I buoni consigli e il cattivo esempio

Fine anno di grande fermento per tutte le scuole: il 15 gennaio 2016 è scaduto il termine per la presentazione del piano triennale dell’offerta formativa (PTOF). La legge di riforma del sistema scolastico (n.107/2015), entrata in vigore lo scorso luglio, lo descrive come “il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia”. Un documento importante, insomma. In realtà la legge stessa lo voleva pronto “entro il mese di ottobre” ma, appunto, data la sua importanza, il termine è stato saggiamente prorogato per dar modo a dirigenti scolastici e docenti di metterlo a punto nel migliore dei modi. D’altra parte, come espressamente richiesto al comma 5 dell’art.1, “ai fini della predisposizione del piano, il dirigente scolastico promuove i necessari rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti nel territorio; tiene altresì conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie di secondo grado, degli studenti”. Come si sarebbe potuto fare in tre mesi?

I buoni consigli

Tra le tante iniziative di supporto messe in campo, l’ANP (Associazione Nazionale Dirigenti e Alte Professionalità della Scuola), sindacato dei dirigenti scolastici, fornisce sulle pagine del suo sito web un vero e proprio vademecum per la stesura del PTOF. Si tratta di materiale frutto di una serie di seminari tenuti nei mesi scorsi in giro per l’Italia: presentazioni (in realtà il link pare essere errato, puntando ad altro), linee guida che aiutano a selezionare i contenuti e addirittura un modello di PTOF parzialmente compilato che il dirigente può completare con i contenuti adeguati alle necessità della propria scuola. Sicuramente tanti buoni consigli che molti dirigenti potrebbero trovare utili per la stesura del PTOF per il loro istituto.

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Il cattivo esempio

Ma in quella pagina salta subito all’occhio una serie di pratiche che non sono di buon esempio per chi legge.

  1. L’uso improprio di nomi di prodotti software commerciali per indicare formati di file
    “Powerpoint” non è sinonimo di “presentazione multimediale”, ma è il nome di un programma commerciale – Microsoft PowerPoint, appunto – per realizzare presentazioni multimediali. Nativamente produce file in formato .pptx. Analogamente, “Word” non è sinonimo di “documento di testo”, ma è il nome commerciale di un programma – Microsoft Word, appunto – per la produzione di documenti di testo. Nativamente produce file in formato .docx. Entrambi fanno parte, insieme ad altri, del pacchetto di programmi Microsoft Office.
    L’uso improprio di questi termini è un pessimo biglietto da visita per chi lavora nel mondo della cultura in generale e dell’insegnamento in particolare: la proprietà di linguaggio è un valore da custodire e da tramandare. Inoltre induce a pensare che Microsoft PowerPoint sia l’unico strumento per fare presentazioni multimediali e Microsoft Word l’unico strumento per redigere documenti di testo, e quindi che la scuola debba necessariamente essere dotata di questi  – costosi – strumenti per poter creare quei file (falso), o anche solo per poterli aprire (falso) o comunque essere sicuri di visualizzarli in modo corretto (vero). Infine rappresenta una forma di pubblicità a prodotti commerciali, che sul sito di una associazione di dirigenti scolastici stona molto, esattamente come stonerebbe la pubblicità di una marca di penne biro, o di quaderni, o di carta igienica, o di crociere ai Caraibi.
  2. L’uso di formati proprietari per la condivisione di file.
    I file scaricabili nella pagina in questione sono stati realizzati – si era già capito – utilizzando Microsoft Office, e sono nel formato predefinito con cui Microsoft Office salva i file.
    Niente di male in questo, se non costringesse di fatto anche chi li dovesse leggere e li volesse visualizzare in maniera corretta a possedere una qualche licenza dello stesso programma. Perché il formato di Office, OOXML, sarà pure diventato rocambolescamente uno standard, ma implementare correttamente uno standard descritto in più di 5000 pagine di norma è un’impresa ardua (anche per gli estensori della norma, con risultati che possiamo immaginare), ben più che implementarne uno da “sole” 768 pagine quale è lo standard Open Document Format, usato da LibreOffice e da decine di altri software; niente di male se i file non fossero destinati a dirigenti scolastici o comunque al mondo della scuola, lasciando quindi erroneamente presupporre che MS Office faccia parte – o debba far parte – della dotazione di tutte le scuole.
    Lo sappiamo, e ne abbiamo già parlato altre volte: c’è molta confusione su questi temi, non solo nel mondo scolastico, figlia delle cattive consuetudini e della carenza di corretta informazione. Microsoft Office si è sempre usato, più o meno legalmente (a volte “meno”, anche all’insaputa degli utenti), nelle scuole e nelle case, tanto che i programmi sono divenuti sinonimi dei formati dei file. Ce lo siamo sempre trovato più o meno consapevolmente installato nei computer che usiamo, tanto da arrivare a pensare che non esistano, non possano esistere computer che ne siano privi, come i bambini di città che credono che i pomodori nascano nei supermercati o, peggio, come gli eroinomani che non possono immaginare una vita senza la “roba”.
    Ma oggi il mondo prova ad andare diversamente, non foss’altro che per l’esistenza in Italia di una legge che obbliga le Pubbliche Amministrazioni a scegliere sulla base di criteri ben precisi, primo fra tutti: la libertà.
    Se il mondo ci prova, dovremmo cercare tutti di assecondarlo. E la scuola dovrebbe sempre, per prima, dare il buon esempio, usando formati aperti (possibilmente i migliori, dato che esistono) e software libero (ne esiste di ottima qualità) salvo fondate ragioni contrarie, delle quali in questo specifico caso… registriamo l’assenza.

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