Crisi climatica o crisi politica?

Nel pieno di COP26, con gli effetti ambientali e sociali del riscaldamento globale che continuano a imperversare, occorre chiedersi quanto dell’attuale crisi climatica sia, anche, una crisi politico economica. Salvare il Pianeta richiede però azioni immediate: Glasgow è stata l'ultima fermata

Immagine distribuita da Pixabay

Reduci dall’incontro Cop26 di Glasgow sul climate change, ci si domanda quanto della crisi climatica sia risolvibile in tempi relativamente brevi per salvare il pianeta o quanto in realtà le distanze tra i vari paesi del mondo rendano difficile, o addirittura non realizzabile, questa mission impossible, e questo tanto più perché non vi sono dubbi sulla gravità del momento. 

Dal 1880 al 2020 il nostro pianeta si è riscaldato mediamente di ben + 1,2° C; la maggior parte di questo riscaldamento si è avuto negli anni compresi tra il 2003 e il 2012, quando la temperatura è aumentata mediamente di +0,78°C

Come ricordano nel loro libro “Clima in crisi” (L’asino d’oro edizioni 2021) Simonepietro Canese, Ugo Carlotto e Gianni Ferri Bontempi, “il riscaldamento del nostro pianeta non è più una opinione e il cambiamento che stiamo osservando a partire dal 1950 non ha precedenti nelle ultime migliaia di anni. Se consideriamo insieme gli oceani e le terre emerse, vediamo che dal 1880 al 2020 il nostro pianeta si è riscaldato mediamente di ben + 1,2° C; la maggior parte di questo riscaldamento si è avuto negli anni compresi tra il 2003 e il 2012, quando la temperatura è aumentata mediamente di +0,78°C. Un aumento medio di temperatura di quasi +1°C sta causando danni devastanti all’ambiente e alla salute umana, ma anche alle nostre società: da decenni vi sono morti e flussi migratori provocati dagli effetti del global warming di cui purtroppo i principali responsabili siamo proprio noi”. 

Alec Ross, nel suo libro appena uscito “I Furiosi anni venti” (Feltrinelli editore 2021), ci aiuta a capire un pò di più la questione. “Il modello economico adottato dai paesi più ricchi è alla base del problema del global warming. In questi paesi vigono economie capitaliste che da circa cinquant’anni hanno adottato come impianto teorico delle proprie politiche quello che, in economia, è definito ‘neoliberismo’. L’idea centrale del neoliberismo è che ci sia una forma di relazione naturale all’interno della società umana, la competizione, e che ciascuno di noi non faccia altro che massimizzare la propria ricchezza e il proprio potere a spese di altri; promuove quindi una libertà di mercato che agisce senza l’intervento dello Stato, lasciando che le forze del mercato, guidate dalle leggi della concorrenza, regolino l’equilibrio del sistema economico: Uno dei sogni di tale modello è che bisogna rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla realizzazione del libero mercato. 

Il modello economico adottato dai paesi più ricchi è alla base del problema del global warming

Le continue crisi economiche che si stanno susseguendo negli ultimi decenni suggeriscono che l’attuale modello neoliberista di politica economica è fallito, come sostenuto da moltissimi Stati e organizzazioni internazionali che ritengono che il neoliberismo ci stia portando all’autodistruzione. Se cosi non fosse non sarebbero stati scritti centinaia di accordi e programmi che richiedono di modificarlo in nome della sostenibilità”.  

A questo punto capiamo che la crisi climatica è innanzitutto una crisi politico economica e sicuramente geopolitica e geoeconomica, ecco perché dai summit dedicati all’ambiente se ne esce sempre con promesse vaghe e rimandate a tempi non controllabili e futuribili, a dir poco. Ha ragione ancora Alec Ross, dicendo che avremmo bisogno di un nuovo contratto sociale “capace di ascoltare i lavoratori e i cittadini di fronte a una rivoluzione globale senza precedenti”. 

È quasi infantile dirlo, ma come ci ricorda Fabrizio Cortesi sul il fattoquotidiano del 9 settembre 2021, “la stessa razionalità e l’osservazione della realtà, del resto ci dovrebbero far accettare l’idea della finitezza della Terra, consigliandoci di intraprendere più azioni coordinate per gestirla e farci capire che gli effetti negativi dei limiti dello sviluppo rischiano di diventare tanto più pesanti quanto più tardi si agirà ….Di fatto la politica e le tecnocrazie globali e nazionali, ora più che mai condizionate dall’insaziabile mondo industriale e finanziario che va in panico se non vede la crescita degli utili aziendali a doppia cifra di anno in anno, enfatizzano quotidianamente perciò i mirabolanti obiettivi “sviluppisti” di crescita che dobbiamo perseguire in termini di PIL, di produzioni industriali, di sviluppo, pena “enormi sciagure e disgrazie” in caso contrario; questo in un mondo che ormai arriva già nel mese di luglio di ogni anno all’Overshoot Day, ossia a esaurire le risorse rigenerate dalla Terra”. Glasgow è stata veramente l’ultima fermata.

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Roberto Panzarani è docente di Innovation Management. Studioso delle problematiche relative al capitale intellettuale in contesti ad elevata innovazione e autore di svariate pubblicazioni. Da molti anni opera nella formazione in Italia. Esperto di Business Innovation, attualmente si occupa dello sviluppo di programmi di innovazione manageriale per il top management delle principali aziende e istituzioni italiane e internazionali. Viaggia continuamente per il mondo, accompagnando le aziende italiane nei principali luoghi dell’innovazione dalla Silicon alla Bangalore Valley, all’Electronic City di Tel Aviv, ai paesi emergenti del Bric e del Civets. L’intento è quello di facilitare cambiamenti interni alle aziende stesse e di creare per loro occasioni di Business nel “nuovo mondo”. L’ultimo suo libro è “Viaggio nell'innovazione. Dentro gli ecosistemi del cambiamento globale”, Guerini e Associati, 2019.

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