L’eco di Eco riverbera in rete e collega Uber agli imbecilli, bloccando il cambiamento

Tra Uber ed Umberto Eco siamo messi male. C’è infatti un sottile filo rosso che collega la recente sentenza del giudice milanese Marina Tavassi con l’apocalittica affermazione del non proprio integrato semiologo secondo la quale i social hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli.

Tanto le reazioni a fenomeni come Uber, Booking, Tripadvisor o CoContest quanto l’imbecillità della quale parla Eco sono solo l’eco – appunto – di un problema più vasto che si riverbera sulla Rete ed a causa di essa diviene evidente, ma che riguarda tutta la nostra società.
Miopia e paura sono le fibre di tessuto dalle quali è composto il filo rosso che non solo lega Eco ad Uber, ma che rischia – come un vero e proprio cappio – di strangolare il cambiamento di una società che ha solo due alternative: mutare o affondare.

PAURALa paura è quella di una società da troppo tempo immobile e troppo concentrata su sé stessa. Una società che rifiuta di rendersi conto che il mondo cambia. Non necessariamente in meglio, certo. Ma cambia. Il cambiamento portato dalle tecnologie – ce lo insegna la loro storia – si può assecondare, cercando di cogliere le opportunità che porta con sé. Oppure si può provare ad imbrigliarlo in un inutile tentativo di difesa contro ciò che genera. Ma mai, nella storia, ha vinto chi ha pervicacemente provato ad imbrigliare il cambiamento. Mai ha vinto chi ha cercato di ostacolarlo piuttosto che cavalcarlo. Presto o tarsi la resilienza della società considerata nel suo complesso supera la resistenza di quelle parti di essa che per paura, ignoranza o interessi consolidati cercano di ribellarsi all’inevitabile. Lo sgomento di Umberto Eco di fronte ai Social Media è lo sgomento dei grandi stampatori inglesi che riuscirono ad imporre il concetto di copyright quando Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili. Quella stampa che – parafrasando Eco – avrebbe potuto dar voce a migliaia di imbecilli in grado di stampare le proprie opere al di fuori del circuito protetto (tanto in termini culturali che di mercato) costituito da coloro che avevano ottenuto per decreto il “diritto di copia”, cercando così di tutelarsi dal cambiamento.

Questo non vuol dire che il nuovo sia necessariamente meglio del vecchio. Vuol dire semplicemente che – presto o tardi – il nuovo si afferma. Ed in questa affermazione vincono quelli che riescono prima e meglio degli altri a comprendere le nuove regole del gioco.

La miopia è quella di chi cerca di reagire alla paura tentando di conservare diritti e privilegi senza rendersi conto che non possono esserci diritti e privilegi da conservare se scompare la società nella quale tali diritti e privilegi sono maturati. Non si tratta di essere progressisti o conservatori. Si tratta, più semplicemente, di guardare all’evoluzione del contesto con concretezza. Non servono le carte bollate dietro le quali talvolta si difende chi vive come un attacco ciò che è, semplicemente, il risultato di un processo evolutivo. “Ubi societas ibi ius” insegnano i più saggi tra i giuristi: ove c’è la società è lì che si costituisce il diritto. L’inversione di causa ed effetto per la quale è la società che deve adeguarsi al diritto cristallizzandosi di fronte a norme immobili, che non sono in grado di evolvere come evolve ciò ce le circonda, non ha prodotto che mostri. Mostri legittimati da difensori che – forti dell’idea spesso ipocrita di essere nel giusto – fanno leva sulla legge sperando che essa li tuteli dall’inevitabile. Ma in una società che cambia deve cambiare anche il diritto. E le società che vincono, oggi, sono proprio quelle che fanno leva sull’innovazione e sulla capacità di cavalcarla. Anche attraverso strumenti di diritto flessibili ed in grado di mutare con il mutare della società e del contesto. La sentenza di Uber non è che un sintomo di una società che invece che guardare alla luna rimane ferma al dito. E così mentre il nostro Paese si impegna per capire come fare ad arginare il fenomeno altri paesi si impegnano per far si che il prossimo Uber nasca nei loro confini nazionali. Ma Uber ha già vinto, così come hanno vinto Apple, TripAdvisor, Booking.com, Netflix. Quello che si può fare con una sentenza è solo prolungare l’agonia di un settore, evitando che tutto il resto del paese si avvantaggi delle opportunità di un cambiamento.

miopiaNon è una battaglia tra giusto e sbagliato, ma tra vecchio e nuovo. Un nuovo che non solo cambia le prospettive, ma ridetermina le regole del gioco. Non comprendere che sono le regole del gioco ad esser cambiate non aiuta a vincere la partita. Si pensi alla WebTax: non è in discussione il fatto che tutti debbano pagare le tasse, ma il principio in base al quale esse debbano essere pagate in un determinato luogo in base alla presenza o meno di una stabile organizzazione. Nell’economia della conoscenza, forse, dovremmo iniziare a preoccuparci di far pagare le tasse nel luogo in cui si costituisce l’intelligenza sulla base della quale il valore viene generato, non in quello in cui un prodotto viene venduto. E solo così capiremmo – quindi – che la vera vittoria non è far pagare le tasse agli OTT, ma produrre quel contesto culturale, tecnologico ed economico tale da far si che la prossima generazione di OTT nasca in Europa, e il problema della tassazione lo ponga agli altri Paesi.

La paura e la miopia sono quindi quelle dei vecchi intellettuali che non riescono ad interpretare una società che non gli appartiene più. Dei politici che per ignoranza o per tutelare il voto organizzato di una o l’altra categoria (siano i tassisti di Uber o gli architetti di Cocontest poco importa) si giocano il futuro dei propri figli con la voracità di Saturno. Di una classe dirigente bloccata nel timore che il cambiamento sposti un sistema di interessi consolidati per fare spazio ad un contesto ove si potrebbero riscrivere le regole del gioco in modo forse a loro non favorevole.

Ciò di cui non ci si rende conto è che la tutela di interessi di una parte finisce inevitabilmente per danneggiare l’intero, quando i motivi che spingono alla difesa sono paura e miopia.

In una fase di cambiamento globale dell’economia e della società serve il coraggio di cambiare paradigma, intaccando interessi consolidati e mettendo in discussione diritti acquisiti e rendite di posizione che – se tutelati oltre – rischiano di essere pagati a spese di chi, di diritti, non ne avrà più.

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