Ancora poche ore alla presentazione della nona edizione del Rapporto Piccole Imprese di Unicredit. Mi trovo a leggere e rileggere l’imponente massa di dati prodotti dall’Osservatorio Unicredit Piccole Imprese per organizzare le idee in vista della tavola rotonda alla quale sono stato invitato e mi chiedo quale sarà l’esercizio di stile che Gabriele Piccini piuttosto che Roberto Nicastro (Country Chairman e Direttore generale di UniCredit) o Stefano Firpo piuttosto che Stefano Parisi (capo della segreteria tecnica del MiSE e Presidente di Confindustria Digitale) vorranno, potranno e sapranno fare per trovare spunti positivi in quello che sembra un quadro francamente devastante.
Si fa fatica a trovare un indicatore positivo tra i tanti prodotti. È difficile scovare un trend in crescita tra i tanti tracciati. Eppure mai come in questo momento al Paese serve speranza, alle persone serve fiducia, alle imprese respiro.
Ce la passiamo male…
L’Italia, lo dicono i dati dell’Osservatorio ma lo dice anche l’esperienza quotidiana, ha reagito alla crisi peggio degli altri paesi europei. Mentre in Europa la recessione è ancora una prospettiva in Italia è già una realtà consolidata, con quattro trimestri consecutivi di contrazione del PIL ai quali non potranno che seguire – anche nelle più rosee previsioni – almeno altri due trimestri con performance negativa. Il che, ovviamente, ha già portato ad un aumento del divario tra il nostro Paese e gli altri dell’area Euro: un divario che, allo stato attuale e con le dinamiche evidenziate dalla ricerca, non può certo diminuire a breve.
Una situazione che pesa sulle imprese e sugli imprenditori al punto che – e forse è questo l’aspetto più preoccupante – l’indice di fiducia rilevato dall’Osservatorio è crollato solo nell’ultimo anno di ben otto punti, raggiungendo il valore più basso degli ultimi dieci anni. Insomma: c’è così poco da sperare, che gli imprenditori hanno smesso di farlo.
La fiducia è nel digitale?
Per trovare una chiave di lettura positiva tocca recuperare Gramsci, quando dice che si è pessimisti a causa dell’intelligenza, ma ottimisti per diritto. E che occorre opporre al pessimismo della ragione l’ottimismo della volontà.
E a voler proprio essere ottimisti un dato incoraggiante si trova, nei numeri e nelle considerazioni dell’osservatorio. È quello relativo al ruolo del digitale. E non perché lo storico digital divide infrastrutturale e culturale del nostro paese stia diminuendo. Anche in questo i dati sono chiari: scontiamo ritardo e continuiamo ad accumulare ritardo. Il motivo è un altro, e riguarda proprio la speranza che le imprese ripongono nel digitale. O, meglio, la differenza nell’indice di fiducia tra le imprese digitalizzate e quelle non digitalizzate. Un dato significativo, che evidenzia come le aziende piccole e grandi che hanno investito in infrastrutture digitali siano mediamente più fiduciose (o, meglio, meno demoralizzate) delle altre. Chi ha investito in settori come e-commerce, web marketing o procedure di acquisto elettroniche vede il futuro meno nero di chi non lo ha fatto. Una media di ben sette punti nell’indice di fiducia che fa comprendere quanto forte sia il ruolo delle tecnologie e della rete nelle prospettive per il futuro.
Ma se da una parte è positivo trovare nei dati la conferma del fatto che anche in termini di fiducia per il futuro i digitale è un asset ormai indispensabile, dall’altra questa stessa evidenza rappresenta un’ulteriore causa di preoccupazione.
Ottimismo della volontà o pessimismo della ragione?
La preoccupazione scaturisce da diversi motivi che emergono quando tacitato l’ottimismo della volontà a parlare è il pessimismo della realtà.
- Il primo motivo si chiama Agenda Digitale. Veniamo da oltre un anno impiegato a discutere di agenda digitale senza che per il digitale sia stato fatto nulla Un anno perso per partorire soluzioni che per stessa ammissione di chi ha gestito le attività della Cabina di Regia non sono quelle di un’agenda digitale così come intesa nel resto d’Europa, ma quelle di un provvedimento volto a “riorganizzare e sistemare l’esistente”. Senza pensare al fatto che non servono agende per capire che il primo tema da affrontare è quello del divario tecnologico e culturale. Servono reti e infrastrutture. E serve vision. Né in un senso né nell’altro la nostra “Agenda-non agenda” fa qualcosa. E l’Italia ha perso, in questo film, altro tempo prezioso.
- Il secondo motivo si chiama politica delle Startup Innovative. Come se poche migliaia di sartup innovative potessero risolvere i problemi di un Paese privo di una reale politica industriale, si è dato peso al piano per le startup illudendo migliaia di giovani del fatto che l’Italia possa essere – anche senza un reale sistema di supporto – la Silicon Valley d’Europa. E senza nulla togliere all’importanza delle startup innovative, che senz’altro rappresentano un tassello nel complesso mosaico delle azioni di risanamento dell’economia del nostro Paese, proprio non si capisce come facciano – poche startup mal finanziate – a sostituire una reale politica industriale.
Attenzione alle delusioni…
Insomma, l’impressione che si ha è che tanto l’Agenda Digitale quanto il Piano per le Startup non siano state altro che pericolose armi di distrazione di massa. Distrazione dell’attenzione delle persone e dei media dalle cose realmente importanti. Un’Agenda Digitale che non traccia vision e un piano delle startup che scambia una parte della soluzione per il tutto non solo rischiano di non risolvere i problemi del nostro Paese, ma – ancor peggio – rischiano di porre le basi per l’ennesima delusione da parte degli italiani. Italiani che – è già successo ormai un decennio fa – illusi e delusi dal commercio elettronico della fase “pre bolla” hanno impiagato due lustri e tanta fatica a riavvicinarsi al digitale.
Il pericolo maggiore, oggi, è che la grande sovraesposizione data ad operazioni come Agenda Digitale e Piano per le Statup, che non potranno che produrre altre delusioni, uccida anche quel refolo di speranza dato dalla fiducia che gli imprenditori stanno accordando al digitale rilevata dall’Osservatorio Unicredit. È un rischio che non possiamo permetterci.
E voi, come la pensate? Il convegno di presentazione dei risultati dell’osservatorio sarà anche su Twitter, con l’hashtag “#rapportopi2012”. Fate i vostri interventi, e sarà mio impegno quello di riportarli ai relatori presenti…
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