Il cambio dei vertici RAI e la situazione dell’azienda stimolano il dibattito sul futuro di una delle istituzioni culturali ed economiche più importanti del paese.
I sindacati di categoria, Slc Cgil, Fistel Cisl e Snater, sono intervenuti nel dibattito, inviando una lettera ai membri del nuovo consiglio di amministrazione, in cui analizzano la situazione della TV pubblica e avanzano proposte per rendere possibile una nuova RAI.
La denuncia delle modalità di gestione passate è netta. “La Rai, con i diversi piani realizzati negli ultimi 3 anni (Piano Industriale 2010/2012 – Mauro Masi, Piano di Risanamento 2011 – Lorenza Lei), ha puntato al taglio dei costi attraverso la riduzione della propria capacità produttiva e ideativa, lasciando pressoché immutata la pessima pratica delle clientele e degli sperperi. “
I sindacati non si fermano alla denuncia, ma analizzando la situazione attuale e partendo da essa, propongono tra le righe scelte diverse, a partire proprio dalla situazione finanziaria indicata dalla neo presidente, Anna Maria Tarantola, come la priorità più urgente. Il forte calo della raccolta pubblicitaria e il mancato adeguamento alle tendenze di mercato sono cause centrali individuate per la situazione attuale. “La Rai, in questo contesto di mercato e di evoluzione tecnologica, paga pesantemente sia il tetto pubblicitario imposto dalla legge Gasparri, sia la mancata realizzazione di canali a pagamento che invece per i diretti concorrenti, Mediaset e Sky, sono parte importante del loro business e determinanti per rispondere al forte calo della pubblicità”. Se a ciò si somma l’evasione del canone, utilizzato per i sindacati troppo spesso per finanziare programmi non di servizio pubblico, si ha un quadro economico che rischia “di rendere impossibile qualunque piano di rilancio”.
La lettera sottolinea l’importanza del mancato rinnovo del contratto di lavoro, non solo in quanto strumento di tutela dei lavoratori, ma come mezzo per modificare i processi produttivi e organizzativi. Il taglio dei costi, per i sindacati, deve avvenire attraverso la “revisione dei modelli e dei processi produttivi”, e attraverso una maggiore valorizzazione delle risorse interne e la riduzione della dipendenza per la programmazione dall’esterno. “L’acquisto di format chiavi in mano obbliga infatti la Rai a rapporti commerciali che, soprattutto con le grandi case di produzione, creano una dipendenza commerciale e produttiva che sempre più spesso si trasforma in subalternità delle strutture aziendali a quelle delle case di produzione.”
La denuncia si fa ancor più dura rispetto alla gestione del personale interno. “Il numero di dipendenti della Rai, circa 10.000 tra tempi indeterminati e tempi determinati (operai, impiegati e quadri), potrebbe essere sufficiente per svolgere tutte le funzioni necessarie a mandare avanti l’azienda, ma ciò non può avvenire per diversi motivi, tra i quali il sottoutilizzo del personale dipendente, marginalizzato dalle spinte clientelari; le 45.000 collaborazioni ogni anno (di cui migliaia continuative e con retribuzioni elevate); lo scarso turnover in alcune aree di produzione e in alcune sedi, in particolar modo nelle sedi regionali, che danno vita ad appalti sostitutivi.”
La soluzione dei sindacati è un contratto di lavoro che riveda nel profondo i processi di gestione e produzione e abbia tra i suoi elementi centrali: “il controllo degli appalti e la loro riduzione; la diminuzione del 50% delle consulenze fortemente onerose”; e “un percorso di stabilizzazione” per i lavoratori ‘atipici’ e di riforma del mercato del lavoro.
Non manca la richiesta di una maggiore formazione per il personale e la denuncia degli scarsi investimenti tecnologici.
Volendo riassumere: attenzione ai costi, ma altrettanto alla produzione culturale; guardare al futuro, recuperando dal passato le funzioni per cui la RAI è originalmente nata. Tanto che i sindacati arrivano a sostenere quasi una totale separazione delle fonti di finanziamento delle diverse tipologie di programmi. “Il canone, che dovrebbe essere interamente utilizzato per i programmi di servizio pubblico, sta sostenendo la programmazione di prodotti d’intrattenimento leggero e alcune volte di scarsa qualità”.
I sindacati è evidente sono chiamati a svolgere un proprio ruolo, ma nel farlo hanno un punto di vista molto particolare. Quello che nella lettera è davvero interessante son le proposte tra le righe. Sviluppo di canali a pagamento, minore dipendenza da prodotti esterni, maggiore investimenti tecnologici, riduzioni delle pratiche clientelari e dei costi ad esse connessi, valorizzazione delle risorse interne e delle funzioni di servizio pubblico. Sostanzialmente una maggiore attenzione alle dinamiche in evoluzione dell’ecosistema TV, una gestione non politica dell’azienda e la rivalutazione del suo ruolo specifico.
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