Real-time marketing: «Who, What, When, Where, Why». Di che parliamo quando parliamo di «Real-Time Marketing» – aka «newsjacking», come ormai sempre più spesso si sente dire – quando e dove si verifica, chi ha l’onore e l’onere di occuparsene e preoccuparsene – con quali competenze, ruoli, capacità tecniche – e, soprattutto, perché è così importante. Di questo abbiamo parlato l’ultima volta, prendendo spunto da Ceres e una delle sue più recenti performance, il «caso birra in stazione», dinanzi alla cui meraviglia in tanti si sono inchinati, commentando «Chiedi e ti sarà dato. Ceres #Cerescè», come Ninja Marketing, o «sogno esaudito», o ancora «come si fa a non amarli?».
Proprio sul «perché» ci eravamo fermati: la carne al fuoco non era, ne è, poca.
Il real-time marketing, infatti, è tattica determinante di una strategia che miri davvero al ROI, al raggiungimento del business. In nome però di un diverso concetto di “dollaro”, di monetizzazione del risultato, di vendita, ispirata al principio «Vuoi vendere? Aiuta!»: «Sell? Help!». Un orizzonte di senso – diciamolo subito – in cui il ritorno sull’investimento non è uguale all’utile, bensì all’utilità, l’utilità per te: dove ROI equivale a responsabilità.
«Che cavolo stai dicendo?», si chiederà qualcuno.
Ok, procediamo step by step.
Il real-time marketing – newsjacking, «instant marketing» che utilizza la notizia come leva di promozione – è come accennato una delle tattiche decisive conseguenti all’attivazione di driver, decisioni strategiche ove il brand scelga di mettersi in gioco fino in fondo: con cuore, responsabilità, caring a 360 gradi. È comunicazione coinvolgente e proattiva verso il cliente-utente, non programmata né pianificata, dunque inusuale, spiazzante e inattesa, ma in ciò tanto più proficua e opportuna, ove l’azienda mostra di aver a cuore davvero gli interessi del cliente, tutto ciò che può servirgli e risultargli di utilità, piacere. Secondo un recente studio di Wayin, il 98% delle aziende che abbiano posto in opera l’RTM confermano un impatto positivo nei ricavi: il 59% dichiara di star già pianificando aumenti di budget nel 2016 per attività di RTM.
Sì, perché… Attenzione: qui non si scherza. Dietro il brio, l’aria di giocosa leggerezza, c’è non a caso un’attività faticosa e impegnativa, per la quale occorre prepararsi bene e farsi trovare con le spalle forti. Quando si dice real-time, infatti, si intende davvero «tempo reale». Come riportato dalla ricerca e ben evidenziato da MarketingProfs, per il 49% delle aziende si tratta di rispondere «in pochi minuti a un evento che accade». Per il 26% «è un fatto di secondi». Anche in questo caso, inoltre, se si chiede a quale esigenza, quale desiderio o bisogno strategico sia andato e vada a rispondere l’RTM, il 56% afferma «implementare le relazioni coi clienti».
Il «Social Customer Relationship Management», che dunque torna ancora in primo piano: inteso a 360 gradi, non solo come assistenza alla clientela on-line in senso tecnico, ma come un darsi del brand per la community che coinvolga interamente e dal profondo entrambe le parti, con cuore, amore, passione, dedizione, devozione, spirito di servizio.
Occorre allora chiedersi:
- Qual è la «strategia», l’insieme di decisioni e driver – cui si è fatto cenno – che giustificano ruolo e importanza del real-time marketing, mettendone in luce i tratti principali?
- Quali sono le «altre tattiche» cui alludiamo, che devono coniugarsi con l’RTM nelle quotidiane attività online del brand?
- Ultima, ma non ultima – anzi prima domanda da porsi: che cos’è il «ROI» di cui tanto parliamo? Che cosa intendiamo con «ritorno», «guadagno», «ricavo» – che cosa soprattutto dobbiamo intendere oggi?
Per rispondere, niente teoria: guardiamo alla pratica. Ricordiamo casi emblematici che, da soli, lascino emergere le soluzioni cercate. Ripensiamo non tanto né solo al più che noto caso di scuola, quello di Oreo col suo «Dunk in the Dark» durante il blackout del Super Bowl, il 3 febbraio 2013 alle 20.38: neanche 10 minuti e Oreo era già partito col suo «Power out? No problem – You can still dunk in the dark».
Se ne rammentino en passant solo i risultati, memorabili: 10mila retweets in un’ora, 20mila ricondivisioni su Facebook e Twitter, 525mila impressions. Solo per citarne alcuni. Numeri ottenuti con un tweet e spesa zero, laddove invece le aziende – in uno scenario come quello messa a disposizione dal Super Bowl – hanno speso qualcosa come 4 miliardi di dollari in pubblicità. Ripensiamo ad esempio al caso Tesco: ve lo ricordate?
16 ottobre 2013. «Scarica immediatamente una ragazza se il suo gestore è Tesco Mobile», twitta Felipe. Che per tutta risposta si sente chiedere da Tesco: «Sei veramente nella posizione di poter scaricare una ragazza?».
Felipe, rimasto spiazzato e così conquistato, diviene fan del brand praticamente subito. Lui e centinaia di utenti rimasti nel frattempo ingaggiati dalla conversazione e positivamente contagiati dalla gioia che, via via, emergeva nel botta e risposta tra Felipe e l’operatore. Tutti clienti coinvolti e “coccolati”. Tutta potenziale lead nurturing: tutta potenziale lead generation.
Felipe si vede poi recapitare a casa persino un ricco regalo da Tesco, per «avere reagito così bene all’essere stato pubblicamente preso in giro su internet». Risultato? Altro che Customer Satisfaction: amore puro! «Thank you @tescomobile for the gift», cinguetta Felipe, ormai perso per l’azienda: «much love for you!!». Il tam-tam in rete lievita. Ninja Marketing rilancia: «La strategia Twitter di Tesco Mobile: prendi un cliente, trattalo male…». E lo dice chiaramente: «Dimenticate tutto ciò che pensate di sapere su Twitter e Customer Service. Abbandonate quel tono pacato con cui vi hanno insegnato a scusarvi per il disservizio e rassicurare il cliente». Tesco Mobile «conquista tutti con l’antipatia dei suoi tweet».
Una «ruvida ironia» che è spesso parte integrante del real-time marketing e del social caring: di cui parleremo e che – diciamo sin d’ora – porta risultati concreti, misurabili. Quali? Incremento esponenziale dei follower, addirittura del 700%, e «mezzo milione di clienti» in più, passati nel 2013 da 3,5 a 4. Clienti “veri”, dunque, che offline hanno scelto di usufruire dei servizi della compagnia.
Non è stata questa l’unica performance di Tesco. Una volta sfida il concorrente O2 a una rap battle a colpi di tweet. Un’altra ingaggia una storica conversazione con Yorkshire Tea e Jaffa Cakes. Ancora, di recente, lancia l’hashtag #BanishAverage, con uno spot che invita a trasformare le cose di tutti i giorni in esperienze incredibili.
«L’antipatia come fattore di successo», verrebbe da dire. Un successo ottenuto proprio cominciando a «replicare con cortese ironia alle rimostranze di alcuni consumatori». Il successo di un realtà è una marketing ironicamente ironico, declinato cioè con un tone of voice all’insegna della «zingarata», del motto giocoso ma intelligente e sapiente, che attira come una calamita e non ti lascia più andar via.
Perché tutto questo? A quali bisogni, sociali e umani, prima ancora che commerciali, risponde l’RTM? O quali bisogni va astutamente anche a creare, per potervi poi replicare in tempo zero?
A voi le prime riflessioni, nella “prossima puntata” la (mia, umilissima) risposta…
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