E che c’ho scritto Jo Condor?

L’articolo in cui esponevo le mie considerazioni sull’attività di lobby delle aziende del software proprietario, e in particolare di Microsoft, fornendo – come mia abitudine – dati indipendenti che è difficile smentire, ha toccato i nervi a fior di pelle della categoria dei lobbisti, che preferiscono agire sotto traccia, e detestano chi ha la sfrontatezza di mettere in piazza i loro dati.

Certo, i lobbisti preferirebbero un pubblico di sprovveduti, come quello degli esponenti politici che “bevono” allegramente dalla loro fonte panzane di ogni tipo, portando come scusa la loro completa incompetenza sui tutti i temi della tecnologia (come se i cittadini fossero degli sprovveduti che non comprendono la meccanica di alcuni processi decisionali, soprattutto se questi si ripetono sulla base dello stesso copione).

Così, vorrebbero farci credere che la decisione presa dal Comune di Pesaro e dalla Provincia di Bolzano, ovvero il passaggio a Microsoft Office 365, un software che – per le sue caratteristiche di sicurezza e confidenzialità dei dati – non dovrebbe essere nemmeno preso in considerazione in ambiente pubblico, dove vengono gestiti i dati privati dei cittadini, è avvenuta sulla base di motivazioni squisitamente tecniche.

Negli anni ’70, uno degli sketch più famosi di Carosello era quello della Ferrero, durante il quale un pennuto ottuagenario – sbeffeggiato da rapaci molto più giovani – urlava: “e che c’ho scritto Jo Condor?”. Ebbene, io direi che la frase è praticamente perfetta, per rispondere a lobbisti e politici, sia nel caso del Comune di Pesaro sia nel caso della Provincia di Bolzano, e – in futuro – a tutti coloro che vorranno ripercorrerne le gesta.

Anche perché i lobbisti sono talmente presuntuosi da replicare chiedendo perché mai avessi dichiarato i dati della lobby Microsoft e avessi “omesso” quelli della lobby del software open source. Come se ci fosse una lobby paragonabile a quella del software proprietario.

Dati, tra l’altro, facilissimi da trovare accedendo alle stesse fonti che avevo citato nel mio articolo: OpenSecrets e LobbyFacts.

Quindi – per evitare di dare seguito alle loro giaculatorie su Twitter (i lobbisti “veri” agiscono sotto traccia, quelli “de noantri” usano Twitter) – ho fatto una rapida ricerca e ho trovato informazioni su RedHat, che in 13 anni ha speso meno di 2 milioni di dollari negli Stati Uniti (contro gli oltre 100 milioni di dollari di Microsoft), e nel 2014/2015 meno di 400.000 euro in Europa (contro gli oltre 4 milioni di euro di Microsoft).

Negli Stati Uniti, ci sono dati solo sulla Coalition for Enterprise Open Source Software, che nel 2015/2016 ha speso circa 150.000 dollari, e su nessuna altra azienda.

In Europa, sommando le spese di Open Forum Europe, che fa la parte del leone, Open Source Business Alliance, Acquia, Blender Foundation e The Document Foundation nel 2014/2015, non si arriva a 250.000 euro.

Ma siccome conosco i miei polli, visto che qualche lobbista lo conosco anch’io, avendo lavorato nelle principali agenzie di relazioni pubbliche in Italia, ed essendo socio FeRPI da qualche anno, ritengo sia opportuno fare un’ulteriore puntualizzazione: IBM, e tutte le aziende del software proprietario che oggi si riempono la bocca con il termine open source, non fanno parte della comunità – anzi, la detestano – per cui non operano a suo favore, e quindi a favore del software open source.

Quindi, togliete pure dai vostri calcoli gli investimenti di queste aziende, perché vanno nella stessa direzione di quelli Microsoft, contro la comunità del software libero. Come dimostra, d’altronde, la connivenza tra IBM e Microsoft all’interno di Apache Foundation, che continua a tenere in vita il progetto Apache OpenOffice – sotto la tenda ad ossigeno da un paio d’anni – solo perché la confusione che questo ingenera tra gli utenti va contro LibreOffice, e quindi a favore di Microsoft Office.

La nostra lobby è fatta di operazioni trasparenti, visto che tutte le nostre presentazioni avvengono in pubblico e non nelle segrete stanze di qualche ufficio. Fortunatamente, abbiamo la forza delle idee e quella della ragione (le stesse armi di quel signore che aveva detto: “prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi vinci tu”).

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Laureato in Lettere all’Università Statale di Milano, è uno dei fondatori di The Document Foundation, la "casa di LibreOffice", nonchè portavoce del progetto a livello internazionale; è anche fondatore e presidente onorario della neonata Associazione LibreItalia. Ha partecipato ad alcuni tra i principali progetti di migrazione a LibreOffice, sia nella fase iniziale di analisi che in quella di comunicazione orientata alla gestione del cambiamento. Ed è autore dei protocolli per le migrazioni e la formazione, sulla base dei quali vengono certificati i professionisti nelle due discipline. In questa veste è coordinatore della commissione di certificazione. Come esperto di standard dei documenti, ha partecipato alla commissione dell'Agenzia per l'Italia Digitale per il Regolamento Applicativo dell'Articolo 68 del Codice dell'Amministrazione Digitale.

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