Influencer Marketing come Help-Marketing: condividi l’Esperienza Utile Per Te

«… La notte nera in cui tutte le vacche sono nere».

Così Hegel sintetizzava, con immagine potente, le tesi dei suoi competitors, diremmo oggi. Rei di spacciar definizioni dell’«Assoluto» anni luce lontane dall’unica vera: la sua.

Non ho (per ora) la presunzione di Hegel. Una domanda però urge ormai porsela. Influencer Marketing: semplice marketing o vera, possibile, vincente frontiera del Nuovo Marketing, del nuovo modello di business già impostosi nel nostro oggi? Un «mercato di vacche nere in una notte tutta nera» – per dirla con Hegel – o piuttosto, se ben inteso e realizzato, una tra le più proficue exit strategies dai nostri tempi di crisi?

Che la risposta a questo interrogativo sia urgente e non più rinviabile, d’altronde, ce lo dicono i dati. Uno studio pubblicato a dicembre su Studio D, The Most Over-Used Content Marketing Buzzwords of 2015, rilanciato poi anche da Digiday, ha mostrato come, tra le parole più abusate dell’anno, vi sia proprio «Influencer Marketing». Circostanza non singolare se pensiamo che, come mostrato dalla ricerca di Tomoson, Influencer Marketing Study, anch’essa diffusa giusto sei mesi fa, il ROI dell’Influencer Marketing si aggirerebbe sul 550%. Nello specifico, per ogni dollaro speso le compagnie se ne vedrebbero tornar indietro qualcosa come 6,50. E c’è pure un fortunato 13% di brand per cui il guadagno salirebbe addirittura a 20$.

Una cifra da capogiro: un ritorno sull’investimento che aumenta ancora di valore considerando che la qualità dei clienti acquisita in questo modo sarebbe notevolmente superiore – stando almeno al 51% degli intervistati – e che ben dunque giustificherebbe la scelta del 59% dei marketers di incrementare il budget d’investimenti in Influencer Marketing per l’anno successivo.

Le spese da metter in conto per procacciarsi gli influencers migliori, d’altronde, non sono indifferenti. Stando a un report pubblicato da GroupHigh e rilanciato poi da MarketingProfs, il 42,07% degli influencers chiederebbe, come pagamento, una cifra che oscilla fra i 200 e i 500$: con una quota significativa di poco meno del 10% di loro che salirebbe fino a 750$. Sì, perché proprio di dollari stiamo parlando: di «monetary compensation», non solo accettata ma, verosimilmente, richiesta come obiettivo dagli influencers – l’84,89% di loro – quando questi siano contattati dai brand. Niente crediti Amazon, insomma, niente corsi di formazione o altre forme di rewarding in cambio: money, money, money. E se qualcuno tra voi sta già iniziando a storcer il naso, si fermi: per gli ambassador, infatti, certe cifre sarebbero pure troppo basse. A pensarlo, quasi la metà: il 44,44% degli intervistati, insoddisfatti dal guadagno ottenuto, bollato come insufficiente rispetto, magari, a quello che le aziende si portano a casa grazie al loro impegno.

1 (1)

In questo scenario, non stupisce come possano saltar fuori – deflagrare, dovremmo dir meglio – bombe come quella innescata da Domenico Naso su Il Fatto Quotidiano lo scorso 21 aprile: «Chi sono davvero gli influencer? Cialtroni. Di dimensioni cosmiche. Convinti di poter vivere di vuoto social, di selfie e di markette». Non entreremo certo qui nel merito del pezzo: basta il vespaio che già suscitò tra socialmediacosi e addetti ai lavori subito dopo la pubblicazione. Chi accusava l’autore di fare come la volpe con l’uva, chi lo criticava dicendo di aver solo voluto far rumore, chi semplicemente rimandava al mittente l’offesa definendo lui per primo «fuffa». Certe parole però fanno riflettere, a prescindere da come la si pensi. «È una bolla, quella degli influencer, che speriamo scoppi presto. […] Urge bagno di umiltà per influencer e wannabe, uno schiaffone virtuale tra capo e collo che faccia loro capire che no, non ce l’hanno un mestiere. Che era solo una grande illusione, una devianza forse inevitabile dell’epoca del web. Che quello che resterà loro in mano sarà solo un paio di sneakers alla moda e qualche biglietto gratis per andare al cinema».

Fanno pensare, queste parole, alla luce soprattutto di ben altre parole giunte «da una gola profonda» a Digiday – un misterioso «social media executive» che ha voluto restare anonimo – e rilanciate dalla testata lo scorso 12 maggio. «Confessioni di un social media exec sull’Influencer Marketing: “Questi qua li abbiamo troppo ricoperti d’oro”».

«Questi qua li abbiamo abituati troppo bene», avrebbe rivelato la fonte nell’esclusiva intervista di Shareen Pathak. «Questi influencers li abbiamo pagati troppo». Il «Watergate» dell’Influencer Marketing, una sorta di Influencer-Gate, si direbbe, che ha fatto tremar le vene ai polsi di molti addetti ai lavori da entrambe le parti. Questi cosiddetti influencer, insomma, sarebbero stati davvero «travolti da fiumi di soldi» da parte delle aziende: a fronte di un guadagno – un ROI – che non parrebbe poi così netto e chiaro. «Se nel 2014 prendevano 500 dollari per postare un po’ di foto, ora ne fanno 1500», rivela lui. «Prima, 30 o 40 foto ritoccate e sistemate ci costavano 800$: ora non spendiamo meno di 2500$. Ora la gente ti presenta fatture che oscillano fra i 300.000 e i 500.000$». E ancora: «Per un influencer con 5 milioni di followers il prezzo medio si aggira sui 100.000$. Se hai a che fare però con un super social influencer, 100.000$ ti partono anche già per un solo video».

Conclusione? «È la follia».

Anche perché, come anticipavamo, resta il problema del ROI, sia in senso strettamente economico sia di ritorno d’immagine: due aspetti, com’è naturale, intrinsecamente connessi. Siamo certi che le cose stiano (o stiano ancora, nonostante il breve lasso di tempo intercorso) come visto nello studio di Tomoson sopra citato? Tutt’altro. «Per i pubblicitari, calcolare l’influenza di un influencer è ancora una lotta», titola poco più di un mese dopo, il 17 giugno, Sahil Patel su Digiday, che già il 9 maggio aveva segnalato il «rapporto tumultuoso, di amore-odio, tra i marketers e gli influencers».

C’è da crederci, considerando che, di contro a questo «fiume d’oro», non infrequente è stato il trovarsi poi dinanzi a situazioni davvero spiacevoli come l’incredibile performance di Scott Disick. Noto promoter di beveroni-dietetici-e-salutari, in questo caso reclutato da Bootea per diffondere il suo drink – ideale, questo il messaggio, per aver le giuste energie onde affrontare altrettanto salutari allenamenti in palestra, come quelli di Scott – ha mostrato di essere… tanto interessato, autenticamente convinto di quanto stava facendo e, dunque, affidabile (principio essenziale affinché abbia un senso il suo «consigliare» questo o quel prodotto ad amici e fan), da postar sì su Instagram e Twitter la propria foto con mega drink da gustare prima dei quotidiani esercizi, ma copiando e incollando per intero il testo inviatogli da chi di dovere. «Ecco qua, alle 4pm est scrivi come segue…». E poi via al virgolettato di Scott: il testo che, teoricamente, avrebbe dovuto esprimere la sua voce, le sue idee. E che, invece, ha fatto ancora una volta cadere il velo di Maya. Quelle idee in realtà – e chissà quante altre? – Scott avrebbe solo finto di pensarle.

ScottDisickInstagram

La notizia ha fatto il giro della rete: un’utente in particolare se n’è accorta e… lei sì che è stata influente. Al contrario, però, rispetto alle attese del brand. «Ecco, qui è dove Scott Disick ha copiato e incollato il testo inviatogli dal team marketing di questa bevanda per promuoverla su Twitter e Instagram», ha cinguettato Frankie, snapchattara convinta e lei sì, dicevamo, davvero influencer. Il suo tweet ha ottenuto 48.331 Retweets e 91.358 Likes. Rilanciato viralmente anche da Buzzfeed, nonché da EliteDaily e  AdWeek, il post è stato poi rimosso da Scott e sostituito con quello giusto. Il danno però era ormai fatto.

Altro che ROI inteso come guadagno, come «ritorno economico» sull’investimento! Altro che ritorno d’immagine. Un bel problema per il marchio, specie considerando che l’«investimento» fatto su Scott, invece, sarebbe bello significativo. Secondo Jezebel, «Scott guadagnerebbe circa 15.000–20.000$ per post così». Non ci resta che piangere.

Stupisce, dunque, assai poco che, oltreoceano e non solo, prima ancora che da noi si sia effettivamente capito che cosa sia l’Influencer Marketing e come implementarlo al meglio, già vi sia chi questo fenomeno lo dà per spacciato. «Is Influencer Marketing Dead?», ci si chiedeva giorni fa in una discussione, molto animata e seguita, su Inbound Marketing. Che a caratteri cubitali titolava: «What’s next for Influencer Marketing (now that it’s dead)?».

«Gli Influencers stanno già iniziando a scomparire», avrebbe risposto la nostra «gola profonda» – come da dichiarazione effettivamente rilasciata a Digiday nell’intervista-confessione sopra citata. «I brand – continuava infatti –  stanno cominciando a capire che avere migliaia di followers non conta niente». Non sono i numeretti ad aver importanza, insomma. L’«influenza» degli influencers si gioca piuttosto «nelle relazioni, nelle amicizie». Anche d’illustri sconosciuti, che non serve pagare neanche un centesimo, e che però il passaparola intorno al tuo prodotto te lo creano davvero tra parenti e amici, forti della loro autenticità, affidabilità, amicizia responsabile e comprovata.

Così si concludeva anche la discussione su Inbound Marketing: l’Influencer Marketing è morto in quanto lo s’intenda come «forma di pagamento di qualcuno, selezionato in base al numero di followers, fan, RT o Likes, per amplificare il proprio messaggio». È invece pienamente «vivo, in salute e con un roseo futuro, se ci si focalizza su ciò che davvero conta: le relazioni, l’affidabilità, la fiducia che si può riporre nell’influencer di turno» e che, in quest’ottica, può essere chiunque, a partire in primis «da clienti e dipendenti».

Cosa ne penso io? I miei «venticinque lettori» conoscono già bene la mia vision più globale: il mio personale, discutibile – e spero discusso! – modo di intendere quella che più volte ho chiamato «l’Era del Nuovo Marketing», del «nuovo modello di business» ormai valido oggi, ed entro cui, a mio avviso, anche il fenomeno dell’Influencer Marketing va inserito e valorizzato al massimo, se ben inteso e ben applicato. Riservandomi dunque di tornare sull’argomento con nuovi dati e ricerche a supporto oggettivo di quella che tutto vuol essere tranne che un’astrattezza filosofeggiante – semmai anzi un concreto insieme di strategia e tattiche per massimizzare davvero il ROI, il guadagno per tutti – anticipo già qui la mia «umile» vision dell’Influencer Marketing: che altro non è, né può essere, se non un Help-Marketing, un Marketing del Cuore Utile-Per-Te.

Influencer Marketing è altro, per me, da quella hegeliana «notte i cui tutte le vacche sono nere»: è un fatto di Cuore, Aiuto, di Utilità-Per-Te. «Influencer» può esser chiunque: dal consumattore, come ormai oggi lo si definisce, che online recensisce, giudica, condivide la sua autorevolissima opinione entro la propria rete di contatti, che grande o piccola che sia lo segue in massa, sapendo di potersi fidar di lui (o lei), a quello che offline fa lo stesso, non con minor impatto. I veri prototipi d’influencer? La mamma, la nonna con i sui consigli, l’amica del cuore, ma anche il medico di famiglia – il primo che chiamiamo, per uno starnuto o il primo consiglio anche più specialistico – persino il barista sotto casa, essenziale per quella dritta tanto preziosa sul negozietto più vicino ove trovar l’introvabile oggetto che in quel momento ci serve, o la scorciatoia ancora ignota per arrivare là dove dobbiamo correre, ché stavolta è proprio importante e siamo già in ritardo.

Se i mercati sono ancora «conversazioni» – se vogliamo che questa espressione abbia per noi ancora senso – «Influencer» è allora chi dice e condivide la Parola Utile-Per-Te, la Parola Utile che Salva, in quanto Ama e Aiuta. A influenzare è chi guida e ispira in quanto condivida esperienze Utili-Per-Te, in modo trasparente, sincero, affidabile, responsabile. Di cui dunque mi fido, che seguo. E così compro, eccome se compro (o meno) i prodotti di cui può trovarsi in questa o quella circostanza a parlarmi.

E se viene pagatoWhy not?! Il brand da lui così citato non guadagna forse dalla «pubblicità» che – sia come sia – gli si sta così facendo? Niente moralismi, dunque, e ben vengano forme di rewarding – di pagamento anche, se del caso. Purché però, semplicemente quanto essenzialmente, ciò resti driver e obiettivo indiretto: non motivazione, scopo diretto e primario. Driver, scopo diretto e primario sia solo l’Aiuto, l’Utilità-Per-Te: il condividere esperienze Utili-Per-Te, con Responsabilità, Autenticità, Affidabilità, Amicizia.

L’Influenza Utile, dunque, tutt’uno con l’Utile dell’Influenza: ecco per me il tratto caratteristico di un Influencer Marketing autentico e davvero efficace. Con questa Utilità – nel duplice, ma mai ambiguo senso dell’essere utile, dell’aiutare, sempre però portando a casa l’utile, il ROI a fine anno – guadagnano tutti: influencers, clienti e Brand. 

L’influencer, dunque, è tutt’altro che morto. Semmai cambia nome. Anziché «influencer-marketer», potremmo provare a chiamarlo «#SocialCare Marketer», «Help-Marketer», «Customer Experience Marketer». Intendendo con ciò battere l’accento sull’imperativo categorico dell’influencer: «Aiuta Influenzando (e dunque Vendendo), Influenza Aiutando (e dunque Vendendo)».  Sii responsabile, prenditi cura dei tuoi contatti e amici, in rete e non, metti il Cuore e tutto te stesso per aiutare, far ciò che è utile e che, alla fine, tale risulterà per tutti. Così assicurerai una #CustomerExperience memorabile, da sogno – per tutti, appunto: te stesso, i tuoi clienti-amici in rete, il brand che tu sei o rappresenti.

Ma tutto il resto no. È fuffa. «Vacche nere in una notte tutta nera», avrebbe detto il buon Hegel. Per tutti.

Facebook Comments

Previous articleTwitter spara sulla Croce Rossa e sul suo tweet “super razzista”
Next articleSotto il vestito niente
Digital Strategy R&D Consultant, Public Speaker, Lecturer, Coach, Author. Honoured by LinkedIn as one of the Top 5 Italian Most Engaged and Influencer Marketers. #SocialCare, «Utility & You-tility Devoted», Heart-Marketing and Help-Marketing passionate theorist and evangelist. One watchword - «Do you want to Sell? Help! ROI is Responsibility, Trust» - one Mission: Helping Companies and People Help and Be Useful To Succeed in Business and Life. Writer and contributor to books and white-papers. Conference contributor and Professional Speaker, guest at events like SMX, eMetrics, ISBF, CMI, SMW. Business Coach and Trainer, I hold webinars, workshops, masterclasses and courses for companies and Academic Institutes, like Istituto Tagliacarne, Roma, TAG Innovation School, Buzzoole, YourBrandCamp, TrekkSoft. Lifelong learning and continuing vocational training are a must.

1 COMMENT

  1. _Ma_eela_BelihbercJuStIn4eVeR_Directioner4ever_Love4Harry&Zayn&imp;Liam&Louis&Niall&Justin&Selena_ scrive:Hei ragazze abbassate la cresta..Voglio dire: Conor è bravo e anche Justin…Io sono una Belieber…Ma lo difendo perchè non lo ha insultato…….

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here