Il Growth Hacking e la User Experience: solo materia per designer?

Quando a Londra era ancora estate, un paio di settimane fa, un mio caro amico mi ha invitato a un barbecue dove tra un hamburger e una birra ho avuto una discussione interessante con un ragazzo. “Ciao sono D. “ si è presentato. “Mi occupo di service design per un’agenzia”. “Ciao sono Alessia e io e i designer non andiamo molto d’accordo” avrei voluto dirgli, ma ho omesso l’ultima parte, curiosa di sperimentare per l’ennesima volta la relazione tra chi fa Growth e chi Design.

Sulla carta chi fa Growth Hacking sembra molto diverso da chi si occupa di Design, ma la verità non è proprio così. 

Se l’utente non lo capisce o non lo trova, potenzialmente non esiste

Chi fa design ha lo stesso obiettivo di chi fa Growth Hacking: creare nuove esperienze digitali che mettano al centro l’utente e facciano raggiungere gli obiettivi aziendali.

Il designer è maggiormente focalizzato sull’esperienza mentre il Growth Hacker tende a enfatizzarne le performance. L’user experience, in particolare, è quella branca del design che si focalizza sull’esperienza dell’utente, per aumentarne la soddisfazione e la fedeltà migliorando l’usabilità, la facilità d’uso e il piacere fornito dall’interazione con il prodotto, che può essere un’app, una piattaforma ma pure un qualsiasi tipo di contenuto.
Con la tecnologia che cambia in modo veloce, la saturazione dei canali digitali e una soglia di attenzione inferiore a quella di un pesce rosso, anche il marketing si sta spostando sempre più sull’esperienza digitale, in modo che l’utente si senta coinvolto in una soluzione personalizzata che tenga conto delle sue necessità e bisogni.

Quindi qual è la differenza e cosa può imparare il Growth Hacker dal designer?

Per il Growth Hacking l’utente non è da persuadere, come succedeva con la pubblicità. L’idea non è quella di creare un posizionamento di brand forte che spinga la persona all’acquisto perché sente un allineamento dei propri valori e delle proprie emozioni. Non più. L’idea è quella di far leva sul soddisfare bisogni e necessità attraverso la creazione di nuove esperienze che comprovate dai dati possano sviluppare un nuovo legame con il brand. Sappiamo quali possono essere queste esperienze? Fondamentalmente no.
Possiamo incrociare i dati con le interviste qualitative per capire cosa pensa l’utente dell’app o per fargli comprender cosa vogliamo vendere nel nuovo e-commerce.

Ed è qui che il Growth Hacker impara dal designer, con le interviste ai primi utenti. In genere un lavoro da UX designer ma essenziale anche per chi fa Growth, perché i focus group e le ricerche di mercato non sono più sufficienti. E’ dall’analisi dei comportamenti, delle reazioni, delle opinioni che si costruisce il prodotto e chi fa Growth può imparare dai designer.

Una volta che abbiamo raccolto le prime reazioni, tuttavia il lavoro di chi fa Growth Hacking è appena iniziato. Perché con l’obiettivo della crescita bisognerà sviluppare quest’esperienza in continuazione, arricchendola di dettagli, di nuove funzionalità e di informazioni. Un lavoro che spesso per il designer ha poco valore, perché il design è già sviluppato, non è necessario continuarne a mettere in dubbio la correttezza.

A cosa serve continuare a sperimentarne l’efficacia mettendone in dubbio l’esperienza appena creata?

E’ lo stesso motivo per il quale le piattaforme digitali che tutti noi conosciamo bene come Facebook, Instagram, AirBnb, Twitter sono in continuo cambiamento. Perché ogni due mesi cambia l’algoritmo, vengono introdotte nuove funzionalità, ci sono nuove informazioni da aggiornare? Non solo per non rischiare di annoiare i professionisti del mestiere. Perché l’obiettivo di qualsiasi business è quello di crescere, aumentare il fatturato e rendere più felici i propri clienti.
Se non si sperimenta di continuo, come si fa ad anticipare i desideri e le preferenze dei clienti? Perché è lì la chiave di tutto. L’anticipare le tendenze, essere tra i pionieri delle novità per essere sicuri di rimanere sul mercato. In un clima di incertezza come quella in cui stiamo vivendo, si tratta di un approccio veramente importante.

Quindi sperimentare non solo per migliorare le proprie metriche aziendali, ma per comprendere in modo così approfondito le esigenze dei propri clienti da anticipare le tendenze di un mercato che cambia sempre più in fretta, dove i diversi gruppi si adeguano l’uno all’altro e i pionieri sono sempre alla ricerca di novità.

L’esperienza potrebbe non essere fantastica per l’utente ma ottima dal punto di vista del design. Potrebbe essere una modalità così nuova da stimolare ma allo stesso tempo confondere l’utente, il quale magari scarica l’app, si registra creando un profilo ma poi abbandona. Ed è lì che a volte c’è la diversità. Il design rischia infatti di rimanere fine a se stesso e non creare un vero impatto sugli obiettivi aziendali. Chi fa Growth Hacking sa che si tratta di un rischio che non si può correre.

A cosa serve lavorare per mesi o anni su un’app o una piattaforma, sviluppando un design fenomenale, acquisire un milione di utenti che poi non rimangono coinvolti nell’utilizzare quel prodotto? Anche nella risposta a questa domanda il designer e il growth hacking possono essere d’accordo.

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