#StartUp: di cosa parliamo quando diciamo “Exit Strategy”

“Exit strategy”, cosa vuol dire per una startup ma soprattutto per gli startupper? Contrariamente a quanto si possa pensare non si tratta di una soluzione ad un fallimento, piuttosto un’opportunità, un elemento fondamentale che deve essere considerato fin dall’inizio della redazione di un business plan e che può portare a successi futuri.

Cosa è?

success - Next Exit RoadUna exit strategy è letteralmente la strategia di uscita che comprende la vendita delle proprie quote da una attività. Di fatto, anche se è molto frequente sentir parlare di exit della startup, l’exit è più propriamente un’azione che interessa gli investitori, coloro che hanno puntato su una determinata idea di business, e arrivano a volerne quantificare e ottenere, ad attività avviata, un ritorno.
Non è quindi un’attività negativa, come dicevamo, ma diventa un obiettivo strategico per chi realizza una startup: non incarna necessariamente la fine dell’avventura imprenditoriale ma anzi, la sua auspicabile e positiva finalità.

Come si realizza?

Non esiste un solo modo per realizzare una exit strategy,  ma ecco i principali “tipi” di exit.

  • Acquisizione: la strategia di uscita principale per uno startupper è quella di vendere la società ad una società più grande per profitto; l’acquirente può compare in denaro o offrendo le proprie azioni del medesimo valore, lasciando generalmente l’attività in piedi senza intaccare l’operato dei dirigenti e dei dipendenti, oppure possono decidere di lasciarli solo per il periodo di tempo necessario ad accomodare un cambio di gestione.
  • Acquihires”: deriva dalla fusione delle parole “acquisition” e “hiring” ed è un diverso tipo di acquisizione molto comune nella Silicon Valley. In questo caso l’acquirente non è tanto interessato al prodotto in quanto tale, ma piuttosto al team che lo ha realizzato; per l’acquirente si tratta a tutti gli effetti di investire sul talento delle persone. E’ una modalità che spesso porta alla dismissione dei servizi e dei prodotti che sono stati acquisiti e il capitale umano viene trasferito nelle divisioni della società acquirente. In Italia è una modalità ancora poco diffusa: secondo Nicola Davanzo, CEO di Bluewago, startup supportata da UniCredit e protagonista di una exit strategy milionaria, il nostro Paese, sulle exit e in generale nel business legato alle startup, “è all’inizio di un percorso economico e aziendale che nella Silicon Valley è in atto da diversi decenni, quindi le differenze nelle logiche attuative e nelle risorse messe a disposizione da giovani imprenditori e dagli investitori sono evidenti”.
  • Mergers & Acquisitions: anche nota semplicemente come M&A, tale operazione di solito implica una fusione con una società simile e più grande; questo tipo di exit vede spesso il coinvolgimento di grandi aziende che sono in cerca di competenze nel mercato di cui ancora non dispongono; l’acquisto di un’azienda già avviata e più piccola, infatti, è il modo più semplice per sviluppare ulteriormente un prodotto già in crescita, piuttosto che riprodurlo “in house” senza le giuste competenze e il know how necessario.
  • Lanciarsi nel mercato azionario: l’IPO, letteralmente “initial public offering”, è una strategia d’uscita che può essere profondamente vantaggiosa, specie se la startup ha raggiunto un buon livello di maturazione; con l’ingresso nel mercato azionario, con questa exit strategy la società inizia a vivere dei capitali degli azionisti, che possono essere attori istituzionali, pubblici o privati, i quali possono anche entrare nel CdA della società quotata.
  • Nessuna exit: infine, si può scegliere non uscire; le aziende che sono in grado di creare un modello di business solido possono scegliere di rimanere indipendenti e reinvestire i propri utili nell’azienda; parte di questi utili possono anche essere distribuiti tra gli investitori a titolo di dividendo, fornendo così liquidità a partner esterni.

Come realizzare una exit?

Per usare le parole di Nicola Davanzo: “La modalità operativa di approccio ad una exit strategy può, ovviamente, avere molte sfaccettature. Il comune denominatore di ogni operazione di questo tipo però deve mantenere il focus su degli elementi importanti: il profilo specifico dell’acquirente e il momento in cui avviare l’operazione.”

Il che vuol dire che la exit strategy va attentamente pianificata anche avvalendosi di professionisti in grado di supportare l’imprenditore: le banche figurano ormai tra gli attori più ascoltati dalle comunità di “startupper” e da chi ha intenzione di avviare imprese innovative. Il motivo è presto detto: possono essere snodi di abilitazione fondamentali dato che, grazie alle reti di competenze e alle relazioni che sviluppano con le realtà imprenditoriali, possono essere fonte di reale supporto a chi prova a fare innovazione. Ma anche come “bacino” di competenze legate alla exit, come spiega Davanzo,sapere a chi rivolgersi per presentare un’offerta di acquisto può rivelarsi utile non soltanto per la buona riuscita dell’azione ma, soprattutto, per portare l’azienda nella giusta direzione di crescita, verso chi ha una visione degli obiettivi e dei valori comune e condivisibile. Le tempistiche, inoltre, sono altrettanto determinanti. Nel caso di BY la cessione della maggioranza dell’azienda rappresenta un valore aggiunto per rinforzare e ampliare ulteriormente le prospettive di crescita. Per noi è stato altresì importante il ruolo della banca nel momento di costituzione dell’azienda dove il contributo di Unicredit, grazie all’accesso al Fondo di garanzie, per le start up innovative ha messo le basi per la fase di sviluppo successiva.”

Quando fare una exit?

Anche in questo caso non esiste una regola precisa, tutto si riduce alla valutazione delle condizioni di mercato e le giuste opportunità, ma l’indicazione che più viene seguita anche oltreoceano è quella di prevederne una forma sin dal primissimo business plan, in modo da gestire l’azienda, focalizzandosi sugli aspetti che la renderanno sempre più attraente per i potenziali compratori. La fattibilità e la convenienza di una exit, ad esempio, possono essere molto condizionate dalle decisioni sulla struttura dell’azienda che si sono prese in fase di avvio, tali da costituire un ostacolo, anche giuridico, alla vendita o porre ulteriori vincoli.

Ecco perché ragionare solo “dopo” e non all’inizio dell’attività, su quale exit prevedere per la propria startup, potrebbe essere un notevole rischio, ecco perché non è vantaggioso intendere la exit solo come una “operazione di emergenza” ma come un obiettivo strutturale del business.
Ecco perché si tratta di un punto di arrivo ma anche di partenza verso cui essere sempre pronti: “Mantenere i propri dati aggiornati di volta in volta permette di essere pronto ad ogni richiesta degli investitori. Il supporto di un buon professionista in campo economico e legale è di certo necessario, serve definire non soltanto le basi dell’investimento ma anche eventuali passaggi futuri che si possono prospettare per l’azienda e per il team.”

Il nostro Paese, sulle startup, è ancora lontano dai modelli attuativi già presenti da almeno un decennio nella Silicon Valley e tuttavia, secondo Davanzo, “le azioni messe in campo dal Governo e dal Ministero dello sviluppo Economico per le startup innovative dimostrano una volontà di rilancio e vanno nella direzione giusta, vedi il Job Act (internamente all’azienda ne abbiamo avuto un riscontro diretto). Ovviamente ci sono ancora ampi margini di miglioramento che potranno essere ampliati con una ulteriore ottimizzazione della legislazione del lavoro, attraverso forti investimenti in ricerca e innovazione che puntino a creare realtà uniche ed esportabili e, soprattutto, programmando un forte investimento in capitale umano”.

In conclusione, le exit strategy sono un elemento da prendere in considerazione da subito, già nel momento stesso della costituzione e progettazione di una startup innovativa. Il ruolo delle banche, in questo, come ci insegna Bluewago, può essere determinante ma, per creare un reale ecosistema il nostro Paese, si dovrà ancora lavorare a lungo e la strada da percorrere è ancora tanta. In Italia – dice ancora Davanzo – non siamo abituati a parlare di acquisizioni di startup. Chi se ne occupa lo fa perché ha una visione di impresa diversa e non convenzionale. Lo sviluppo di un ecosistema startup sta modificando le logiche di sviluppo di impresa a cui storicamente si era abituati. E’ grazie a politiche di sviluppo economico e normative dedicate che si creano le condizioni giuste affinché le idee possano attecchire, diventare imprese e crescere. Per farlo si deve credere e investire economicamente in ricerca e innovazione. BY, ad esempio, ha trovato in Area Science Park, parco scientifico e tecnologico di livello internazionale, il suo primo investitore. Senza questo tipo di supporto l’idea di Bluewago non si sarebbe trasformata in una realtà aziendale.”

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