Lavoro, agricoltura e sostenibilità digitale: intervista a Francesco Elter

La tecnologia digitale vista come alleata necessaria ad abbattere le difficoltà nel lavorare la terra e abbassare i costi per migliorare la qualità. Francesco Elter, oltre ad essere presidente di CIA Pisa, è un giovane olivicoltore con una visione chiara del legame tra nuova agricoltura e sostenibilità ambientale ed economica. “La mia esperienza – racconta Francesco – può insegnare che si possono coltivare 5mila ulivi in terreni scomodi, tutti a terrazzo, utilizzando le tecnologie per far fronte alla bassa redditività e sfruttare al massimo le risorse. E’ difficile, oggi, stare sul mercato con prodotti di alta qualità perché c’è una elevata speculazione. Ma ciò che può venire in soccorso è l’innovazione digitale, in grado di migliorare la qualità del prodotto, mantenendo un costo accessibile e agevolando i processi di lavorazione e monitoraggio delle colture”.

Francesco Elter parla della sua impresa, dei momenti di sconforto che si possono avere ma anche dei momenti di grande soddisfazione, impossibili da spiegare se non attraverso l’esperienza diretta che anche gli studenti a suo avviso dovrebbero sperimentare fin dalle scuole superiori. “Sarebbe bello poter trasmettere ai ragazzi – afferma Elter – non solo competenze pratiche necessarie a fare questo lavoro, ma anche tutto ciò che non si può trovare nelle pagine dei libri, ovvero la vita agricola, scandita da momenti di sconforto ma anche di valore inestimabile. Occorrerebbe ripensare ai percorsi di formazione non solo inserendo una maggiore attività pratica, ma anche e soprattutto incentivando momenti di scambio tra studenti e imprenditori agricoli, visto che i primi sono spesso portatori di entusiasmo oltre che di nuove conoscenze, mentre i secondi possono trasferire esperienze indispensabili a fare bene il proprio lavoro in agricoltura”.

Quale può essere in concreto l’aiuto del digitale per una impresa agricola in un quadro di sostenibilità?

Volendo raccontare il caso della mia azienda, uno dei primi investimenti fatti è stato sul lato della lavorazione del prodotto, attraverso l’acquisto di un frantoio che usa tecnologie innovative per estrarre l’olio nel modo meno invasivo possibile, oltre che permettere la produzione di oli diversi a seconda della cultivar delle olive. Sul fronte della coltivazione, il digitale non solo ci ha consentito di ottimizzare alcuni processi aziendali, ma anche di intervenire in modo mirato sul contrasto alla mosca olearia. In questo caso, per esempio, grazie al monitoraggio delle piante fatto tramite drone, è stato possibile tenere sotto controllo lo stato vegetativo delle piante, nella consapevolezza che quelle che presentano uno stato vegetativo migliore sono più soggette ad attacco di altre e possono essere trattate in modo preventivo, nel bio, con caolino, un’argilla che diminuisce l’evapotraspirazione della pianta, ma che è efficace solo se usato nel momento opportuno. Altra tecnologia impiegata quella che, grazie al rilevamento satellitare, consente di scattare una foto e rilevare da questa la granulometria del terreno, utile nello scegliere il tipo di lavorazione da fare. Oltre a questo, grazie al 4G+, visto che qui non arrivava banda larga o ultralarga, sono riuscito a realizzare un sistema di videocontrollo dell’oliveto e a introdurre tecnologie di IoT e Cloud Computing in grado, per esempio, di regolare a distanza la temperatura interna del frantoio e poter mantenere meglio il prodotto.

Tutte le imprese hanno consapevolezza delle opportunità delle tecnologie digitali? Se no, come è possibile sensibilizzarle?

Nella mia esperienza come presidente di CIA Pisa, posso dire che laddove non c’è consapevolezza si possono cercare le cause non solo nella dimensione dell’impresa, ma spesso anche nella refrattarietà degli imprenditori agricoli abituati a fare sempre in un certo modo e non invogliati a cambiare, oppure, a volte, nei limiti infrastrutturali di rete che purtroppo nel nostro Paese ancora esistono. Come associazioni di categoria possiamo sicuramente avere un ruolo attivo, in particolare nell’accompagnare l’imprenditore non solo alla scoperta dell’utilità del digitale, ma anche nell’aumentare il grado di consapevolezza circa la sostenibilità economica dell’innovazione. L’emergenza Coronavirus, per esempio, se qualcosa di buono può portarla è il fatto che il “niente tornerà più come prima” possa trasformarsi in “costruiamo qualcosa che sia meglio di come era prima”. Cosa che si può fare guardando con maggiore attenzione all’economia circolare oltre che al digitale per la sostenibilità.

Quali possono essere le leve in grado di aiutare la trasformazione digitale delle imprese agricole?

Serve sicuramente un sostegno di tipo finanziario per le imprese agricole che, da qualche anno a questa parte, si trovano a far fronte a ulteriori difficoltà legate, per esempio, ai cambiamenti climatici. Ma se è vero che gli aiuti, come per esempio la PAC, consentono di vendere prodotti a prezzi accessibili, noi siamo non solo quello che mangiamo ma anche quello che compriamo e coltiviamo. Politiche mirate ad aumentare il grado di consapevolezza del consumatore farebbero davvero la differenza, visto che non possiamo non tenere conto, come agricoltori, del dove si posa il braccio di chi sceglie cosa mettere nel piatto.

Come è cambiato e come cambierà il lavoro in agricoltura?

Quando si parla di agricoltura si pensa sempre al fabbisogno di manodopera, senza mai considerare il fatto che l’agricoltura genera lavoro. Lavoro che, come in ogni settore, è diverso e può richiedere una mansione semplice e una conoscenza di base, insieme a conoscenze e competenze molto più specialistiche. Nei nuovi scenari che si stanno delineando, sicuramente maggiori competenze, anche nel fare mansioni semplici come per esempio la raccolta delle olive, garantiscono minori costi di produzione. Per esempio, se un operaio è in grado anche di utilizzare un macchinario per fare la raccolta delle olive piuttosto che farla esclusivamente a mano, porta in azienda un valore aggiunto. Per questa ragione credo che non dobbiamo perdere di vista la necessità di disporre di lavoratori preparati e di costruire con questa finalità un patto a tre tra comunità, imprese e lavoratori. Braccia connesse alle menti. E’ questo che ci serve.

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