Obiettivo 11 – Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili

L'SDG 11 ci pone di fronte al fatto che esistono ancora diverse sfide da affrontare per fare in modo che le nostre città siano inclusive, sicure e sostenibili: sfide che, attraverso dati aperti e di alta qualità, potrebbero essere affrontate più facilmente

Proviamo tutti a rispondere a questa domanda: “vivo in una città inclusiva, sicura e sostenibile?

Chi vi scrive direbbe di no, per la sua attuale città di residenza, ossia Roma, ma quanto questo è percezione e quanto è supportato da dati che ci raccontano se è effettivamente così? Ritorniamo sempre alla solita considerazione che caratterizza il nostro viaggio: dati aperti per il massimo riutilizzo da parte di chiunque per qualunque scopo, (sottolineiamo nuovamente, massimo riutilizzo, anche commerciale), potrebbero aiutarci a comprendere meglio se viviamo in città sostenibili, o potrebbero aiutarci ad adottare comportamenti che complessivamente, e sotto diverse prospettive, nel medio-lungo periodo ci porterebbero a rendere l’ambiente in cui viviamo più duraturo, inclusivo e sicuro.

L’agenda Onu 2030 per l’obiettivo 11 ci pone di fronte al fatto che esistono ancora diverse sfide da affrontare per assicurare che i nostri centri urbani siano da un lato luoghi di prosperità e dall’altro luoghi in grado di non danneggiare le risorse e il territorio. Le sfide toccano diversi ambiti: dal traffico, ai servizi di base, dal degrado delle infrastrutture, alla scarsità degli alloggi, dalla gestione dei rifiuti, alla salvaguardia del patrimonio culturale e naturale.

I traguardi, infatti, definiti per questo obiettivo riguardano potenziali dati appartenenti a domini molto diversi tra loro che, in ottica proprio di apertura dei dati, potrebbero però essere analizzati insieme nel loro complesso.

I traguardi dell’obiettivo 11

I principali traguardi possono essere riassunti come segue:

  • garantire accesso ad alloggi adeguati, convenienti unitamente a servizi di base, riqualificando quartieri poveri;
  • potenziare e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale;
  • garantire accesso a un sistema di trasporti che sia sicuro, conveniente (che significa per esempio risiedere a pochi metri da una fermata dell’autobus) e sostenibile, migliorando la sicurezza delle strade, potenziando il sistema di trasporto pubblico ponendo particolare attenzione alle persone più vulnerabili (disabili, anziani, bambini);
  • ridurre l’impatto ambientale negativo pro-capite delle città, guardando con attenzione elementi quali la qualità dell’aria e la gestione dei rifiuti;
  • fornire un accesso a spazi verdi e spazi pubblici sicuri, inclusivi e accessibili;
  • potenziare un’urbanizzazione che sia più inclusiva e sostenibile;
  • diminuire in modo sostanziale le perdite economiche dirette rispetto al prodotto interno lordo globale causate da calamità, comprese quelle legate all’acqua, con particolare attenzione alla protezione dei poveri e delle persone più vulnerabili.

A che punto siamo nel raggiungimento di questi traguardi

Guardando i risultati del monitoraggio proprio del 2021, si nota come la pandemia ha determinato un peggioramento in quanto ha incrementato le disuguaglianze e ha mostrato le vulnerabilità delle nostre città. Stando al rapporto delle Nazioni Unite, la pandemia ha colpito in modo sproporzionato le famiglie a basso reddito e questo ha aumentato ulteriormente il numero di abitanti delle baraccopoli e di coloro le cui condizioni di vita si sono deteriorate, rendendoli ancora più vulnerabili.

Ancora, secondo i dati del 2019 di 610 città in 95 paesi, solo la metà della popolazione mondiale vive entro 500 metri di distanza a piedi da sistemi di trasporto a bassa capacità (come autobus o tram) ed entro 1.000 metri da sistemi ad alta capacità (come treni e traghetti). L’accesso al trasporto pubblico è stato significativamente interrotto durante la pandemia e dovrebbe essere rivisto per essere meglio integrato con percorsi pedonali e ciclabili, con piani di mobilità urbana sostenibile e investimenti mirati. Infine, la parte dell’area urbana globale destinata a strade e spazi pubblici aperti è in media circa il 16%, secondo i dati di un campione di 911 città di 114 paesi nel 2020. Questo è ben al di sotto della raccomandazione di UN-Habitat che pone il limite del 30% di strade e di un ulteriore 10-15% di spazi pubblici aperti.

Nonostante queste valutazioni non proprio positive, fatte tra l’altro su dati liberamente riutilizzabili, si riconosce che la stessa pandemia può essere un’ottima occasione per ripensare nel lungo periodo al modo in cui i nostri centri urbani, le infrastrutture, i trasporti sono organizzati.

In Italia, lo stato rispetto ai traguardi di questo obiettivo ce lo fornisce come sempre ISTAT. In estrema sintesi, le condizioni abitative non soddisfacenti riguardano più di un quarto della popolazione italiana, circa un terzo delle famiglie è insoddisfatta dell’utilizzo dei mezzi pubblici con difficoltà di collegamento nelle zone in cui risiede e questo, tra le altre cose, fa rimanere piuttosto elevata la quota di persone che usano abitualmente il mezzo privato, per esempio per raggiungere il posto di lavoro. I livelli di inquinamento atmosferico da particolato sono elevati e sopra la media UE. Il consumo di suolo pro-capite si conferma in aumento. L’unico segnale più positivo sembra la quota di rifiuti conferiti in discarica che in anni recenti (il monitoraggio ISTAT è riferito al 2020) è diminuito. Insomma, non certo uno scenario incoraggiante se vogliamo veramente rendere i nostri centri urbani sostenibili!

Ancora una volta, provare a costruire una società guidata dai dati, aperti, potrebbe aiutarci nelle scelte, in quegli investimenti mirati che anche il rapporto delle Nazioni Unite auspica. Come scrive qualche rappresentante di una nota comunità open data italiana – Open Data Sicilia – a proposito di dati sui vaccini covid-19Quando i dati sono disponibili, aperti, machine-readable e con la giusta licenza (aggiunge chi vi scrive, machine-readable, di alta qualità e con la giusta licenza aperta per il massimo riutilizzo), ciascuno di noi può dare libero sfogo alle proprie competenze e alla propria fantasia per far parlare quei dati al meglio, scegliendo o creando la rappresentazione che ritiene più efficace per evidenziare quelli che si ritengono gli aspetti più salienti”. Quanto colpisce questa frase nel contesto dell’obiettivo che parla proprio delle città in cui viviamo ogni giorno della nostra vita!

I dati aperti per supportare questo obiettivo sono piuttosto comuni, facendo un’analisi anche non troppo approfondita su alcuni cataloghi di dati aperti. Tuttavia, si rileva sicuramente una mancata apertura omogenea in alcuni casi tale da rendere più difficili e non complete analisi comparative su scala nazionale.

I dati aperti per l’obiettivo 11

Ma vediamo quali dati aperti possono supportare per i) comprendere meglio i nostri centri urbani; ii) capire come calibrare le nostre politiche future per una società più inclusiva, iii) dar vita a nuovi tipi di business che puntino su soluzioni per le città che siano accessibili e sostenibili; iv) migliorare l’efficacia e l’efficienza di alcuni servizi pubblici.

In relazione anche a specifici indicatori di misurazione del livello di raggiungimento dell’obiettivo, alcuni dati potrebbero essere resi disponibili secondo il paradigma open data. Vogliamo far notare che sicuramente questi dati sono in possesso di pubbliche amministrazioni (i cosiddetti Open Government Data) ma anche dati aperti creati dalle comunità, come per esempio i dati aperti di OpenStreetMap o di Wikidata, possono essere un valido supporto.

Nello specifico, esempi di dati aperti per l’obiettivo 11 potrebbero essere riassunti come segue:

  • dati sul censimento della popolazione residente, grazie ai quali derivare statistiche sulla percentuale di abitazioni con alloggio non adeguato o fatiscente – (indicatore 11.1.1 – percentuale di popolazione che vive in baraccopoli urbane, insediamenti informali o alloggio inadeguato);
  • dati sui trasporti sia relativi a mezzi privati che al trasporto pubblico. In quest’ultimo caso, dati sulle fermate, sugli orari e dati in tempo reale del passaggio dei mezzi pubblici potrebbero essere molto preziosi per comprendere quanto sia agevole l’accesso al trasporto pubblico;
  • dati sugli incidenti stradali grazie ai quali misurare il livello di sicurezza del trasporto delle nostre città e grazie ai quali adottare poi politiche mirate di revisione, per esempio di alcuni meccanismi che sulle strade regolano il flusso di traffico;
  • dati sulle piste ciclabili e sulle zone pedonali che insieme ai dati sui trasporti e sugli incidenti del punto precedente potrebbero essere di valido aiuto per comprendere il contesto di mobilità offerto dai nostri centri urbani (contribuendo al target 11.2 relativo all’accesso sicuro, conveniente e sostenibile ai sistemi di trasporto);
  • dati sui rifiuti, con la percentuale di raccolta differenziata, con la localizzazione dei siti di smaltimento. Questi dati possono contribuire in maniera significativa al calcolo dell’indicatore 11.6.1 – Percentuale di rifiuti solidi urbani raccolti e gestiti in strutture controllate sul totale dei rifiuti urbani generati, per città;
  • dati sul consumo del suolo utili per il calcolo dell’indicatore 11.3.1 – Rapporto tra il tasso di consumo di terra e il tasso di crescita della popolazione;
  • dati di qualità dell’aria con la definizione dei livelli di concentrazione di specifiche sostanze da combinare con i dati precedenti elencati (indicatore 11.6.2 – Livelli medi annuali di particolato fine – ad esempio PM2.5 e PM10- nelle città, ponderati in base alla popolazione);
  • dati sugli spazi pubblici e sugli spazi verdi con relativi servizi offerti anche per persone più fragili come per esempio disabili, bambini, anziani (indicatore 11.7.1 – Quota media dell’area edificata delle città che è spazio aperto per uso pubblico per tutti, per sesso, età e persone con disabilità);
  • dati sul patrimonio culturale/naturale e quota di spesa per la loro protezione e conservazione (indicatore 11.4.1- Spesa totale pro capite per la preservazione, protezione e conservazione di tutto il patrimonio culturale e naturale, per fonte di finanziamento, tipo di patrimonio e livello di governo);
  • dati su eventi estremi quali frane, inondazioni, anche in relazione ai dati già analizzati per i precedenti obiettivi SDG di questa rubrica e ai dati relativi alle morti e alle persone direttamente colpite da tali eventi (indicatore 11.5.1 – Numero di morti, persone scomparse e persone direttamente colpite attribuite ai disastri per 100.000 abitanti).

Come precedentemente evidenziato, questi dati spesso si trovano in diversi cataloghi di dati aperti di amministrazioni locali, più sensibili a questi temi e al monitoraggio del territorio. Pertanto, dati sugli spazi verdi, dati sulla qualità dall’aria (anche se su questi, provenienti dalle ARPA regionali, spesso con siti web fermi agli anni ’90, ci sarebbe molto da dire!), dati sui trasporti pubblici, principalmente statici non tanto dinamici, sono disponibili in un formato aperto e con una licenza aperta. Alcuni di questi, come altri che abbiamo già incontrato nei precedenti articoli, sono indicati nel paniere nazionale di dati aperti dell’Agenzia per l’Italia Digitale come dataset prioritari da aprire per le amministrazioni locali.

In passato, dati aperti sugli incidenti hanno dimostrato che si può veramente riprogettare le nostre strade per renderle più sicure. Se volete leggere una bella storia di data journalism proprio su questo, chi vi scrive consiglia quella pubblicata dal catalogo dei dati aperti della Regione Lombardia dove, grazie agli open data, un comune ha rivisto le politiche di gestione del traffico riducendo concretamente il numero di incidenti e dei morti. Questo si può fare, quando ci sono dati liberamente riutilizzabili da tutti per qualunque scopo!

Anche dati sul patrimonio culturale, sebbene non con le quote di spesa per la loro protezione e conservazione, sono disponibili da diversi anni come dati aperti. Su questo ancora una volta chi vi scrive è un po’ di parte, ma bisogna segnalare l’enorme sforzo di alcuni istituti del Ministero della Cultura (MIC) per aprire i dati del patrimonio culturale e degli eventi culturali secondo il paradigma Linked Open Data. Probabilmente è l’iniziativa più grossa di costruzione di un grafo della conoscenza che abbiamo in Italia e anche la più virtuosa sotto tanti aspetti (tranne per la licenza aperta scelta!). Grazie a questo grande grafo della conoscenza, si è potuto costruire un catalogo dei beni culturali molto più ricco rispetto al passato, con un’esperienza di ricerca diversa, più controllata grazie a una chiara semantica condivisa e a collegamenti con altri dati presenti nel cosiddetto Web dei Dati. Del resto, il vero valore dei dati si ha quando si riescono a rompere i data silos collegando i dati con altri disponibili.

Tuttavia, nonostante esempi virtuosi che comunque esistono, per alcuni dati che abbiamo fin qui menzionato, non si può far a meno di notare la loro scarsa apertura come nel caso rifiuti: esiste infatti un sistema che si chiama ORSO – Osservatorio Rifiuti Sovraregionale che contiene informazioni molto preziose e che non è aperto. Perché non si prova ad aprire quei dati, come tra l’altro diverse comunità in passato richiedevano?

Infine, alcuni open data prima citati sono spesso non aggiornati e non completi su scala nazionale, limitando così le possibilità di riutilizzo. Infatti, non basta solo aprirli, come ci siamo detti tante volte; bisogna investire per far sì che questi dati aperti siano di alta qualità, perché solo in questo modo essi possono veramente portare i benefici che si ricordava precedentemente.

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