma è spesso sconnessa da un vero rapporto con il cliente, perciò non produce quasi mai gli effetti sperati. La mia attività viene in soccorso proprio di chi ha un capitale di dati e non sa come sfruttarli“.

L’idea di usare il podcasting arriva dopo la sperimentazione di altri strumenti nella vita professionale di Minguzzi. “Ho sempre comprato servizi di marketing digitale durante la mia carriera da dipendente. Belle anzi bellissime aziende, ma nessuno mi conosceva e la mia prima necessità era quella di diventare conosciuto in un ambito specifico in modo da iniziare a costruire una mia community e a vendere i miei servizi. Il blogging è un’attività da dare per scontata, oggi devi avere un sito e devi scriverci altrimenti rischi di scomparire. Ma la concorrenza è tanta, molto agguerrita (ci sono tanti miei colleghi molto bravi) ma anche molto frammentata, con un indice di rumore di fondo altissimo. Così ho pensato di usare il podcasting. In USA andava forte, colonizza una parte del nostro tempo dove non siamo raggiungibili dalla pubblicità tradizionale (guidare, correre, passeggiare, cucinare…) e non era assolutamente presidiata dagli Italiani. I podcast di business che c’erano, erano pochi e rivolti ad un pubblico non aziendale. Così ci ho scommesso. Pensavo che se fosse andata male almeno avrei ottenuto un buon numero di blog post. Insomma, avevo solo da guadagnarci. Piano piano ho corretto il tiro e ho trasformato il podcast diverse volte in cose diverse. Ma alla fine com’è andata? Sufficiente bene da guadagnare una certa credibilità e qualche cliente che difficilmente avrei trovato solo con i blog post“.

Quale lo stato dell’arte del podcasting in Italia?

Una risposta soltanto probabilmente non c’è. Secondo Minguzzi “dipende moltissimo da quale punto di osservazione si sceglie. Ci sono podcaster che per qualche decina di ascolti si sentono Beyoncé o Jay Z. Si atteggiano da divi hollywoodiani, perché per loro il grande sogno è quello di parlare al microfono, magari di una radio FM. Bravi, l’hanno in un certo senso realizzato e la loro posizione è umanamente comprensibile. Di solito questa categoria fa molto numero per nulla. Rischiando di diffondere posizioni smaccatamente entusiaste (cicero pro domo sua). Sia chiaro, comprensibili, ma sono gli stessi che hanno visto il podcasting decollare nel 2014, nel 2015, nel 2016, nel 2017, nel 2018 e ovviamente il 2019 per loro sarà indiscutibilmente l’anno del podcasting. Personalmente sono meno entusiasta, ma comunque positivo. Molti player si stanno incuriosendo ma soprattutto io ho trovato un canale che mi permette di raggiungere la mia audience e questo mi rende ottimista. Ho la mia piccola nicchia in cui sono riconosciuto e anche se non sposto grandi numeri ho buone interazioni con chi mi ascolta“.

Dati affidabili non ce ne sono. È uscita una ricerca di Nielsen che ha finanziato Audible, ma, secondo Minguzzi, “è contraddittoria in molti punti. Sembra fatta da chi non ha mai ascoltato un podcast e qui è un po’ il vero problema perché la tecnologia sta maturando ora ma è ancora acerba. Benché caricare un MP3 su una piattaforma sia facile (non era così in passato), non è facile tracciare gli ascolti, misurare i ritorni degli investimenti, capire i livelli di engagement con gli ascoltatori“.

Come guadagnare con i podcast?

Ci sono due strade per guadagnare dal podcasting: o si hanno grandi audience popolari o ci si rivolge a audience specifiche. “Nel primo caso – dice Giorgio – la tecnologia è pronta, mancano solo le aziende italiane che abbiano voglia di investire sull’adv nel podcasting. Cosa che sicuramente non tarderà a realizzarsi, perché nel resto del mondo già avviene. Oppure si può guadagnare rivolgendosi a delle audience molto specifiche, difficilmente raggiungibili sui social tradizionali. Ad esempio, Germano Verì con “Colazione di Lavoro”. È un podcast con qualche centinaio di ascoltatori per puntata ma sono quasi tutti HR manager o specialisti delle risorse umane in azienda. In quel caso, ci sono sponsor che hanno tutto l’interesse di sfruttare quella audience finanziando, promuovendo, investendo sul lavoro di chi ha creato una community attorno ad un tema specifico. In questi casi è anche più facile guadagnare e le cifre in gioco sono in proporzione anche più alte“.

Quali sono i vantaggi, lato brand, nell’investire in questo canale di comunicazione?

A rispondere è ancora Giorgio. “Uno dei problemi principali è la discoverability, cioè la capacità di un contenuto di essere trovato dall’utente giusto nel momento giusto. Questo è un gran problema, ma ad oggi è anche un vantaggio perché se pensi a quanti clic ci vogliono per raggiungere il tuo podcast preferito, puoi anche immaginare quanto gli ascoltatori possano essere motivati e interessati a seguire quello che stai dicendo nei tuoi episodi. Insomma, chi ascolta un podcast oggi e lo fa in maniera ricorrente, da subscriber è davvero molto interessato e molto coinvolto. Questo è il primo grande vantaggio per le aziende che investono in questo tipo di canale. Qui a farla da padrone è la relazione di fiducia tra ascoltatori e host della trasmissione. Se si fa leva su questo patto le aziende sono soddisfatte. Ovviamente l’host non deve svendere la sua audience e promuovere solo ciò in cui crede veramente. Un altro vantaggio per le aziende è che il pubblico è raggiungibile dai loro messaggi quando è in un momento in cui difficilmente altri potranno disturbarlo. Mentre guido è difficile che io guardi la TV, oppure che mi intrattenga con i video di Youtube, o che metta dei like su Facebook. Inoltre, l’ascolto è intimo, personale, spesso in cuffia e sicuramente è un modo per legare il proprio brand con la propria audience. L’investimento non si esaurisce subito, ma nel tempo è sempre disponibile a essere ascoltato da nuove persone che nel frattempo hanno iniziato a cercare quel tipo di contenuti. Diciamo che è un investimento longevo se paragonato ad altri di rapido consumo“.

In America questo mondo è così sviluppato che le aziende vanno a cercare dei microinfluencer per raggiungere con messaggi specifici delle micronicchie molto interessanti. Ad esempio, WordPress ha sponsorizzato “Merita Business Podcast” nel 2018. Dagli Stati Uniti hanno cercato un podcast in linea con le persone che volevano raggiunge per iniziare i primi approcci dedicati al mercato italiano. Da noi iniziano ora i grossi player, con produzioni di branded podcast. A giorni è uscito “Trapburger”, un podcast realizzato da TIM Music con delle interviste al mondo della trap italiana. Giusto per citarne qualcuno.

“Francamente non so se il 2019 sarà l’anno del podcasting in Italia” – conclude Giorgio Minguzzi. “Spero che questa tipologia di contenuti, con la sua distribuzione che sa far dialogare online e offline, riporti all’attenzione nell’ascolto dell’altro, in tutti i sensi. Siamo troppo presi dallo scroll frettoloso delle immagini, dal guardare senza osservare, dal leggere in superficie e abbiamo bisogno di rieducarci all’approfondimento, anche attraverso l’immaginazione. L’audio ci permette di usare la fantasia, di “vedere” con la nostra testa: ti ricordi gli sceneggiati radio di una volta?“.

Ecco, di nuovo, i corsi e ricorsi storici.

Come al solito non ci stiamo inventando nulla, ma reinterpretiamo e ricontestualizziamo perché come intonavano i Queen in Radio Ga Ga: “When we grow tired of all this visual, quando saremo stanchi di tutte queste immagini, di tutto questo apparire, forse ritroveremo il gusto di ritornare al senso dell’ascolto, quello che sa percepire oltre lo “stare a sentire”.

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1 COMMENT

  1. il link che parte da “ricerca” non porta a nessuna “ricerca Nielsen”. potresti fornire il link giusto?

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