No availability, no Digital Transformation

4 aziende su 5 riconoscono un gap, una mancanza, una differenza tra il livello di servizio atteso dal cliente e la capacità tecnologica dell’azienda di metterlo a disposizione. Il famoso availability gap, ovvero la necessità non soddisfatta delle persone di fruire di un servizio che senza una infrastruttura adeguata non può funzionare. Una tendenza scritta ormai più volte nel Veeam Availability Report 2017, presentato ieri e condotto per Veeam, fornitore di soluzioni per la “Availability for the Always-On Enterprise”, da una società leader nell’analisi IT, Enterprise Strategy Group (ESG), su oltre 1.000 IT manager di aziende private e pubbliche con almeno 1.000 dipendenti in 24 Paesi nel mondo, tra i quali l’Italia, con 30 realtà coinvolte.

Oltre all’availability gap – afferma Albert Zammar, Vice President South EMEA di Veeamquest’anno il report ha messo in evidenza anche un protection gap rilevato nel 77% degli intervistati, che rileva l’inadeguatezza percepita dai responsabili IT di proteggere i dati superando la soglia di tolleranza relativa ai dati persi. Questo indica anche una maggiore consapevolezza dei manager dell’importanza della conservazione del dato oltre che quella della sua disponibilità”.

Del resto il costo medio annuo delle interruzioni di servizio, che si aggira sui 21,8 milioni di dollari (rispetto ai 16 milioni di dollari rilevati dal report lo scorso anno) e sui 20,4 milioni di euro per l’Italia, è in costante aumento. “Si evidenzia sempre più – continua Zammar – il valore della interruzione del servizio che porta le aziende non solo a interrompere i servizi e avere perdete in termini economici ma anche a una serie di conseguenze non quantificabili in termini monetari ma davvero impattanti in modo negativo”.

Quasi la metà delle aziende coinvolte (48%), infatti, ha rilevato una perdita di fiducia da parte dei clienti, mentre il 40% ha riscontrato un danno legato alla perdita di affidabilità del brand e alla fidelizzazione dei clienti. Ma le implicazioni non sono solo esterne: un terzo degli intervistati, infatti, in casi di downtime sul business, ha constatato una diminuzione della fiducia dei dipendenti, con un 28% che si è trovato costretto a riallocare le proprie risorse per far fronte a questa criticità.

Il perché sia aumentato il danno economico della interruzione di servizio è presto detto. “Oggi quasi tutte le applicazioni sono mission critical. Se pensiamo all’app della banca, capiamo che anche questa oggi non può non essere disponibile mentre un tempo, rappresentando solo una vetrina magari, non era percepita così importante. Se ci pensiamo oggi quasi tutto è mission critical: anche la posta elettronica”.

Rispetto alla perdita di dati derivanti da applicazioni ad alta priorità, il report evidenzia come nonostante le aziende affermino di poter tollerare solo 72 minuti all’anno di stop, gli intervistati in realtà subiscano 127 minuti di perdita di dati. Una differenza di quasi un’ora che mette in serio rischio il business aziendale.

Il fattore positivo emerso in questa edizione del report – dice Zammar – è quello legato al fatto che le aziende hanno ormai compreso l’importanza della digital transformation per il loro business. E questo anche nel nostro Paese dove il 77% degli intervistati ha riconosciuto questo come elemento critico per il futuro e il 43% sta programmando iniziative finalizzate a innovare i propri processi”.

A livello internazionale il 96% delle imprese ha programmato iniziative mirate alla digital transformation, oltre la metà delle quali è in corso in questo momento.

Elemento importante e di novità emerso dal report è il fatto che il 69% delle multinazionali ritiene che la possibilità di accedere h 24 7 giorni a settimana ai servizi, ovvero l’Availability, sia una condizione necessaria per la trasformazione digitale e che, al contrario, la mancanza di disponibilità del servizio provocata da cyber attacchi, da errori nell’infrastruttura o da interruzioni legate ad altre ragioni rappresenti un vero e proprio ostacolo alla digitalizzazione”.

Quale il ruolo del cloud?

E’ chiaro che il cloud gioca in questa partita un ruolo strategico, visto che consente non solo alle grandi aziende e PA di razionalizzare i data center, ma anche di ottenere forme di tutela rispetto al rischio di perdita del dato e di indisponibilità di questo oggi possibili grazie a penali che sempre più spesso sono contrattualizzate a fronte di SLA individuati. Nel report si può leggere come gli investimenti nel software as a service siano destinati ad aumentare del 50% nei prossimi 12 mesi. Quasi la metà dei leader aziendali (43%) ritiene, infatti, che i cloud provider possano offrire un servizio migliore per i dati mission-critical rispetto ai processi IT interni.

Se pensiamo che il 60% circa delle PMI ha un solo datacenter, possiamo dire che soluzioni ibride che consentano di comprendere quali servizi tenere “in casa” e quali spostare in cloud in modo affidabile con garanzie definite sarebbero auspicabili. Indubbiamente ci si aspetta un incremento degli investimenti nel cloud. E gli investimenti nel Backup-as-a-Service (BaaS) e Disaster Recovery as a Service (DRaaS) aumenteranno di pari passo in quanto le aziende li combineranno con la tecnologia cloud.

E le PA?

Importante è lo sforzo che stanno compiendo anche le Pubbliche Amministrazioni Centrali e locali. Sicuramente ci sono ampi margini di miglioramento, ma è indubbio che quanto meno ci sia oggi la consapevolezza della importanza della tutela del patrimonio pubblico e della sua disponibilità nel tempo. Certo che se insieme al ripristino dell’art. 50-bis del CAD sulla business continuity si dovrebbero individuare anche sla di riferimento. Ma magari ci arriveremo. Siamo fiduciosi.

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