La questione relativa alla definizione delle regole sulla responsabilità degli Internet Service Provider (ISP) sta diventando sempre più intricata. La decisione del tribunale di Roma nella controversia tra RTI e break.com sembra un “ritorno al passato” nella posizione della giurisprudenza creando una situazione che è quanto meno nebbiosa.
La recente giurisprudenza sulla responsabilità degli ISP
La decisione della Corte di giustizia europea nel caso Scarlet contro Sabam aveva stabilito che gli Internet Service Provider non possono essere obbligati a porre in essere un sistema di filtraggio preventivo dei contenuti pubblicati dai propri utenti.
A seguito di questa decisione, la Corte di Appello di Milano in un caso relativo a Yahoo! aveva adottato la posizione che
- non c’è un obbligo di monitoraggio a carico degli hosting provider sulla base del principio disposto dalla Direttiva europea eCommerce
- non esiste il ruolo dell’hosting provider “attivo” e il fatto che l’Internet Service Provider offra servizi finalizzati all’organizzazione dei contenuti pubblicati dai propri utenti non cambia il suo ruolo
- un hosting provider è obbligato a rimuovere i contenuti oggetto di contestazione a seguito di una notifica da parte del soggetto che dichiara di detenere i diritti sulla stessa, ma l’onere della prova dell’identificazione del materiale contestato è sull’oggetto che contesta il contenuto
- non c’è un obbligo di monitoraggio sui contenuti futuri pubblicati dagli utenti.
La decisione del tribunale di Roma nel caso Break.com
Nonostante il precedente sopra indicato che era già stato seguito da altri precedenti giurisprudenziali “nebulosi“, il tribunale di Roma in un caso relativo a video di programmi trasmessi sulle reti Mediaset pubblicati sul sito break.com dai suoi utenti ha stabilito che:
- l’esenzione di responsabilità disposta dalla Direttiva europea eCommerce per gli hosting provider non si applica a break.com in quanto lo stesso è un ISP “attivo” poiché organizza i contenuti pubblicati dai propri utenti
- in conformità con quanto disposto dalla sentenza SABAM sopra citata, break.com non può essere obbligata a monitorare i contenuti pubblicati sulla propria piattaforma
- break.com è responsabile se non rimuove i contenuti tramite il c.d. “take down” e disabilita l’accesso agli stessi quando viene a conoscenza di tali contenuti anche a seguito di una mera notifica o tramite diverse modalità che, a giudizio del tribunale, non devono elencare specificatamente gli URL dei video contestati, così ponendo l’onere di identificarli a carico di chi riceve la contestazione
- nonostante quanto sia previsto dalla normativa italiana di imprementazione della Direttiva europea eCommerce che lega l’obbligo di “take down” ad un ordine da parte delle autorità competenti piuttosto che alla mera conoscenza dei contenuti illeciti, il tribunale ha assunto la posizione che l’obbligo di take down sussiste a seguito di una mera segnalazione o della conoscenza acquisita tramite altre modalità.
Alla luce di quanto sopra indicato, il tribunale ha emesso un ordine che vieta la continuazione della condotta contestata a break.com, obbligandolo al pagamento di 1.000 euro per ogni giorno in cui i video contestati rimarranno disponibili sulla piattaforma e ordinato a break.com di pagare un risarcimento di 115.000 euro più le spese legali per le precedenti violazioni.
Quale futuro per le regole su Internet?
La nebbia intorno alle regole su Internet si sta infittendo. La sentenza SABAM sembrava una svolta nella definizione degli obblighi degli ISP, ma il tribunale di Roma ha reintrodotto principi disposti dalle precedenti decisioni.
Si spera che la Corte d’Appello chiarirà la questione. Inoltre, le decisioni dell’AGCOM sulle contestazioni dei contenuti in violazione del diritto d’autore pubblicati su Internet potrebbe (o almeno si spera!) portare ad un allineamento delle posizioni delle autorità competenti sull’argomento.
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