Digital Agrifood? Anno zero

“Veniamo da una cultura agricola in cui sapevamo coltivare le piante. Ora siamo in un mondo tecnologico dove dobbiamo imparare a coltivare le menti”
Shimon Peres 

Quello della trasformazione digitale non è l’ennesimo cambiamento di paradigma che periodicamente scuote l’economia. Né un passaggio di logica che cambia i processi di produzione industriale o rivoluziona le modalità operative di un comparto o di una filiera: è una vera e propria mutazione di senso. Un cambiamento profondo non solo del “come” si fanno le cose, ma del “cosa” abbia senso fare in un contesto in cui lo sviluppo delle tecnologie digitali ha avuto un impatto così profondo nelle persone, nell’economia e nella società tale da determinarvi mutamenti irreversibili.

Non solo i settori tradizionalmente “high tech” sono stati colpiti da questa logica trasformativa, ma ogni ambito ha vissuto o sta vivendo un profondo processo di mutazione della propria natura che, toccando la value chain e la supply chain di intere industrie, ridefinisce i processi di produzione, il ruolo rispetto al consumatore, il modo in cui le aziende agiscono e si concepiscono, il loro ruolo nella società e nell’ecosistema che sempre più profondamente contribuiscono a generare. In tal modo cambia il senso selle cose.

Il settore agroalimentare non è immune da questa trasformazione. La particolare struttura del comparto, anzi, rende le dinamiche che si sviluppano nell’ambito del settore dell’agroalimentare particolarmente delicate da comprendere e gestire. In questo particolare momento storico ed economico è necessario un altissimo livello di resilienza per garantire un corretto processo di sviluppo, soprattutto in un contesto, come quello dell’Agrifood, in cui i processi di digitalizzazione devono fare i conti  con la coesitenza di grandi aziende caratterizzate da raffinati e complessi modelli industriali e realtà in cui la tecnologia – e non solo la tecnologia digitale – è vissuta ancora con grande sospetto.

La trasformazione digitale sta già oggi ridisegnando il profilo di un settore caratterizzato da grandissimi contrasti, enormi differenze, grandi opportunità e profonde problematiche preesistenti che – in questo contesto più che in altri – dischiudono possibilità, che, se non colte, rischiano di trasformarsi in nuove minacce. Per questo motivo con il Digital Transformation Institute  abbiamo deciso di iniziare le nostre attività di ricerca proprio dal comparto Agrifood: una sfida complessa che ha trovato immediatamente il supporto di Cisco Italia, partner della ricerca e tra i founding partner dell’Istituto.

  • In che modo la trasformazione digitale sta impattando sulle filiere dell’agroalimentare in un Paese come il nostro, che di tale settore fa uno dei suoi principali punti di forza?
  • Qual è l’attuale stato dell’arte in tema di digitalizzazione dell’agricoltura, dell’agroindustria e del comparto agroalimentare in generale?
  • Quali tecnologie digitali hanno avuto un maggiore impatto sulle singole filiere dell’agroalimentare (carne, pesce, latte, vegetali), sui punti di contatto cross-filiera e sugli elementi trasversali alle diverse filiere (logistica, sicurezza, tracciabilità, controlli pubblici, management e gestione dell’impresa, impatto ambientale, import-export)?
  • Come analizzare gli impatti della Digital Transformation sulle filiere dell’agroalimentare in maniera tale da evidenziare i punti di contatto cross-filiera e le implicazioni economiche e sociali di questo fenomeno?

Queste sono le principali domande che ci si è posti nel portare avanti la ricerca, realizzata con il coordinamento di Stefania Farsagli, con la quale scrivo queste conclusioni.

Le dimensioni del fenomeno

Che quello dell’agroalimentare sia un settore strategico nel nostro Paese è ben noto. Basti pensare al fatto che negli ultimi due anni il valore del settore, anche grazie all’impatto della digital trasformation, sia aumentato fino ad arrivare a 33,1 miliardi di euro nel 2015, pari al 2,3% del valore aggiunto nazionale registrando, rispetto al 2014, una crescita del 5,6% a prezzi correnti e del 3,8% in volume. Dati che spingono a soffermarsi su quanto possa essere proficua una riflessione sugli impatti che, da qui ai prossimi anni, dovrà avere la Digital Transformation in un settore in via di sviluppo come l’Agrifood e di come potrà incidere su tutto il comparto della filiera andandone a ridisegnare strutturalmente i processi.

Un percorso articolato

Il percorso che ha portato alla realizzazione della Ricerca “Gli impatti della Digital Transformation sulla filiera Agrifood” è stato articolato e complesso. Non esisteva in Italia una rappresentazione di sintesi del comparto che fosse soddisfacente rispetto all’obiettivo di analizzarne gli impatti in ottica di Digital Transformation dell’intera filiera e non di una sua singola parte. E già questa – peraltro –  rappresenta di per sé un’evidenza notevole. Per questo motivo il primo obiettivo della ricerca è stato quello di ricostruire una rappresentazione complessiva delle filiere dell’agroalimentare italiano. Non una rappresentazione vista da una prospettiva specifica quindi (vino, olio, carne, ecc.), ma una rappresentazione che tenesse conto dei punti di contatto tra le singole filiere e del ruolo delle diverse attività trasversali esistenti (logistica, sicurezza, tracciabilità, ecc..), degli attori coinvolti e delle competenze e professionalità messe in campo.

Dopo aver mappato in tal modo tutti i singoli anelli della catena ci si è preoccupati di identificare le tecnologie digitali utilizzabili in ogni anello della catena e rispetto ad ognuna delle attività trasversali. Nel delineare una visione completa della disponibilità tecnologica attualmente in uso e di come le tecnologie digitali possano contribuire a un processo di trasformazione del settore agroalimentare sono stati identificati tre ambiti di applicazione o famiglie tecnologiche che si differenziano per contesto di utilizzo:

  • Agricoltura di precisione, ovvero l’uso di tecnologie dell’informazione per acquisire i dati necessari a migliorare le decisioni finalizzate alla produzione agricola. Lo scopo è creare un sistema razionale per l’utilizzo delle risorse ambientali (terreno, acqua, fertilizzanti) e metterli in correlazione con le specifiche esigenze di ogni coltura;
  • Non destructive testing, ovvero l’uso di tecniche che garantiscano un’accurata analisi dei prodotti senza che questi possano essere danneggiati dai test;
  • Enviroment agriculture, ovvero, tecniche di produzione senza l’utilizzo del suolo (tecnica idroponica e aeroponica), che permettono l’utilizzo industriale, urbano e domestico. Si usa meno acqua, si usano meno pesticidi e si realizzano delle terre di idroponica per la produzione di prodotti che abbiano alti contenuti di nutraceutica e bassissimo utilizzo dell’acqua e delle risorse scarse.

Per ognuno di questi si è quindi identificato il livello di impatto (alto / medio / basso) e quanto la loro applicazione produca effetti sull’intera catena.

Ma non solo: con l’intento di sviluppare un modello che consentisse di sviluppare analisi e confronti tra le diverse filiere è stato realizzato un framework di indagine multidimensionale, volto ad analizzare nel dettaglio le singole filiere dal punto di vista economico, tecnologico e sociale, al fine di definire gli impatti ed i conseguenti elementi di propedeuticità derivanti dall’implementazione di soluzioni IoT e modelli di Digital Transformation rispetto ai vantaggi che le diverse filiere ottengono da tali processi. Il risultato è stato uno strumento di assessment basato su un questionario che, nell’ottica di verificarne l’efficacia, è stato applicato ad uno specifico comparto, quello del vino, con una indagine estesa ad oltre 300 aziende rappresentative del settore vitivinicolo, realizzata con il supporto di SWG, altro partner dell’Istituto.

La complessità principale dell’intero percorso di ricerca è stata costituita dal fatto che si è reso necessario identificare professionalità multiformi ed esperti in grado di declinare competenze di dominio agro-zootecnico, ingegneristico, tecnologico, digitale. Per la realizzazione della ricerca sono stati quindi coinvolti in focus group ed interviste in profondità (sviluppate con diverse metodologie) oltre 30 esperti provenienti da ambiti disciplinari profondamente differenziati. Tale elemento ha rappresentato uno degli elementi di maggiore complessità, ma anche di maggior interesse della ricerca.

I principali Key Finding

L’attività di ricerca ha tracciato un quadro complessivo della situazione inerente l’Agrifood italiano – ed in particolare della sua dimensione digitale – facendo emergere numerosi elementi di attenzione, molti dei quali saranno oggetto di futuri approfondimenti e che rappresentano un comparto, quello dell’Agrifood, in cui mancare la sfida della Digital Transformation rischia di essere particolarmente grave.

È quindi possibile evidenziare 6 spunti di riflessione di particolare importanza per non mancare una sfida centrale per l’intero comparto:

  • mancanza di una visione d’insieme e di un quadro unificante delle tendenze;
  • scarsa presenza di figure qualificate in grado di guidare la trasformazione;
  • scarsa percezione del bisogno di innovazione digitale;
  • mancanza di un approccio di sistema alla digitalizzazione dei processi;
  • percezione dei vantaggi della Digital Transformation solo da parte di quelle aziende che investono in Digital Transformation;
  • l’attenzione alla Digital Transformation prevalentemente da parte di aziende di dimensione industriale rischia di trascurare la coda lunga dell’Agrifood.

Visione d’insieme? Non pervenuta

In un momento di profonda ri-articolazione delle value chain a causa del processo di Digital Transformation in corso (non solo nel settore Agrifood) è di particolare importanza disporre di un quadro unificante delle tendenze attuali ed emergenti circa lo sviluppo di nuove tecnologie per la produzione agroalimentare. Tale quadro, a livello nazionale, non solo manca in termini di visione d’insieme, ma nella misura in cui esiste rispetto a singoli e specifici comparti del settore Agrifood è frammentario e lacunoso.

Un quadro unitario delle prospettive del settore (non soltanto in termini di information technology, peraltro) permetterebbe un approccio condiviso, agevolando i processi di crescita delle aziende tanto in termini di fatturato che di capacità di aggregazione in consorzi, distretti o reti d’impresa. Una crescita che è ritenuta oggi indispensabile per essere competitivi in qualsiasi mercato, ma che appare particolarmente strategica – proprio in virtù della segmentazione e frammentarietà di base – nel comparto Agrifood. Essere al passo della rapida evoluzione delle tecnologie superando la frammentazione con cui emergono le prospettive tecnologiche, che riguardano il comparto e le sue varie componenti (agricoltura, industria alimentare e trade), è indispensabile per essere competitivi.

Il superamento di questo scoglio non è solo tecnologico, ma culturale. In tal senso, sarà fondamentale da una parte l’impegno delle singole aziende verso un processo di comprensione sempre più profonda del ruolo delle tecnologie digitali, dall’altra il lavoro delle Istituzioni per sviluppare nelle aziende un sistema di competenze solido ed un cultura condivisa dell’innovazione in un settore ove troppo spesso – lo dimostrano anche i dati emersi dalla ricerca sul comparto vitivinicolo (ad un 40% di imprenditori che non considera l’innovazione come elemento preponderante si aggiunge un altro 40% che pur apprezzandone il valore, di fatto non riesce a concretizzarla in progetti concreti se non con quote modeste di investimento)– essa è vista con sospetto e diffidenza.

Chi guida la trasformazione?

Il problema delle competenze, particolarmente rilevante in Italia per quanto attiene il comparto del digitale (come testimoniato dall’indice DESI 2017, che vede l’Italia fanalino di coda europeo per la maggior parte degli indicatori), nel caso dell’Agrifood ha effetti ancora più pesanti. La generale mancanza di competenze digitali si declina, infatti, nel caso particolare dell’agroalimentare, nell’assenza di figure che sappiano declinare le possibilità offerte dal digitale in opportunità per il settore agroalimentare. In un contesto fatto prevalentemente di aziende di piccola o media dimensione ciò si traduce in una distanza più che significativa tra chi vive problemi concreti relativi all’attività di tutti i giorni e chi disporrebbe del know how necessario per comprendere come la trasformazione digitale potrebbe contribuire a risolverli. La mancanza nelle aziende di figure in grado di guidare la trasformazione digitale si traduce in una impossibilità di sfruttare positivamente tale processo.

Ancora una volta il ruolo delle istituzioni pubbliche per colmare tale divario appare di fondamentale importanza: la formazione delle competenze per gestire la Digital Tranformation nel comparto agroalimentare deve partire nella scuola superiore e negli istituti professionali, con programmi che vedano il digitale come materia di studio applicata agli specifici problemi di questo settore.

Una soluzione in cerca di problemi

Molte aziende agroalimentari, soprattutto quelle di dimensioni maggiori, percepiscono la tecnologia digitale come un elemento di grande valore per la propria attività. Rimane, tuttavia, del tutto indeterminato, nella maggior parte dei casi, cosa si intenda per “tecnologia digitale”, come si arrivi alla consapevolezza che essa rappresenti effettivamente un valore e quindi alla conoscenza degli strumenti e delle azioni da sviluppare per concretizzare e rendere attuale tale valore percepito. In altri termini si è in una fase in cui ci si rende conto che la tecnologia digitale potrebbe genericamente risolvere alcuni problemi, ma manca la competenza necessaria per focalizzare quali. Il combinato disposto della mancanza di una visione d’insieme delle prospettive del settore in termini di impatto del digitale e la scarsità di figure professionali che siano davvero in grado di declinare le potenzialità della Digital Transformation sui problemi specifici del comparto agroalimentare fa sì che ad oggi non esista nelle aziende del comparto una consapevolezza concreta del “perché” e del “come” il digitale possa impattare realmente sui processi. In altri termini se pure inizia ad emergere la consapevolezza che ci si debba porre il problema si è ancora distanti dal capire come.

Un puzzle senza troppe tessere

Così come in termini macroscopici manca una visione unitaria delle prospettive del digitale nel settore Agrifood, a livello di singola impresa – indipendentemente dalle dimensioni – manca un approccio d’insieme all’innovazione.  È in particolare verso le nuove forme di commercializzazione che le aziende del comparto Agrifood vivono gli investimenti in innovazione digitale, così come nell’ottimizzazione dei processi di trasformazione, di tracciabilità e di sicurezza. [nel comparto del vino, ad esempio il 49% delle aziende ritiene interesse rilevante investire in innovazione nell’ambito del ciclo della produzione eil 57% nell’ottimizzazione dei processi di trasformazione ]. Tuttavia, fatica ancora ad affermarsi il principio per il quale in ogni azienda, indipendentemente dalle dimensioni, serva un “progetto d’innovazione” che affonti il tema della Digital Transformation in maniera sistemica e con riferimento alle specifiche condizioni dell’impresa, della sua infrastruttura, del suo mercato di riferimento, della sua cultura. Come in un puzzle nel quale mancano troppe tessere non si comprende il disegno generale, infatti, investimenti verticali e progetti non declinati in ottica di programma producono diseconomie che impediscono alle aziende di cogliere il vantaggio potenziale della trasformazione digitale sui processi, ed il relativo impatto sulla catena del valore.

Chi si ferma è perduto

Emerge chiaramente dalla ricerca effettuata sulla filiera vitivinicola, ma il risultato può essere esteso a tutto il comparto: le aziende che investono in digitale si rendono conto dei vantaggi che porta il digitale e misurano il ritorno dell’investimento fatto anche in termini di miglioramento della qualità del prodotto, quelle che non investono spesso non lo fanno perché non hanno percezione del bisogno di investire sul digitale. [ A fronte di un 52% di aziende vitivinicole ch ha intenzione di fare un investimento che sia più di una soglia minima di 5.000 euro, il  31% di aziende medie – piccole dichiara di non avere alcuna intenzione di fare investiment in tal senso nel futuro.Se a ciò si associa il fatto che nella summenzionata filiera vitivinicola esiste una correlazione diretta (non necessariamente o non immediatamente causale, va detto) tra dimensione degli investimenti e qualità del prodotto, emerge un’evidenza significativa: le aziende caratterizzate da produzioni di qualità hanno una consapevolezza del ruolo del digitale che le aiuterà a produrre risultati migliori; le altre rischiano di perdere progressivamente livelli di competitività. In altri termini chi oggi non si rende conto dei benefici che può apportare il digitale rischia di generare un drop-out dal processo di Digital Transformation che sarà progressivamente sempre più difficile da colmare. E quello di rimanere fuori dal processo di Digital Transformation è un rischio che nessuna azienda può permettersi.

La coda lunga dell’Agrifood

Dall’analisi dei processi di filiera del comparto agroalimentare italiano e degli impatti della trasformazione digitale su di essi emerge chiaramente come ci si trovi di fronte ad un settore in cui – in una rappresentazione che è omogenea in termini di macro-processi di filiera – le dimensioni delle aziende contano, eccome. In altri termini se la rappresentazione dei processi è indipendente dalla dimensione della realtà aziendale (le fasi di lavorazione del prosciutto sono più o meno le stesse indipendentemente da quanti prosciutti vengano prodotti ogni anno) lo stesso non può dirsi né per quanto riguarda – ovviamente – il modo in cui tali processi vengono gestiti in funzione della dimensione dell’impresa (pur producendo entrambi prosciutti, un’azienda di dimensioni industriali che lavora centinaia di migliaia di capi avrà processi profondamente diversi da quelli del norcino di un presidio Slow food che ne lavora poche centinaia), né per la tipologia di produzione (alcune produzioni per le loro caratteristiche sono, semplicemente, non scalabili). Se in altri contesti economici esiste la possibilità di scalare la produzione verso l’alto adeguandosi alle richieste del mercato, in molti dei comparti del settore Agrifood tale possibilità è inibita dalla necessità di mantenere attivi processi – sostanzialmente artigianali – che preservino la natura e la cultura del prodotto. In questa dinamica, se i disciplinari (e.g. DOC e DOP) vengono concepiti per favorire l’uniformità del prodotto e lo sviluppo di processi industriali – e quindi la potenziale crescita delle dimensioni delle aziende coinvolte nella produzione –  è evidente come in un tessuto come quello italiano, fatto di specificità e prodotti “iperlocali”, scalare in tal modo non solo sia difficile, ma è impossibile se si vuole preservare l’integrità “culturale” del prodotto. In questo contesto si assiste a strade verso la Digital Transformation che sono profondamente diverse in funzione delle specificità del contesto di riferimento. In altri termini gli impatti e le applicazioni della Digital Transformation per aziende di dimensione industriale sono differenti da quelli da prendere in considerazione per aziende di dimensione minore, spesso basate su processi artigianali. In funzione del fatto che l’attenzione generale – tanto delle Istituzioni che della maggior parte dei grandi vendor – è spesso rivolta ad aziende di grandi dimensioni, si è portati a sottodimensionare il ruolo e gli impatti del digitale per le micro-imprese. Micro imprese che nel settore dell’agroalimentare in Italia sono spesso portatrici di un grande patrimonio culturale, reali testimoni di una tradizione agroalimentare particolarmente variegata e – non ultimo – espressione di una vera e propria coda lunga dell’Agrifood che, nella sua estensione ,supera in fatturato il prodotto delle grandi industrie di trasformazione.

Per questo una Digital Transformation che oltre a guardare – in chiave Industry 4.0 – agli impatti delle tecnologie sui processi industriali sia attenta alle dinamiche della trasformazione digitale in termini di rimodulazione della value chain e di nuove opportunità per le aziende di piccole e piccolissime dimensioni non solo è possibile, ma è doveroso in un Paese in cui tali aziende rappresentano una parte importante del PIL ed in cui – proprio nel settore dell’Agrifood – sviluppano produzioni non mutuabili dalle realtà di dimensione industriale. I processi di filiera propri della coda lunga dell’Agrifood possono avere vantaggi dalla Digital Tranformation diversi da quelli che si possono ottenere per aziende di dimensione industriale, ma non per questo tali vantaggi sono meno importanti. Impattando su anelli della catena diversi da quelli toccati dalle aziende basate su dinamiche industriali (si pensi, a titolo di esempio, allo sviluppo di forme dinamiche di aggregazione, alla dimensione della tracciabilità ed alle opportunità della comunicazione; tutte rese possibili anche ai piccoli e piccolissimi attori attraverso il ricorso a modelli “as a service”) si richiedono una attenzione diversa e specifica che però – valorizzando i risultati in un’ottica di longtail –  è di grande importanza per le aziende che sapranno avvantaggiarsene. E per il Paese.

L’executive summary della ricerca è disponibile presso il sito dell’Istituto, ove sarà presto resa disponibile anche la ricerca nel suo insieme, che sarà distribuita con licenza Creative Commons.

 

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