Si dice che non possa esistere sviluppo sostenibile senza trasparenza. Perché la possibilità per i cittadini di conoscere l’operato delle Amministrazioni ne aumenta la responsabilità e, di conseguenza, ne stimola la partecipazione. L’abbattere i muri tra Amministrazioni pubbliche e persone è da ritenersi pertanto non solo un esercizio teorico o l’assolvimento di un obbligo di legge (che comunque c’è nel nostro Paese), ma un modo per creare valore.
Esempi di trasparenza mancata potremmo farne diversi, ma uno lo vogliamo raccontare, attraverso una storia che ci aiuta a comprendere .
Monica è una giornalista freelance, appassionata di giornalismo d’inchiesta, quello che ci consente di capire meglio qualcosa che accade, al di là di una velina di palazzo. Monica intercetta da un’amica insegnante la notizia che il MIUR sta cambiando le caselle di posta elettronica. Oltre un milione di caselle di posta elettronica tra quelle di scuole, segreterie, docenti. Il sito istituzionale del Ministero lo riporta in bella mostra, mettendo in evidenza il vantaggio: “la nuova casella di posta avrà una capienza di gran lunga superiore a quella attuale, ovvero 50 Gb”. A Monica non sfugge un particolare: “avrai disponibili nuovi strumenti Office365 (es. Teams, Onedrive) integrati alla posta elettronica e al calendario Outlook, e altri che verranno rilasciati in futuro”. E si pone la prima domanda:
MIUR sceglie Office365 per la gestione dei suoi documenti?
Avendo seguito un altro caso, come quello della passaggio a Office365 della Provincia Autonoma di Bolzano, dove i costi della migrazione erano stati molto alti a fronte peraltro di qualche difficoltà che aveva letto in uno studio di fattibilità della stessa Provincia, si incuriosisce e va a cercare il costo dell’operazione. Un’altra domanda le era già sorta spontanea:
Quanto costa migrare a Office 365 ma, soprattutto, quanto costerà in futuro in termini di lock in?
Monica si appassiona alla cosa e inizia a guardare tra gli atti nella sezione trasparenza. Niente. Guarda allora tra i bandi di gara e trova il “DDG n. 113 dell’11 maggio 2020”, con cui si approva l’acquisto di “650.000 caselle posta elettronica al prezzo unitario di € 0,07 per un totale di € 1.638.000,00 Iva esclusa per 36 mesi” più consulenze necessarie alla migrazione per un totale di “€ 1.965.480,00 + Iva € 432.405,60 (tot. € 2.397.885,60)”. Convenzione Consip. Ma nessun riferimento a Microsoft Office 365 né qui né su altri atti. O almeno crede. Giornalisticamente, volendo approfondire la cosa, chiede all’ufficio stampa MIUR. Nessuna risposta. Chiede all’ufficio stampa Microsoft. Nessuna risposta. Chiede all’ufficio stampa Aruba che in un primo momento risponde con entusiasmo ma poi, purtroppo, “la persona che potrebbe fornire risposte al momento non c’è, ci scusiamo”. Come fare per capirci un po’ di più, mentre si è sollevata un po’ di polemica da parte di alcuni?
Monica sa che nel nostro Paese c’è il FOIA, forse mezzo FOIA non proprio uguale al FOIA americano, ma c’è. Sospeso in emergenza COVID, ma forse una risposta la si può avere ora. Fa un accesso civico e chiede. La risposta arriva dopo pochi giorni: “l’acquisto è stato effettuato mediante adesione ad una convenzione Consip (pubblicata sul sito di Consip) in quanto le pubbliche amministrazioni sono obbligate ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, stipulate da Consip SpA”. Ma lei aveva chiesto anche di Microsoft e di Office 365 e nella risposta non ci sono riferimenti. Ma com’è questa storia? Un’altra domanda le sorge spontanea:
Perché tanta fatica per capire (e raccontare giornalisticamente) come un Ministero investe risorse pubbliche? Perché tanta fatica per comprendere se un Ministero affida i suoi documenti a una grande multinazionale?
E mentre, un po’ infastidita, si fa tutte queste domande, legge la storia del suo collega Raffaele Angius, che voleva raccontare il fatto e che è passato per un paio di accessi civici, con un secondo rimasto senza risposta tanto da portarlo a ricorrere al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (rpct), che gli ha messo a disposizione i costi della migrazione a Office365 (che né Monica né Raffaele erano riusciti a trovare sul sito) e li ha pure resi pubblici su GitHub. Costi non altissimi, che si aggirano intorno ai 500mila euro e che comprendono pure il rinnovo di alcune licenze Microsoft Windows. Costi che, secondo la risposta data a Raffaele, conterrebbero anche quelli per la convenzione PEL Consip Aruba (ma per quella non si arrivava secondo un altro atto a una cifra sopra i 2 milioni?, ndr). Costi zero per una parte delle caselle che Microsoft “regala” come educational. C’è ancora confusione insomma, nonostante 3 accessi civici, il progetto esecutivo Aruba che Monica ha ricevuto in risposta all’accesso civico. Del resto, il MIUR risponde al collega Angius di non poter divulgare studi di fattibilità in quando “contengono informazioni di carattere tecnico riservato, relativamente alla configurazione di sistemi e servizi del sistema informativo dell’istruzione, la cui pubblica conoscenza potrebbe determinare rischi per la sicurezza dello stesso”.
Nel frattempo diverse associazioni, come Wikimedia Italia, e tanti attivisti del software libero lamentano la scelta del passaggio a piattaforma proprietaria Microsoft. Del resto, già il professor Angelo Raffaele Meo dell’Università di Torino, a luglio, scrisse una lettera aperta, sottoscritta da molti, con la quale chiedeva alla Ministra Azzolina perché avesse indicato solo piattaforme proprietarie per la DAD.
Monica pensa di chiedere un parere a Roberto Candiotto, direttore del master di I livello in management del software libero organizzato da UniPO: “Se, in senso lato, sono sostenibili i processi di sviluppo in grado di essere mantenuti e di progredire evitando di compromettere le risorse future, e se occorre, ora più che mai, creare e promuovere l’innovazione equa e responsabile (obiettivo 9 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile), non può che essere “open” il paradigma con il quale si devono perseguire tali finalità. Il successo di progetti Open Source, anche in strumenti di larga diffusione, ha dimostrato che l’ottica collaborativa e aperta può incrinare le credenze dei classici modelli basati sulla concorrenza e sulle norme a protezione dei diritti della proprietà intellettuale. La produzione e la condivisione della conoscenza sono cruciali per affrontare (e risolvere) problemi complessi, compresi, evidentemente, quelli relativi alla sostenibilità e alle sue declinazioni (ambientale, sociale, ecc.). In queste circostanze, la formazione, proiettata a logiche e pratiche in prospettiva “open”, svolge un ruolo fondamentale e, cominciando proprio dagli strumenti di produttività individuale, può utilmente diffondere un sistema di principi (pensiero divergente, attenzione e partecipazione a comunità di innovatori, valorizzazione di multidisciplinarità…) per lo sviluppo di innovazione sostenibile. Non si tratta, pertanto, di ragionare in termini di presunti vantaggi e svantaggi economici, peraltro di breve periodo, ma di acquisizione, incremento e valorizzazione di conoscenze, competenze e abilità per sostenere un sistema sociale in grado di perdurare“.
Dello stesso parere l’avvocato, esperto di digitale, Carlo Piana: “direi che il costo della licenza è solo uno dei parametri da tenere in considerazione, così come il TCO. Ma più di questioni tecniche, fa specie che proprio un ministero che dovrebbe essere votato a istruire ed educare si riduca ad acquisire strumenti fondamentali per l’attività didattica da chi è da trent’anni al centro di indagini antitrust, che ha creato una monocoltura tecnologica perniciosa e senza precedenti, anche non contando il piccolo particolare della questione privacy dopo la sentenza Schrems II. Il fatto che una soluzione sia gratuita, comunque, non esime affatto l’amministrazione dal condurre un’analisi comparativa, né dall’osservare i principi di imparzialità, buon andamento e legalità dell’amministrazione pubblica”.
Sarebbe stato bello avere anche una dichiarazione del MIUR o trovare sul sito in modo chiaro il racconto di tutta l’operazione. Monica, da giornalista, ci ha provato a fare chiarezza, ma sente di non esserci riuscita.
Ma davvero in Italia, nel 2020, non è possibile capire le dinamiche con cui si sceglie uno strumento digitale in un Ente pubblico? Si può non poter comprendere le modalità con cui un Ministero decida di investire risorse pubbliche o il perché corra il rischio di legarsi a un unico fornitore accettando la gratuità di uno strumento?
Tante le domande senza risposta. Domande semplici, che ricordano il celebre aforisma tratto da “L’insostenibile leggerezza dell’essere“: “Le domande veramente serie sono solo quelle che possono essere formulate da un bambino. Sono domande per le quali non esiste risposta”. O se esiste non vuole essere esternata. Un vero peccato, però.
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