Perché lo spread è una cosa seria e forse i “cattivi” siamo noi

Lo spread dei titoli di Stato su cui da molti mesi si stanno concentrando gli sforzi del governo e del Paese sembra è per molti un’entità astratta, quasi metafisica. In fondo, effettivamente, la contrattazione dei titoli sovrani non è parte integrante della quotidianità dei più.

Tuttavia, quel numero altro non è che un indicatore di un divario molto più concreto e molto più aderente alla nostra vita di quanto ci sembri.

Diamo un po’ di numeri…

Corruzione: mediamente, dice la Corte dei Conti nell’ultimo documento sul rendiconto del bilancio dello Stato, la corruzione porta a un aumento del 40% dei costi delle opere pubbliche. E, aggiungo, spesso non porta solo a un aumento esponenziale dei costi, ma anche alla mancata realizzazione di opere necessarie.
Per dirla con le parole della prima pagina del New York Times di qualche giorno fa “Nothing embodies the failures of the Italian state more neatly than the highway from Salerno to Reggio Calabria.”

La produttività: gli italiani lavorano, in media, più di tutti gli altri lavoratori dei paesi industrializzati. 1.744 ore all’anno contro, ad esempio, le 1.411 in Germania. E, tuttavia, tutte queste ore di lavoro sono inversamente proporzionali alla loro produttività: mentre in Germania si producono 55$ ogni ora lavorata, l’Italia è in fondo alla classifica, con 45 $ di PIL per ogni ora. Perché? Non sarà perché la cultura dominante delle nostre aziende (spesso piccole e familiari) e della nostra Pubblica Amministrazione che direttamente e indirettamente (con le SPA pubbliche o para-pubbliche) contribuisce significativamente al prodotto interno lordo è improntata al nepotismo, al mancato ricambio, e alla scarsa managerialità e promozione del merito? Non sarà, anche, perché mentre in Europa, secondo l’lSFOL, il 30,7% degli occupati ottiene l’impiego grazie alle segnalazione di un conoscente, in Italia la percentuale sale al 76,9%? E, per la cronaca, in Germania la raccomandazione serve “solo” nel 40% dei casi.

Nero ed evasione: l’Italia ha basato molto del suo benessere su un paradigma malato e distorto. Da una parte il comparto pubblico è stato abbandonato all’inefficienza e usato come un ammortizzatore sociale, dall’altra, si è usata tolleranza (e talvolta ammirazione) verso il vizio dell’evasione di professionisti e imprese e si è lasciato sviluppare un «nero» sterminato, che coinvolge fette amplissime di popolazione e interi settori (pensiamo all’edilizia).

E, poi, last but not least, la modernizzazione del sistema economico e del tessuto industriale.

Proprio pochi giorni fa, Accenture ha pubblicato una ricerca sullo “spread” digitale fra Italia e Germania. Risultato: lo spread digitale, cioè il gap fra Italia e Germania nella realizzazione degli obiettivi previsti dall’Agenda digitale europea, è di 4.525 punti.

Finalmente, il recente Decreto Sviluppo varato dal Governo definisce il piano per l’Agenda Digitale, ed è sicuramente una buona notizia. Tuttavia, l’Agenda Digitale è un’iniziativa comunitaria che fissava degli obiettivi precisi di sviluppo dell’economia digitale e dei servizi di rete, nonché obiettivi di convergenza dei paesi membri già al 2013. Dunque, l’attuale governo è chiamato a invertire la rotta partendo da una situazione “arretratissima”: il gap fra Italia e agli altri paesi della EU è maggiore di 10 anni fa.

E non soltanto a livello delle infrastrutture, ma ancora di più sul piano culturale e imprenditoriale. Mentre, infatti, in Germania il 77% della popolazione usa regolarmente la rete, in Italia questa percentuale scende a un misero 51%, con un 30% di persone che, nel 2012, dichiara di non aver mai utilizzato Internet!
E mentre il commercio elettronico si attesta su un 64% in Germania, in Italia annaspiamo con fatica sul 15%.

Ecco, quando si parla di spread, non pensiamo a qualche formula esoterica utilizzata da banchieri e affini. Pensiamo a queste cose qui, molto più “reali”. Sono cose molto più tangibili che ci fanno capire meglio perché i nostri titoli di Stato non sono considerati un buon investimento.

Voi prestereste dei soldi a un vicino di casa, corrotto e furbetto, e che non usa nemmeno l’email? La prossima volta che vi (ci) capita di inveire contro i “perfidi speculatori” o contro i “crucchi cattivi” pensateci su.

E diamoci una mossa, perché dallo spread – quello della vita reale – possiamo salvarci solo noi. Non c’è Mario(s) che tenga.

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Alessandra Poggiani è Professore incaricato di Interfacce, Sistemi e Contenuti per le nuove tecnologie a La Sapienza di Roma e Visiting Professor di Economia Digitale alla Business School dell’Imperial College di Londra. Collabora alla cattedra di Marketing della Facoltà di Ingegneria Gestionaleall’Università Tor Vergata, con la Business School della LUISS e con il CATTID dell’Università La Sapienza. Ha ricoperto diversi ruoli dirigenziali nel settore pubblico e nel settore privato ed è ora Senior Advisor di società di consulenza nazionali e internazionali per attività di consulenza direzionale nei settori Enterprise 2.0, Customer Experience, Media Digitali e progettualità ICT per la Pubblica Amministrazione. Coordina il gruppo di lavoro sull’Agenda Digitale della Fondazione Glocus e partecipa attivamente alle attività del think-tank Vedrò sui temi dell’open government e dell’Agenda Digitale Europea.

1 COMMENT

  1. Lo spread tra il bund tedesco e il Btp italiano preoccupa tutti e viene messo minuto per minuto sotto il microscopio dei mercati, ma ce n’e’ un altro, forse piu’ concreto, che pone il nostro Paese in una posizione molto piu’ arretrata rispetto alla Germania. E’ lo spread digitale, vale a dire la distanza che separa i due Paesi nella realizzazione degli obiettivi previsti dall’Agenda digitale europea: un valore che nel 2011 si e’ attestato a 4.525 punti, cioe’ oltre dieci volte quello tra i due titoli di Stato.

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