Ecovillaggi un’alternativa al caos del mondo

Per realizzare la transizione ecologica, si stanno diffondendo gli ecovillaggi, definiti "comunità intenzionali sostenibili" in cui gli individui decidono di seguire determinate regole come l’uso di energie rinnovabili per ridurre l’impatto ambientale

Immagine distribuita da Sale Scuola Viaggi con licenza CCO

In attesa che si possa realizzare una vera e propria transizione ecologica, molte persone hanno deciso di realizzare fin da subito questo passaggio attraverso la costituzione di comunità ecologiche, gli ecovillaggi, dove vivere rispettando la natura e gli altri.

Gli ecovillaggi vengono definiti come “comunità intenzionali sostenibili” e le persone che vi abitano condividono gli stessi valori e seguono dei modelli sostenibili che si basano su alcune regole come l’uso di energie rinnovabili per ridurre l’impatto ambientale, una coltivazione e alimentazione biologica e una condivisione di stili di vita sostenibili.

Gli ecovillaggi si fondano su una Carta degli intenti della rete italiana villaggi ecologici (RIVE), che sancisce: «I progetti si ispirano a criteri di sostenibilità ecologica, spirituale, socioculturale ed economica, intendendo per sostenibilità l’attitudine di un gruppo umano a soddisfare i propri bisogni senza ridurre, ma anzi migliorando, le prospettive delle generazioni future».

Il primo ecovillaggio è del 1971 nel Tennessee, The Farm, fondato da un professore di San Francisco, mentre il primo in Italia è umbro, Utopiaggia, del 1972.

Negli Stati Uniti si contano, ad oggi, circa 2000 comunità, in Europa invece le comunità sono circa 250, per la maggior parte stanziati in Gran Bretagna e Irlanda. In Italia sono una quarantina e, per fare qualche esempio, citiamo che a San Godenzo in Toscana è stato costituito Arcobaleno per l’Acquacheta, un progetto per la rinascita della valle dell’Acquacheta, sull’appennino tosco-romagnolo. Nel modenese c’è il Tempo di Vivere, un progetto di vita comune nel rispetto delle capacità e professionalità individuali, collaborando allo stesso fine, come cellule di un unico organismo.

Sulle colline di Ripe, vicino Senigallia, c’è la sede dell’Associazione Culturale e di Promozione Sociale “La Città della Luce”, immersa tra la natura marchigiana dove propongono un percorso di ricerca e formazione nell’ambito delle discipline bionaturali.

In procinto di essere realizzato, si parla di marzo 2023, il più grande ecovillaggio al mondo interamente alimentato con energia geotermica a Charlevoix in Canada grazie alla società canadese GeoLagon. Questo sarà possibile perché il sito sfrutterà il vasto serbatoio termale collocato sotto la laguna insieme all’utilizzo di tecnologie geotermiche, solari e a biomassa. Invece, nel 2024 dovrebbe prendere vita l’ecovillaggio di Wendelstrand, in Svezia, interamente in legno che rimpiazzerà una vecchia cava abbandonata.

Dice Francesca Guidotti, già presidente della Rive (Rete Italiana Ecovillaggi) e autrice del libro “Ecovillaggi e cohousing”:«Oggi più che mai risulta essere una possibile opzione abitativa. La pandemia ha dimostrato il limite delle soluzioni abitative cittadine e molte persone hanno preso coscienza del vantaggio che può dare vivere in un ambiente che offre allo stesso tempo una maggiore libertà di movimento, fosse anche solo una passeggiata nei campi, e una socialità che non può subire il distanziamento. Parallelamente è risultata sufficientemente buona, per molte professioni, la possibilità dello smart working e di conseguenza, solo una necessità saltuaria di andare in ufficio. A questo si aggiunge l’inquietudine dell’approvvigionamento delle risorse energetiche e alimentari verso le quali il gruppo può avere una capacità di risposta più incisiva del singolo».

Insomma, la consapevolezza che è possibile intraprendere una strada diversa, rispettosa e sostenibile è il primo passo che tutti noi dovremmo fare per non implodere.

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