Su Corriere.it leggo un articolo intitolato “Il fotografo e il selfie che gli è costato la carriera, ma ha salvato gli animali” che riprende una storia ormai risalente al 2011, di cui avevo già parlato in altra sede e che è diventata presenza costante tra gli aneddoti che racconto nei miei corsi per tenere sveglia l’attenzione della platea e per far comprendere alcuni risvolti del concetto di pubblico dominio.
Per chi se la fosse persa, posso riassumere così: un fotografo documentarista britannico, David Slater, durante un set fotografico in un parco naturale frequentato da varie scimmie, posiziona le fotocamere e ad un certo punto una femmina di macaco prende tra le zampe anteriori una delle fotocamere e inizia a giocarci. Involontariamente la bestiola clicca proprio il tasto per lo scatto realizzando quello che lo stesso Slater ha annunciato al mondo come il primo selfie animale della storia. Nelle due immagini realizzate sembra infatti che la scimmia stesse per mettersi in posa e per sorridere. Piccolo problema: dichiarando che gli scatti erano stati realizzati dalla scimmia e non da lui, è sorto il dubbio se il fotografo potesse davvero vantare un copyright. La community di Wikipedia e dei progetti connessi, dopo varie discussioni interne, ha ritenuto di pubblicare la foto come opera in pubblico dominio, in quanto nella maggior parte delle legislazioni, il copyright scatta quando c’è creatività (anche minima); e difficilmente si può attribuire a un animale un atto creativo in senso pieno. Non solo: nella legge statunitense si trova proprio una norma che esclude la titolarità di diritti d’autore per gli animali. Risultato: il selfie del macaco viene pubblicato su Wikimedia Commons e taggato come “opera in pubblico dominio” (si veda l’immagine qui sopra, che riporta anche il tipico disclaimer di pubblico dominio utilizzato nei progetti della Wikimedia Foundation); e da lì viene prelevato e ripubblicato liberamente in varie fonti.
Il fotografo, invece di provare a fare buon viso a cattivo gioco, ad esempio cercando di cavalcare l’onda della notorietà mondiale che questo episodio poteva offrirgli, non la prende molto bene e sceglie la strada della battaglia legale. Una battaglia da cui pare uscito non molto bene, da quanto riporta l’articolo del Corriere della Sera: “Il caso è tornato in tribunale la scorsa settimana a San Francisco. Ma per Slater è ormai una battaglia troppo dispendiosa. Il fotografo racconta infatti al Daily Mail di aver impegnato nelle spese legali tutto quello che aveva, di aver ipotecato la piccola casa di Chepstow, in Inghilterra, dove vive con la moglie e la figlia, di non avere soldi per mandare la piccola in scuole valide.”
E ovviamente è tutta colpa di quei “cattivoni” di Wikipedia! Prosegue infatti l’articolo: “poi Wikipedia ha ‘rubato’ la foto dal suo blog e l’ha pubblicata con la dicitura «libera da diritti» ed è stata la fine.”
Massimo rispetto per la vicenda personale: ognuno ha i suoi problemi in un periodo di crisi economica come quello che stiamo vivendo. Tuttavia io faccio davvero fatica a comprendere come il destino di un creativo professionista possa dipendere così tanto dal copyright di una sola unica immagine. E forse fin dall’inizio Slater avrebbe potuto gestire meglio questa opportunità. A mio avviso avrebbe infatti potuto – come già detto – sfruttare al meglio la notorietà derivatagli da questa vicenda; ma soprattutto concentrare le sue risorse non tanto in sterili battaglie legali quanto nel lavorare sul personal branding e sulla realizzazione di altre immagini di qualità, magari proprio sulla falsa riga del “monkey selfie”.
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