La vostra tecnologia? Abilitante e non proliferante

Abilitante ma allo stesso tempo non proliferante (senza controllo): queste dovrebbero essere le due caratteristiche della tecnologia usata all’interno delle organizzazioni, oltre che nella vita di tutti i giorni. Tutto tranne che semplice a farsi nella realtà.

Abilitare oggi si può. Ma cosa abilitare?

Qualche giorno fa ho avuto il piacere di partecipare al Google Cloud Next di Londra, il più grande evento europeo del colosso di Mountain View.

Tra le altre cose che mi hanno colpito e che ho provato a razionalizzare e sintetizzare c’è proprio la tensione tra il numero incredibile di cose che si possono fare sulle nuove piattaforme tecnologiche e la readiness delle aziende a capire come usarle.

Capacità di computazione in Cloud, text e image recognition e ogni tipo di strumenti di machine learning e di intelligenza artificiale sono oggi disponibili “as a service” e con interfacce che mirano a renderle accessibili a chiunque.

Ma questi strumenti formidabili sono parte di una cassetta degli attrezzi che senza uno scopo e un’idea sono né più né meno di viti e chiavi inglesi abbandonati su un tavolo da lavoro.

Viceversa, chi ha saputo trovare soluzioni intelligenti ai propri obiettivi con questi mezzi ha trovato grandi evoluzioni.

Il grande equivoco dell’automazione

Trovo che ci sia davvero tanta confusione attorno al tema dell’automazione che viene abilitata dall’intelligenza artificiale.

Da un lato siedono coloro che la rifiutano in modo acritico, perché non la comprendono e pensano che non possa essere applicata al loro settore.

Dall’altra ci sono coloro che pensano che il loro lavoro sarà reso meno complesso per una non meglio identificata facilitazione dei processi anche quando si tratta invece di mettere la propria intelligenza al servizio del cambiamento.

Rispetto al secondo caso, la tecnologia oggi permette di automatizzare le attività a basso valore aggiunto ma non pensa al posto delle persone, che invece sono chiamate a un contesto ancora più difficile, veloce e complesso dove lo sforzo non è fare lavoro ripetitivo ma rivedere il modo in cui si lavora.

Non a caso anche le suite di produttività in cloud di Google e Microsoft oggi sfruttano il machine learning per organizzare meglio i documenti e le mail a favore del risparmio di tempo e, paradossalmente, trovano le maggiori difficoltà di implementazione non nella tecnologia ma nelle organizzazioni interne delle aziende.

Non capire e non cambiare fanno rima con proliferare

L’offerta tecnologia ampia (si pensi alla Marketing technology) e la facilità di accesso all’acquisto e (apparentemente) all’uso rendono le aziende particolarmente esposte al rischio della duplicazione e frammentazione.

In realtà una chiave di lettura per limitare questa spinta centrifuga è proprio una corretta visione degli strumenti abilitanti come tali, ossia piattaforme che permettono di fare cose sulla base di precise strategie.

Se ciascuno si risolve i problemi per via tecnologica da solo senza uno sguardo e una regia di insieme, anche qualora non vengano buttati soldi invano, probabilmente saranno molte le opportunità che verranno perse nello stesso momento in cui viene acceso uno strumento verticale e isolato.

Per questo le figure dei CIO più moderni, dei CDO, dei responsabili dell’innovazione o di qualunque struttura le aziende prevedano per questo scopo devono essere:

  • protagonisti del contributo alla strategia e all’evoluzione e non solo collettori passivi di richieste “tecniche”
  • abilitatori e promotori di metodologie di cambiamento
  • broker di soluzioni abilitanti che non risolvano unicamente problemi puntuali (non solo almeno).

La tecnologia e le contaminazioni da parte degli strumenti consumer stanno correndo molto più velocemente della capacità media che le organizzazioni hanno di adeguarsi.

Avere la capacità di inquadrare in una prospettiva strategica e cavalcare tutti i trend senza subirli è un fattore critico, e per questo persone che sappiano consigliare e ispirare il resto del management sono ormai indispensabili.

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Si occupa di Digital Strategy dal 2000 con, fin da subito, la convinzione che servano profili in grado di conciliare le logiche di business con una solida conoscenza della tecnologia in modo ibrido. Dal 2006 al 2014 è responsabile del Digital Marketing per un gruppo leader nel settore retail e successivamente, fino al termine del 2016, si occupa all’interno della stessa società dell’intero ecosistema della Customer Technology, facendo in modo di colmare la distanza tra Marketing, Change Management e gestendo l'Innovation Lab interno dell’azienda. Oggi ricopre un analogo ruolo di Digital Transformation a livello global per un importante brand del lusso italiano. Appassionato divulgatore con il blog http://internetmanagerblog.com, è docente in master e in corsi di alta formazione. Oltre ai viaggi digitali, ama conoscere nuovi posti anche nel mondo fisico.

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