Una dieta per l’ambiente

L’applicazione delle analisi all’infrarosso per realizzare razioni perfette per gli animali, riducendone l‘impatto ambientale

Immagine distribuita da Pixabay

Ridurre le emissioni di gas climalteranti è un compito che il mondo agricolo ha intrapreso con grande serietà e impegno, benché le sue responsabilità siano assai inferiori a quelle di altri comparti. Lo ha confermato l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), fissando a poco più del 7% le emissioni totali attribuibili alle produzioni agricole. La maggior parte di queste (circa il 5% del totale) provengono dagli allevamenti, con la produzione di metano (CH4), ammoniaca (NH3), protossido di azoto (N2O).

L’ISPRA ha fissato a poco più del 7% le emissioni totali attribuibili alle produzioni agricole. La maggior parte di queste (circa il 5% del totale) provengono dagli allevamenti

Emissioni che tradotte e misurate in termini di CO2 fanno scoprire che il carbonio immesso in atmosfera dalla zootecnia è inferiore a quello sequestrato da pascoli e colture. Nonostante ciò, gli allevamenti continuano nel loro impegno nel ridurre l’impatto sull’ambiente. Lo fanno per senso civico, ma anche per convenienza. Perché i primi a patire le conseguenze dei cambiamenti climatici sono gli agricoltori e poi perché i sostegni dell’Unione europea sono sempre più condizionati all’applicazione di corrette pratiche in stalla come sui campi.

Nel caso degli allevamenti l’attenzione è puntata in particolare sull’alimentazione degli animali. Da tempo la ricerca scientifica ha evidenziato il rapporto fra dieta e produzione di latte e carne, studi che hanno al contempo messo in luce le perdite di nutrienti rilasciate nell’ambiente in presenza di squilibri alimentari. Sulla scia di queste constatazioni si sono moltiplicati gli sforzi per ottenere razioni alimentari perfettamente equilibrate in funzione degli obiettivi di produzione. È il principio alla base del precision farming (agricoltura di precisione), declinata in zootecnia nel precision feeding (alimentazione di precisione).

I nutrizionisti hanno così messo a punto per ogni specie animale le razioni adatte a ogni momento della produzione, tenendo conto con una precisione maniacale delle caratteristiche di ogni singolo alimento. Non solo formule alimentari, ma anche indicazioni sulla preparazione e sulla somministrazione dei pasti. Con questa dieta “ideale” nulla va sprecato, se non l’indigerito, ottimizzando produzione e impatto ambientale. Nel caso dei bovini anche con una sensibile riduzione anche del metano proveniente dalle fermentazioni ruminali.

Ottenere questa razione “ideale” è tuttavia cosa non semplice. Colpa della estrema variabilità della composizione delle materie prime che entrano nella razione. Che sia mais o soia, erba medica o foraggi affienati e freschi, la loro composizione è sempre diversa e non resta che basarsi su dati medi e come tali imprecisi. Oppure affidare a un laboratorio il compito di analizzare ogni campione di alimento. Impresa impossibile sia per i costi sia per i tempi necessari.

Impossibile sino a ieri, ma realizzabile oggi grazie alle innovazioni tecnologiche in campo digitale. Ciò che richiedeva costose e ingombranti attrezzature ora si può fare direttamente in stalla con attrezzature portatili. Accade con l’applicazione dei NIRS, acronimo di near infrared reflectance spectroscopy. Vediamo di cosa si tratta in poche parole, a costo di far inorridire gli esperti di questa materia.

Alla base c’è la proprietà delle radiazioni ottiche della banda spettrale nel vicino infrarosso, che attraversando un campione da esaminare vengono in parte assorbite e in parte riflesse. Dall’esame dello spettro di assorbimento sarà possibile ricavare informazioni sulla composizione del campione. Per di più non è necessaria una particolare preparazione del materiale da esaminare, che può avere una composizione eterogenea, come quella di un mangime o di un unifeed a base di trinciato di mais o altro. Grazie alla capacità dei NIRS di penetrare in profondità, l’esame può essere fatto anche sulla massa di foraggio insilato.

La tecnologia NIRS consente di misurare direttamente in mangiatoia cosa stanno per assumere gli animali, e che nella preparazione della razione ci sia la necessaria omogeneità: dati che danno importanti informazioni sull’efficienza dell’alimentazione e quindi sull’impatto ambientale delle “scorie” animali

Nota da tempo, ma relegata sino a poco tempo fa dentro le stanze di un laboratorio, la tecnologia NIRS è ora possibile comprimerla in una scatola poco ingombrante e trasportabile e con questa misurare direttamente in mangiatoia cosa stanno per assumere gli animali. Prima ancora si può verificare che nella preparazione della razione ci sia la necessaria omogeneità, indispensabile per evitare bruschi (e dannosi) cambiamenti della razione stessa. Un insieme di dati dai quali è poi possibile ricavare informazioni preziose sull’efficienza dell’alimentazione e di conseguenza sull’impatto ambientale delle “scorie” animali e del loro contenuto. Queste tecnologie vanno a sommarsi a quelle già esistenti nelle aziende agricole e in particolare in quelle di allevamento, dove sensori di movimento sugli animali, dispositivi digitali indossabili, centraline di controllo sull’ambiente, robot di mungitura e di alimentazione producono una enorme mole di informazioni e di dati. Un patrimonio prezioso che rischia di essere utilizzabile solo in parte.

Colpa della mancata “comunicazione” fra questi diversi sistemi, che ne impedisce la interoperabilità e costringe gli utilizzatori a un difficile lavoro di interpolazione. In più si chiede agli imprenditori agricoli di avere maggiori competenze informatiche e digitali, non sempre agevoli da apprendere. Se molti anni fa ci si preoccupava di elevare il livello culturale di quanti operavano sui campi, ora è venuto il momento di interrogarsi su come accrescere le loro competenze digitali. Un problema che non riguarda solo il mondo agricolo.

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