Mentre in Italia si discute sul divieto dei cellulare in classe, considerando uno strumento potenzialmente in grado di rendere l’insegnamento migliore un ostacolo all’istruzione, un report dell’UNICEF “scommette” sulle tecnologie digitali “che offrono un impatto sociale positivo per i bambini e le loro famiglie nelle città”. Quando si parla di educazione si fa riferimento ad una realtà complessa. La sua complessità è stata in grado di mettere in crisi un altro sistema, quello scolastico. La crisi della scuola in Italia è in atto ormai da decenni: deriva da un lato dal fatto che la scuola ha cominciato a perdere presa, potere e forza rispetto al contesto sociale; e dall’altro dall’emergere di altre forme di erogazione del sapere, di carattere informale. In altre parole, si sono affermati concorrenti della scuola che non hanno la formalità di quest’ultima. La costruzione del sapere non è più verticale, tutti i soggetti sono portatori di una porzione di conoscenza. Secondo il concetto del paradigma relazionale, infatti, tutti generano forme di sapere. Bisogna poi considerare anche altri fattori che entrano in gioco come, ad esempio, il fatto che i ragazzi sono sempre meno disponibili ad apprendere un sapere in un contesto scolastico, perché considerato lontano da quello che si vive nella società e dunque non risponde bene all’obiettivo educativo della stessa scuola. O ancora: nozioni troppo teoriche o diverse esperienzialmente, avversità degli insegnanti a stabilire un rapporto di relazione con quello che accade fuori dalla scuola con conseguenti difficoltà ad integrare stimolazioni conoscitive derivanti dal contesto sociale. Così, in classe, non si aprono dibattiti rispetto alla realtà circostante. Infine, ma non per importanza, uno scarso investimento della politica rispetto all’educazione digitale che non fa che aumentare il divario tra i cambiamenti sociali e quelli scolastici. Le tecnologie digitali sarebbero sostenibili in quanto portatrici di nuovi linguaggi e nuove forme espressive facili da utilizzare e interessanti se applicate in contesti educativi. La digital education, infatti, è intesa come quell’insieme di opportunità offerte dalle tecnologie digitali che contribuisce all’autorealizzazione dell’individuo e alla sua integrazione socioculturale. Così il digitale diventa anch’esso uno strumento per lo sviluppo di un futuro sostenibile, il cui ruolo è quello di fornire una risposta culturale alla crisi dell’era moderna.
Dunque, visto che la trasformazione digitale – come scrive Stefano Epifani – “è una vera e propria rivoluzione di senso” che non guarda soltanto “al come si fanno le cose, ma definisce cosa abbia senso fare in un contesto che vede nel digitale un elemento di trasformazione di persone, ambiente, economia e società”, anche progettare percorsi educativi che accompagnano l’uso degli strumenti digitali significa trasformare la società grazie al digital e riflettere sul senso di cosa fare ragionando sull’obiettivo associato all’utilizzo, destrutturando il medium in attività e associando queste agli obiettivi da raggiungere: dalla sostenibilità culturale fino ad arrivare a quella ambientale. Il documento dell’UNICEF identifica proprio quelle tecnologie che possono contribuire ad affrontare questa crisi. L’ufficio per l’innovazione dell’UNICEF, Arm e Dalberg hanno analizzato alcuni case studies di piattaforme e start-up per il digital learning.
Digital learning
Yogome, ad esempio, è una piattaforma che “consente agli insegnanti di integrare giochi e contenuti online nelle lezioni in classe, con l’obiettivo di migliorare l’istruzione primaria o secondaria, coinvolgendo meglio i bambini e insegnando loro nuove abilità”. Yogome offre oltre 1000 giochi destinati ai bambini dai 5 ai 12 anni, e copre circa 8 materie, tra cui codifica, matematica, scienze e lingue. Il report la considera “importante per la società” in quanto questa piattaforma è in grado di “fornire opportunità di abilità di alta qualità” nel momento in cui alcuni governi “non vedono l’istruzione TVET (Technical and Vocational Education and Training, ndr) come una priorità” e le educatrici o gli educatori “non capiscono il mercato del lavoro del ventunesimo secolo”. Come ha dichiarato Maria preside della scuola Rey Meconetzin di Città del Messico:
“È tutta una questione di tecnologia con i bambini. Abbiamo scelto di andare con questi dispositivi (tablet) perché sentiamo che i bambini imparano con diverse modalità audio e visive che sono più interattive”. Così, continua il report, lei “si è concentrata sull’integrazione della tecnologia e dell’insegnamento nell’istruzione primaria in modo che i bambini abbiano un’esperienza di apprendimento migliore e siano preparati per un futuro digitale. Sente che i metodi interattivi di insegnamento consentono agli insegnanti di personalizzare le lezioni per soddisfare le esigenze degli individui o gruppi personalizzati di studenti e diversi formati multimediali consentono agli insegnanti di valutare se un bambino impara meglio attraverso i formati visivi o con l’apprendimento tattile o ancora attraverso l’input di audio”. La figura dell’educatore/educatrice rimane comunque al centro, ed è fondamentale in quanto “gli insegnanti in classe giocano il ruolo di guida”.
Un esempio che si potrebbe fare è quello della flipped classroom: il docente condivide all’inizio i capitoli da studiare, sulla piattaforma. I ragazzi prima guardano il materiale e poi, in aula, l’educatore propone esercizi e attività che riguardano quel tipo di contenuto. In questo modo la parte teorica è già stata approfondita precedentemente e in classe si potranno condividere dubbi e attività di carattere progettuale che partiranno da quel tipo di contenuto. Ecco perché ‘flipped’, perché quasi si capovolgono i ruoli, e lo studente diventa protagonista attivo. La ricerca condotta da UNICEF serve a “identificare dove i chiari bisogni per i bambini si sovrappongono a mercati considerevoli e un chiaro valore condiviso per gli attori tecnologici” ma non solo. “Riteniamo che il nesso di questi elementi rappresenti le migliori opportunità per fare bene e fare buoni affari. Vogliamo lavorare insieme per realizzare questo potenziale di impatto come partner alla pari, con una convinzione condivisa nel ruolo che i partner tecnologici possono svolgere per trasformare positivamente la vita dei poveri”.
Facebook Comments