Un percorso formativo per una cultura della Sostenibilità Digitale: intervista a Fabio Ciracì

Intervista a Fabio Ciracì, nostro primo ospite della nuova rubrica University 4 Digital Sustainability

Se il cambiamento parte sempre dalle persone, ragionare oggi sugli sviluppi futuri della Sostenibilità Digitale richiede anche di realizzare un investimento su quelle nuove generazioni che, negli anni a venire, avranno la responsabilità di portare avanti i suoi princìpi. E questo investimento non può che partire da una solida formazione su tali tematiche.

Pertanto, è fondamentale comprendere anzitutto cosa i luoghi della formazione possano fare nel concreto per la diffusione di una cultura sulla sostenibilità digitale, ma anche quanto siano attualmente attrezzati e pronti per raggiungere questo scopo. Ed è per rispondere a queste e altre domande che nasce oggi, su Tech Economy 2030, la nuova rubrica University 4 Digital Sustainability: uno spazio nel quale dare voce ai Docenti universitari per cercare di comprendere lo stato dell’arte della Sostenibilità Digitale nei diversi atenei italiani, nonché il punto di vista di professionisti esperti in ambito accademico rispetto alle correlazioni esistenti tra la formazione universitaria e questi temi oramai imprescindibili.

In questo primo appuntamento, il nostro ospite è Fabio Ciracì: Presidente del Consiglio Didattico in Filosofia e Scienze Filosofiche e Professore di Storia della Filosofia per i Corsi di Laurea in Filosofia, Scienza e Tecniche Psicologiche e Sociologia all’Università del Salento. È inoltre referente del NISA-Nucleo Interdisciplinare per la Sostenibilità dell’Ateneo per il Dipartimento di Studi Umanistici e, da maggio 2022, anche il Direttore del Centro interdipartimentale di ricerca in Digital Humanities.

Una vaga consapevolezza

Ancor prima di comprendere che cosa le università possano fare in favore della sostenibilità digitale, e della sostenibilità in senso ampio, appare chiara la necessità di capire – in primo luogo – come queste tematiche siano percepite all’interno di queste strutture. Da questo punto di vista, il quadro mostrato da Fabio Ciracì non può considerarsi del tutto positivo: infatti, sebbene il concetto di sostenibilità sia ormai presente e stabile nei contesti universitari, il percorso verso una reale coscienza del suo significato e di ciò che determina sembra essere ancora agli inizi. “C’è ancora una consapevolezza molto vaga”, ha spiegato, “e nonostante ci sia già da molto tempo una sensibilità estesa su questi temi, al di là di alcuni specifici comparti, prevalentemente scientifici, non c’è ancora una grande consapevolezza di che cosa realmente voglia dire sostenibilità.

E questo vale anche rispetto alla tripartizione del concetto nelle sue dimensioni ambientale, economica e sociale: infatti, se è vero che oggi non si guarda più alla sostenibilità soltanto da un punto di vista ambientale, credo che l’attenzione verso le altre dimensioni che compongono il concetto sia ancora molto generale”.

Il percorso verso una “cultura della sostenibilità”

Insomma, sembra ci sia ancora molto da fare per un’adeguata consapevolezza della sostenibilità nel mondo universitario, oltre che per guardare al concetto nella sua complessità. Questa è una condizione alla quale prestare particolare attenzione, non soltanto perché qualsiasi individuo, impresa o organizzazione non può oggi più prescindere da una corretta considerazione di questo tema, ma anche e soprattutto perché proprio l’università può avere un ruolo strategico nel diffonderne il significato e la sua importanza. E la strada migliore da seguire affinché possa ricoprire tale ruolo è quella di lavorare alla costruzione non tanto – o non solo – di saperi specifici, quanto più di una reale cultura della sostenibilità. “In questo ambito non ha più senso chiedersi quali siano le competenze o le conoscenze specifiche da sviluppare, perché queste, da sole, non sono più sufficienti”, ha spiegato Fabio Ciracì. “Oggi dobbiamo lavorare, invece, allo sviluppo di una cultura della sostenibilità, che è un qualcosa di più ampio e non riguarda né soltanto le competenze, le cosiddette skills, né soltanto le conoscenze, ma che è in grado di trasformare entrambi in modelli interpretativi per lo sviluppo del futuro. Questo è importante perché mentre le conoscenze possono col tempo diventare obsolete e le competenze devono essere continuamente aggiornate, poter contare su una cultura della sostenibilità consente alle une e le altre di sapersi adattare ai cambiamenti. Tale processo, tuttavia, può compiersi solamente se si comincia dal basso: è un percorso formativo che va costruito già dai primi anni di scuola, cominciando a educare i bambini sulle questioni della sostenibilità, e che deve continuare a evolversi, di grado in grado, con il prosieguo degli studi”.

La formazione deve dunque rappresentare un percorso che, fin dal suo principio, ha la responsabilità di costruire una cultura su queste tematiche. Si tratta di una cultura che pertanto deve essere sviluppata gradualmente, affrontando livelli di complessità consoni ai vari gradi del percorso formativo: ed è per tale ragione che, secondo Fabio Ciracì, è soprattutto l’università ad avere la maggiore responsabilità nello sviluppo di una cultura sulla Sostenibilità Digitale. “In questa prospettiva l’università ha un ruolo strategico, soprattutto in considerazione del fatto che al suo interno c’è un investimento in ricerca. Quindi quello che può e deve fare è far comprendere alle nuove generazioni, nello specifico agli studenti, l’importanza di un investimento in ricerca sulla Sostenibilità Digitale. Ciò significa formare gli studenti non soltanto alla conoscenza delle tecnologie del momento, non soltanto alle competenze necessarie, ma ai modelli culturali per sviluppare le tecnologie, con il chiaro fine di costruire un futuro migliore per la collettività”.

In altre parole, quello delle università è un ruolo duplice: in primo luogo sviluppare conoscenza rispetto agli strumenti tecnologici, con le opportunità ma anche i rischi che sono in grado di abilitare nell’ottica della sostenibilità, e in secondo luogo far comprendere come tali strumenti possano – e debbano – essere pensati, costruiti e indirizzati verso il raggiungimento di un domani più sostenibile. “Quando si parla di sostenibilità digitale, ci sono almeno due ambiti da esplorare. Il primo è quello della tecnologia come elemento atto a migliorare la sostenibilità in senso ampio, in termini di risparmio energetico, efficientamento e via dicendo. Il secondo, altrettanto importante, è quello della tecnologia come oggetto stesso di sostenibilità: siamo infatti abituati a pensare al digitale come a un qualcosa di astratto, ma dobbiamo comprendere come anche gli strumenti digitali che utilizziamo hanno un loro impatto sulla sostenibilità, un impatto che deve essere adeguatamente considerato.

Inoltre, una forte responsabilità delle università è quella di sviluppare un diverso approccio alla sostenibilità digitale. Che non guardi, cioè, soltanto a come il digitale possa consentire di soddisfare dei bisogni, ma anche e soprattutto a come possa abilitare le generazioni future allo sviluppo e al raggiungimento dei propri obiettivi, che non necessariamente coincidono con i nostri: in altre parole, occorre pensare al modo in cui questa tecnologia che pensiamo e progettiamo oggi potrà permettere alle prossime generazioni di sviluppare i propri progetti. Sostenibilità Digitale significa essere sostenibili nello spazio e nel tempo.

Investire nella ricerca

Per fare questo, le università hanno la responsabilità di indirizzare al meglio la ricerca. E ciò significa, innanzitutto, “investire nelle idee: non si tratta soltanto di fare tecnologia, ma anche di saperla pensare, attraverso un preciso modello culturale. E qui non basta solamente l’ingegnere o il filosofo, ma serve un insieme di persone, una collaborazione tra gruppi di ricerca interdisciplinari capaci di interagire e di sollecitarsi proficuamente in maniera reciproca”.

Ma se la ricerca, così implementata, può avere un ruolo di primaria importanza in questa direzione, appare chiaro come la capacità di sfruttarne il pieno potenziale non dipenda soltanto dalle università: ed è qui che, come affermato da Fabio Ciracì, devono entrare in gioco le Istituzioni. “C’è un problema di gestione e di indirizzi della spesa pubblica nei confronti della ricerca. In questo senso, è fondamentale che le istituzioni stiano attente a rimanere pubbliche, perché una ricerca che dipenda troppo dall’industria tecnologica rischia di essere fagocitata da interessi eteronomi. Ma, soprattutto, è importante che la ricerca venga adeguatamente finanziata dal pubblico: è necessario comprendere che spendere in sostenibilità significa risparmiare dal punto di vista energetico, recuperare risorse, garantire condizioni di vita dignitosa a chi verrà e molto altro ancora. E questa non è una spesa, ma un vero e proprio investimento”.

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