Cominciamo il 2022 ancora sotto i colpi funesti di una pandemia che non cenna a diminuire, ma che anzi con la nuova variante omicron aumenta i contagi e ci fa sentire definitivamente come una “società malata” che non riesce ad uscire da questa dimensione. Ma è solo la pandemia o l’origine della nostra malattia è più profonda? Dipende solo dalla scienza la nostra guarigione o anche da altri fattori?
In un articolo su Psychiatric on line Italia del 19 settembre 2021, Sarantis Thanopulos cita Jay S. Kaufman, professore nell’Università McGill ed ex presidente della Società per la Ricerca Epidemiologica, il quale ricorda in un articolo del 10 settembre sul New York Times che la scienza da sola non può curare una società malata, e cita la figura di Rudolf Virchow “allora ventiseienne patologo inviato a investigare una epidemia di tifo nell’Alta Silesia nel 1848. Dopo un’osservazione di tre settimane stilò un rapporto in cui assegnava la colpa alla povertà e all’esclusione sociale. Se fossero cambiate queste condizioni l’epidemia non si sarebbe ripetuta. Riassunse la sua visione in questa frase ‘la malattia di massa significa che la società è scombussolata’. Parole lungimiranti che Kaufman fa sue: ‘Per restaurare la fiducia nella scienza, deve esserci fiducia nelle istituzioni sociali. Il problema reale è che società malate hanno istituzioni malate. E’ per questo che otto giorni dopo la sua investigazione Virkow è andato a Berlino sulle barricate per lottare per la rivoluzione'”.
Nel mio articolo su Tech Economy 2030, “Crisi climatica o crisi politica”, dedicato a COP26, ricordavo proprio questo: “con gli effetti ambientali e sociali del riscaldamento globale che continuano a imperversare, occorre chiedersi quanto l’attuale crisi climatica sia, anche, una crisi politica economica”, affermando che “Glasgow è stata veramente l’ultima fermata”.
Ma oltre all’ambiente, la pandemia e altre malattie hanno un impatto enorme sui nostri corpi.
Nel bellissimo libro di Vybarr Cregan-Reid, “Il corpo dell’antropocene” (Codice edizioni 2020), si ricorda che “Negli ultimi duecento anni l’impatto dell’uomo sull’ambiente è stato enorme al punto che l’epoca in cui viviamo è stata ribattezzata Antropocene. Ma se tutto questo progresso ha portato degli indubbi e meravigliosi vantaggi (dalla medicina alla tecnologia) c’è un rovescio della medaglia che non può essere ignorato. Da una parte il nostro corpo si è evoluto e adattato in decine di migliaia di anni per cacciare, correre per chilometri, arrampicarsi e raccogliere; in una parola per muoversi in continuazione. Dall’altro lo stile di vita sedentario che ci siamo creati intorno non permette nulla di tutto ciò. Mal di schiena, miopia, obesità, diabete, ossa più sottili e muscoli più deboli sono i segnali inequivocabili di un cambiamento che sta già avvenendo e non in meglio.”
In un capitolo dedicato alla Rivoluzione sedentaria o “digitale” l’autore ci ricorda che “Nel corso del ventesimo secolo si verificò l’ascesa, letterale e metaforica, del palazzo di uffici, l’office block. Con esso ci fu anche un cambiamento nell’ecologia del lavoro e un crescente miglioramento del lavoro stesso. In questo periodo la natura del lavoro per l’uomo dell’Antropocene si è semplificata via via che la nostra tecnologia è diventata più ingegnosa ed efficiente: abbiamo barattato il consumo calorico biologico con l’energia meccanica derivata dai combustibili fossili, ma ci siamo dimenticati di avvisare i nostri corpi. Anche se esiste una certa varietà ecologica, in questa economia non viene più espressa fisicamente. Nei palazzi di uffici (o oggi nelle nostre case) la gente può compiere un ‘ampia varietà di funzioni diverse, però il lavoro fisico è esattamente lo stesso “…”oggi stiamo vivendo la Rivoluzione sedentaria, un modo di vivere in cui il lavoro e la vita sono dominati da due fattori: la quantità di tempo dedicata al lavoro e la nostra inattività fisica.”
In sostanza, se vogliamo un buon proposito per il 2022 a favore della sostenibilità digitale, muoviamo le nostre menti e muoviamo i nostri corpi.
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