Supply chain e sostenibilità sociale: il digitale per contrastare la schiavitù moderna

Lavori forzati, sfruttamento sessuale e lavoro minorile sono solo alcune delle tipologie di schiavitù moderna tracciate dall’International Labour Organization. Per contrastarle, rendendo così le catene di approvvigionamento sostenibili a livello sociale e trasparenti, la tecnologia blockchain può essere un valido strumento

Immagine distribuita da PixaHive con licenza CCO

“La catena di approvvigionamento è una complessa rete di individui e aziende interconnesse che collaborano tra loro in fasi sequenziali per creare e consegnare prodotti ai loro clienti”.

Si apre così il report Blockchain for Supply Chain Transparency pubblicato da EU Blockchain Observatory and Forum. Quasi certamente, nel 2023, nessuno si aspetterebbe che il termine ‘catena’ possa essere inteso in maniera letterale, e cioè come oggetto formato da anelli di metallo in grado di tenere “saldamente legate” non tanto oggetti, cose, quanto invece persone. La metafora è forse azzardata ma funzionale: il passo da catena di approvvigionamento a tratta degli schiavi, infatti, può essere molto breve.

A riprova del fatto che la sostenibilità è un sistema complesso, dinamico e che può generare risultati inaspettati, nel documento dell’EU Blockchain Observatory and Forum ad un certo punto si può leggere che:

“Oltre ai flussi di informazioni, ci sono eventi che hanno un impatto sociale sulla catena di approvvigionamento. Originariamente, le attenzioni della catena di approvvigionamento si concentravano sui rischi ambientali […]. Poi si sono ampliate per soddisfare i fattori sociali e di governance [proprio per evitare i rischi di cui sopra ndr]”.

Organizzazioni, aziende e tutta la rete che va a formare la supply chain sembra indirizzare i loro quadri verso blockchain come tecnologia da utilizzare per la gestione della trasparenza della catena.

Questa tecnologia sembra essere la principale in grado di attraversare tutta la fase commerciale – dallo stock in celle all’acquisto da parte del consumatore. La globalizzazione prima e la pandemia dopo hanno contribuito a trasformarla in maniera significativa: nel primo caso è aumentata la complessità della rete, dal momento che “le transazioni transfrontaliere sono comuni”; nel secondo, invece, la pandemia ha fatto sì che si aggiungessero altre esigenze come quella di ridurre “al minimo il rischio di trasmissione di virus e di altri batteri, funghi e parassiti che possono essere presenti nella catena di approvvigionamento della carne congelata, così è stato sviluppato uno stack tecnologico per integrare l’architettura aziendale esistente con una rete blockchain” – come dimostrano Cui X. E Iftekhar A. in Blockchain-Based Traceability System That Ensures Food Safety Measures to Protect Consumer Safety and COVID-19 Free Supply Chain. Ciò ha ulteriormente cambiato la linea di base della supply chain da “Just in Time” a “Just in Case”, dal momento in cui “possono verificarsi eventi imprevisti, disturbando l’offerta e la domanda, come la recente interruzione da COVID-19, dove la domanda di prodotti sanitari è aumentata in modo significativo mentre il commercio globale si è fermato”.

La Distributed Ledger Technology (DLT) è utilizzata per aumentare la fiducia e la trasparenza in tutta la catena, aiutando a riconciliare la documentazione e i dati richiesti per certificare la qualità del prodotto finale. La “tecnologia della fiducia” trova così nella supply chain la sua natura d’esistere.

Infatti, come si legge nel report, “la gestione della catena di approvvigionamento mira ad armonizzare tutti i processi, tenendo conto delle esigenze delle imprese e dei clienti per la consegna tempestiva di prodotti di qualità”.

Il digitale allora sembra diventare sostenibile nel momento in cui cambiano gli obiettivi della gestione della catena di approvvigionamento per migliorare “l’efficienza dei sistemi e gestire i rischi di vari eventi”. La trasformazione digitale avviene proprio nel momento in cui si vuole rispondere alla domanda: “Come possiamo guardare alle tecnologie preoccupandoci che possano avere un impatto positivo sulla società?”. Imprescindibili in questo caso sembrano essere due grandi categorie: il framework di riferimento dei diritti umani e il modello di Agenda 2030; entrambi, infatti, hanno il ruolo di definire e tracciare una rotta per la costruzione di una società sostenibile. Per comprendere meglio cosa c’entri tutto questo con la supply chain e ancor di più con la blockchain, bisogna analizzare alcuni casi di studio presenti proprio all’interno di Blockchain for Supply Chain Transparency.

Preoccupazioni sociali e schiavitù moderna: blockchain può essere una soluzione?

“L’informazione è al centro di ogni processo sviluppato per la gestione della catena di approvvigionamento, poiché le decisioni e i piani si basano su informazioni accurate e costantemente aggiornate. In questo contesto, l’affidabilità e la validità delle informazioni diventano un requisito per costruire sistemi all’interno della catena di approvvigionamento”.

A maggior ragione se queste informazioni riguardano la salute e le condizioni lavorative delle persone. “Inizialmente, la preoccupazione legale si concentrava sulla salute dei lavoratori e riguardava requisiti minimi nelle procedure e nelle attrezzature. Man mano che la legislazione si è costruita per fornire una guida sulla salute dei lavoratori, sono emerse altre questioni, come la dignità dei lavoratori e la schiavitù”.

Il riferimento principale è quello alla ‘schiavitù moderna’, che “comprende concetti legali di lavoro forzato e altri concetti collegati come la tratta di esseri umani”. L’International Labour Organization definisce la schiavitù moderna come “composta da due componenti principali: il lavoro forzato e il matrimonio forzato. Entrambi si riferiscono a situazioni di sfruttamento che una persona non può rifiutare o non può lasciare a causa di minacce, violenze, inganni, abuso di potere o altre forme di coercizione. La piaga della schiavitù moderna non è stata affatto relegata alla storia. Le stime globali del 2021 indicano che 49,6 milioni di persone sono in schiavitù moderna in un dato giorno, obbligate a lavorare contro la loro volontà o in un matrimonio a cui sono state costrette. Il lavoro forzato riguarda circa 27,6 milioni di persone, mentre il matrimonio forzato 22 milioni”. Tra le varie tipologie di schiavitù moderna rientrano anche: sfruttamento sessuale – ad esempio la prostituzione –; lo sfruttamento minorile e il lavoro forzato imposto dallo Stato.

Secondo l’EU Blockchain Observatory and Forum: “La complessità della catena di approvvigionamento può nascondere il problema, con le organizzazioni che sfruttano i dipendenti in qualsiasi fase della catena. Le Nazioni Unite hanno pubblicato principi guida sulle imprese e i diritti umani. Questi sforzi si sono estesi alla legislazione nazionale man mano che i paesi hanno introdotto regolamenti per prevenire la schiavitù moderna”. Poiché la trasparenza è un aspetto fondamentale della gestione della catena di approvvigionamento, l’utilizzo di blockchain permetterebbe al consumatore o ad altri soggetti coinvolti nella catena di capire se e in che modo i diritti umani fondamentali siano stati violati.

Il primo passo è quello di mappare la supply chain attraverso le informazioni sull’ambiente lavorativo, ad esempio. “Nella fase successiva, c’è un’analisi per incorporare la gamma di rischi sulla base della presenza globale, delle operazioni e dei prodotti di ciascuna organizzazione. I rischi devono essere identificati e assegnato un punteggio durante la stesura del quadro. Il punteggio dato a ciascun rischio può provenire da una scorecard di più fattori, come la gravità dell’impatto, la probabilità che il rischio si realizzi, i rischi connessi ai processi interni sottoposti ai prodotti e i rischi generali nella catena di approvvigionamento”. Inoltre, “l’etica nella catena di approvvigionamento può essere migliorata insieme a standard che guidino il comportamento previsto. Con questo in mente, un ciclo con un feedback accurato può portare a modifiche ai quadri, esprimendo l’ambiente in continua evoluzione”.

La tecnologia blockchain in questo senso può rendere la catena di approvvigionamento più trasparente, permettendo di condividere le informazioni in modo sicuro tra le parti interessate.

Focalizzandosi in particolare sul lavoro forzato, blockchain potrebbe migliorare la trasparenza e aiutare a combatterlo, dal momento che “offre una trasparenza completa e integra dei dati relativi alle attività della catena di approvvigionamento. Le blockchain sono database a prova di manomissione, creando registri digitali per ogni singola transazione, accessibili pubblicamente a tutti e senza controllore centralizzato”.

Questo permetterebbe “il monitoraggio automatico di tutti i passaggi del processo, portando tutto a piena trasparenza e senza spazio per pratiche commerciali illegali. Attualmente ci sono diversi paesi in tutto il mondo che hanno avviato l’implementazione della tecnologia per garantire una migliore trasparenza nelle loro operazioni quotidiane all’interno delle catene di approvvigionamento. D’altra parte, i consumatori sono anche molto interessati a contribuire a porre fine al lavoro forzato, e quindi chiedono maggiore trasparenza nelle pratiche delle aziende”.

Il report fa riferimento al problema dei lavoratori dei paesi in via di sviluppo o che provengono da questi ultimi, e che non hanno un documento di identità ufficiale.

Questo problema, infatti, “rende più difficile tenere traccia dei loro movimenti”. Così “le informazioni biometriche come le scansioni delle impronte digitali e dell’iride creano un’identità virtuale per i lavoratori ed eliminano la necessità di documentazione cartacea. Di conseguenza, la dipendenza dalla documentazione cartacea e dalla confisca dell’identità non sarebbe più un mezzo di controllo. I contratti cartacei tradizionali possono essere facilmente modificati durante il processo di trasporto, specialmente per i dipendenti esteri”. Bisogna sottolineare però anche i rischi che dati sensibilissimi come quelli biometrici portano con sé: dal loro utilizzo improprio da parte dei governi – il riconoscimento facciale per identificare determinate categorie di persone –, a strumento che potrebbe ritorcersi contro i migranti stessi, ad esempio; senza considerare la difficoltà di gestione e messa in sicurezza di sistemi del genere.

Blockchain potrebbe però contribuire alla lotta contro il caporalato, dal momento in cui fenomeni come quello dei salari più bassi rispetto a quelli promessi, o orari di lavoro aggiuntivi ed estenuanti non sarebbero più possibili.

Ad esempio, il progetto intrapreso da Diginex e The Mekong Club rappresenta una cooperazione tra i settori privato e pubblico per combattere il lavoro forzato:

“Diginex è una società globale di soluzioni blockchain e The Mekong Club è un’organizzazione non governativa anti-slavery (ONG). Hanno unito le forze con la piattaforma di analisi dei dati Verifik per lanciare un’app basata su blockchain chiamata eMin, che è stata avviata in Thailandia, Malesia e Bahrain. L’app eMin consente la creazione di copie dei contratti di lavoro memorizzati sulla blockchain, e i lavoratori possono accedere a una copia sicura del loro contratto in qualsiasi momento, portando trasparenza al processo di assunzione. Le aziende sono anche in grado di controllare facilmente le loro catene di approvvigionamento, con la comodità di sapere che le informazioni sono immutabili. L’app eMin è progettata per compiere un passo significativo verso il miglioramento della vita dei lavoratori migranti e per ridurre le possibilità di sfruttamento, coinvolgendo sia il settore privato che quello pubblico. Nel corso del tempo, l’app eMin si è trasformata in un sistema di gestione completo di funzioni per proteggere tutta la documentazione utilizzando la blockchain, al di là dell’occupazione”.

Anche l’ILO concorda sul fatto che lo sviluppo e l’espansione delle tecnologie digitali è una “strategia complementare importante” per combattere la schiavitù moderna”, anche se la considera “sottosfruttata finora”. Più in generale, aggiunge:

“Le soluzioni ICT hanno un ruolo fondamentale da svolgere nel riunire e analizzare fonti di dati amministrativi disparate – ad esempio sicurezza sociale, tasse, diritto del lavoro e penale e sicurezza e salute sul lavoro – per identificare settori e luoghi ad alto rischio nell’economia informale in cui gli ispettorati possono concentrare strategicamente e in modo proattivo i loro sforzi. Le valutazioni di una di queste applicazioni, Apprise, uno strumento multilingue attuato in un certo numero di nazioni del sud-est asiatico, indica la più ampia rilevanza di queste applicazioni digitali mobili nell’aiutare gli ispettori a superare le sfide di comunicazione, privacy, fiducia, lingua e formazione durante le ispezioni sul posto di lavoro”.

Per uno sviluppo sostenibile, infatti, “l’identità giuridica è un fattore chiave […] in linea con l’Agenda 2030 e il Global Compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare”.

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