Piano Industry 4.0? Non pervenuto

Atteso per il 5 agosto, come annunciato dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda qualche tempo fa, il piano con la strategia Industry 4.0 si fa ancora attendere. La presentazione è stata rinviata per “sopraggiunti impegni” a data da destinarsi e andrà probabilmente ormai dopo la cocomerata di Ferragosto. Inutile rimarcare quanto il documento fosse atteso da imprese e associazioni di categoria.

Nelle settimane scorse il direttore generale di Intel Italia, Carmine Stragapede, intervistato su queste pagine aveva dichiarato: “Il Governo si sta già prodigando, ma sono necessari programmi più incisivi e incentivi concreti per aiutare le aziende a fare bene. Se per esempio, dessimo la possibilità agli imprenditori di detrarre in modo semplice gli investimenti fatti a favore della digitalizzazione, avremmo buoni risultati. Sgravi fiscali artificiosi, per il cui conseguimento si rendono necessari complicati adempimenti burocratici diventano controproducenti”. Dichiarazione che si potrebbe sintetizzare come: serve un piano. Piano teoricamente pronto, visto che obiettivi e visione di quest’ultimo erano stati annunciati in occasione dell’audizione alla Commissione Attività Produttive della Camera quando, a metà giugno scorso, il ministro Calenda aveva parlato di un tavolo attivato appositamente per “sviluppare un framework di azione per favorire gli investimenti 4.0 e individuare un primo pacchetto di misure da inserire già nella prossima Legge di stabilità, ovvero alla prossima legge di bilancio, come si chiamerà a partire da quest’anno”.

Queste le cinque aree su cui concentrare l’azione di policy del Governo: Investimenti in innovazione, Fattori abilitanti, Standard di interoperabilità, sicurezza e comunicazione IoT, Rapporti di Lavoro, salario e produttività e Finanza d’impresa.

Dalla relazione non emergono ovviamente soluzioni precise ma soltanto note di indirizzo. Come quella riferita alla spinta a investimenti che adottino logiche “solution driven che portino le aziende a investire nell’analitica dei big data e nelle informazioni che producono e che possono produrre per costruire nuovi modelli di business” o, per la nuova imprenditorialità, al supporto alla nascita di “startup e al loro scale up, all’accesso al venture capital e alla collaborazione fra nuove imprese innovative e imprese già consolidate”.

Per ciò che riguarda l’area fattori abilitanti, si parla di potenziamento di infrastrutture di connettività, ad esempio con la “copertura a 100 mega bps attraverso il Piano Banda Ultra Larga e misure di sostegno alla domanda di connettività”, e di sostegno alla diffusione della cultura digitale e delle STEM. Non mancano riferimenti a “monitorare, essere presenti e indirizzare le decisioni nei tavoli di confronto internazionale per tutelare le caratteristiche del contesto italiano in una prospettiva di adozione di standard aperti ma “guidati” dai bisogni industriali” e alla flessibilità necessaria nei contesti lavorativi “in modo da valorizzare le competenze e le abilità (empowerment) facilitando, anche fiscalmente, gli spazi di scambio salario-produttività”.

Per ciò che riguarda il tema della Finanza d’impresa, si legge che “considerando la difficoltà del sistema bancario a espandere il moltiplicatore creditizio, occorre lavorare per una maggiore canalizzazione del risparmio nazionale verso gli impieghi nell’economia reale e attivare il mercato internazionale dei capitali dando visibilità a 14 emissioni di “carta italiana” (private equity, development bond, Fondo Centrale di Garanzia) su Industria 4.0”.

Gli obiettivi del Governo sono quindi già abbastanza chiari, come chiaro è il riferimento costante, presente anche in relazione, alla “sorella” Germania che, con il suo piano di aiuto a industry 4.0 rappresenta un faro che si fa fatica però a seguire e che per ora può solo ironicamente far venire in mente un Germania-Italia 4-0.

Ad inizio agosto – commenta Stefano Epifani, direttore di TechEconomy – ci aspettavamo l’articolato della proposta su Industry 4.0 ma il nostro primo Ministro, preso tra Rio e Rai, ha pensato bene di rimandare. Ma il problema di Industry 4.0 è, al solito, il rischio di considerare una parte per il tutto. Sono decenni che l’Italia insegue un modello industriale che non corrisponde al DNA della nostra imprenditoria. Lungi dal dire che “piccolo è bello”, perché effettivamente piccoli oggi non si compete, il rischio sostanziale è quello della rincorsa a modelli che non ci appartengono (l’enfasi sulle StartUp alla ricerca di una google tricolore non ci ha insegnato nulla) piuttosto che l’identificazione di un percorso originale, che ci appartenga davvero e che valorizzi le caratteristiche peculiari del nostro Paese. Industry 4.0 è senz’altro un passaggio importante, ma non dobbiamo fare l’errore di pensare che possa essere la soluzione ad una via italiana alla Digital Transformation. È un ingrediente, ma non tutta la ricetta. Se non lavoriamo a tutti gli ingredienti (che contemplano le piccole aziende, gli artigiani, le medie imprese: in una dimensione non certo industriale) il rischio di fare un cattivo soufflé è tutto tranne che remoto”.

Scritto questo, ci rimettiamo all’ombra in attesa del piano Industry 4.0. Che per dirla citando Wilde, se non ci metterà troppo, l’aspetteremo tutta la vita.

 

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