Quante volte abbiamo sentito e letto che gli oceani, i mari, il riscaldamento delle loro acque, le maree hanno un impatto particolarmente significativo sul pianeta e quindi su di noi che ci viviamo? Prendersene cura, comprendere meglio le dinamiche rispetto anche ad altri elementi della terra, e agire così in maniera mirata ed efficace, diventano obiettivi da non trascurare se vogliamo vivere in un ambiente più sostenibile.
Ancora una volta, l’acqua, l’elemento vitale per la nostra esistenza, ritorna a essere protagonista. Non a caso abbiamo scelto questo secondo obiettivo per dare continuità al viaggio, già avviato con l’obiettivo SDG 6, sui dati aperti per la sostenibilità. I due infatti, sono fortemente relazionati l’uno con l’altro.
Nel precedente articolo vi abbiamo parlato di un progetto Europeo, WHOW, che mira ad aprire dati su diversi aspetti delle acque, incluse quelle marine: esso risulta quindi pertinente anche per l’obiettivo SDG 14. In quel contesto, con una serie di portatori di interesse anche di natura privata, si sono discussi, proprio nei giorni scorsi, dei casi di studio giudicati complessivamente particolarmente interessanti e da analizzare in maniera puntuale, stimolando a operare nella direzione di massima apertura dei dati per il riutilizzo. Ne riportiamo due che potrebbero incoraggiare una riflessione sui lettori rispetto all’obiettivo qui in discussione.
Il primo caso di studio è il monitoraggio della qualità delle acque del mare e degli oceani per analizzare elementi del processo di bioaccumulo, i.e., processo che si verifica quando una sostanza chimica si accumula nei tessuti di un organismo, attraverso tutte le possibili vie di assorbimento. Chiaramente dati aperti potrebbero portare a diverse opportunità:
- una più chiara informazione verso i cittadini, che usano le risorse marine e si nutrono di elementi che provengono dal mare;
- un supporto efficace per la ricerca, i cui risultati potrebbero essere utilizzati anche per guidare politiche più mirate di salvaguardia ambientale. Nell’ultimo anno abbiamo tutti capito che se ci fosse più conoscenza aperta e quindi più dati aperti, anche per la ricerca, si potrebbe aiutare di più e meglio coloro che prendono decisioni con effetti rilevanti sulle nostre vite;
- un’identificazione più capillare delle aree marine in cui questo processo si verifica con impatti sugli impianti di acquacultura e sulle aree di pesca, e quindi su aspetti economici. Questo mercato infatti svolge un ruolo socio-economico significativo nell’Unione europea e nei suoi Stati membri, dove l’industria della pesca fornisce più di 350.000 posti di lavoro e la produzione di pesca e acquacoltura rappresenta circa il 3,3% della produzione globale, rendendo l’UE il quinto produttore mondiale e il primo commerciante al mondo in termini di valore delle importazioni e delle esportazioni. A tal proposito, se i lettori sono interessati a questo tema, strettamente legato all’obiettivo SDG 14, dati e documenti aperti si possono trovare attraverso il progetto EUMOFA curato dalla Director General della Commissione Europa DG MARE.
Un secondo caso di studio discusso è quello di monitorare nelle acque del mare la presenza di particolari microalghe, magari anche con il supporto di dati satellitari come Copernicus, fonte preziosa e già citata nel precedente articolo. Un esempio è il caso della microalga Ostreopsis ovata. Di origine tropicale o subtropicale, inizia a essere presente nei mari del Mediterraneo per via di temperature delle acque sempre più elevate. Purtroppo, da alcune analisi riportate dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) nell’ambito del progetto WHOW, sembra che la presenza della microalga nei nostri mari abbia prodotto impatti non particolarmente positivi sia sulla salute delle persone (tosse, congiuntivite, febbre, ecc.), sia sulle risorse marine (sofferenza o mortalità in cozze, ricci, stelle marine e macroalghe). I primi casi di osservazione della sua presenza in Italia risalgono al 2005 e non sembra sia andata molto bene, sia per la salute delle persone, sia sul tema della trasparenza di questi dati che sicuramente dovrebbero essere più aperti a beneficio di tutti. Infatti, anche qui le opportunità derivanti dagli open data per questo scenario sono diverse. Per esempio:
- cittadini più informati sulle conseguenze anche rispetto alla loro salute;
- supporto al turismo e alle attività di svago che riguardano il mare;
- supporto, ancora una volta, alla ricerca, alle decisioni e per capire, in generale, fenomeni che riguardano il nostro Pianeta.
Ma entriamo nel dettaglio dei traguardi previsti dall’obiettivo SDG 14 e proponiamo una lista di possibili dati aperti che possono aiutare a monitore alcuni indicatori definiti per questo obiettivo. Speriamo, al termine della rubrica, che queste liste per ciascun obiettivo possano stimolare tutti, le nostre forze politiche (siamo ambiziosi!), le nostre amministrazioni e le nostre comunità, quest’ultime a dir il vero molto più attive delle prime, a intraprendere specifici percorsi di apertura.
I traguardi dell’SDG 14
I traguardi che l’agenda 2030 prevede per questo obiettivo sono molto ambiziosi, visto anche i tempi assegnati per il loro raggiungimento. Del resto, come si afferma “L’acqua piovana, l’acqua che beviamo, il meteo, il clima, le nostre coste, molto del nostro cibo e persino l’ossigeno presente nell’aria che respiriamo sono elementi in definitiva forniti e regolati dal mare”. A tale scopo, si prevede quindi di:
- prevenire e ridurre in modo significativo ogni forma di inquinamento marino, anche rispetto a quello derivante da attività svolte dalla collettività sulla terraferma;
- proteggere l’intero ecosistema marino e costiero agendo in modo da avere oceani in salute e produttivi;
- affrontare gli effetti dell’acidificazione degli oceani, promuovendo la collaborazione a tanti livelli nel contesto della ricerca e del settore pubblico;
- promuovere una pesca sostenibile, agendo in maniera da limitare la pesca eccessiva, illegale, non dichiarata e non regolamentata e implementando piani di gestione su base scientifica che indichino come ripristinare riserve ittiche, riportandole a livelli di rendimento sostenibile in base alle loro caratteristiche biologiche;
- vietare forme di sussidi alla pesca che possano portare alla pesca eccessiva;
- preservare almeno il 10% delle aree costiere e marine in conformità con il diritto nazionale e internazionale;
- aumentare i benefici economici dei piccoli stati insulari in via di sviluppo e dei paesi meno sviluppati, attraverso una gestione sostenibile della pesca, dell’acquacoltura e del turismo;
- non lasciar indietro nessuno, nemmeno i piccoli pescatori artigianali, facilitando per loro l’accesso alle risorse e ai mercati marini;
- potenziare la conservazione e l’utilizzo sostenibile degli oceani e delle loro risorse come riportato nella Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare;
- aumentare la conoscenza e la capacità di ricerca scientifica per analizzare lo stato di salute dell’oceano e per aumentare il possibile contributo della biodiversità marina.
Secondo quanto riportato dal portale di riferimento delle nazioni unite, come anche per il precedente SDG, dei miglioramenti nel corso degli anni di alcuni indicatori definiti per il raggiungimento dei suddetti obiettivi si registrano: aumenta la quota di aree marine protette, la pesca sostenibile, di cui tanto si inizia a sentire, influisce sul prodotto interno lordo. 97 paesi del mondo hanno siglato un accordo per il contrasto della pesca illegale, non riportata e non regolamentata, un chiaro segnale che solo collaborando si può mirare a obiettivi complessi e sfidanti.
Di contro, l’acidificazione degli oceani, causata dall’assorbimento di CO2 atmosferica da parte dell’oceano, con conseguente diminuzione del pH, continua a essere un problema per l’ecosistema marino da indirizzare.
Dal rapporto ISTAT, di cui vi avevamo già scritto, le aree marine ricomprese in rete natura 2000 sono considerate lo strumento per la conservazione della biodiversità e nel 2019 il loro perimetro è aumentato rispetto l’anno precedente di 5.163 Km2. L’Italia inoltre è il Paese europeo con il maggior numero di acque di balneazione e la maggior parte di queste presenta livelli di qualità più che sufficienti. Per quanto riguarda la pesca invece il rapporto ISTAT sottolinea che nel Mediterraneo occidentale l’attività opera in condizioni di sovra sfruttamento, non rientrando per il 90,7% nei livelli biologicamente sostenibili tali da garantire la capacità di riproduzione per la maggior parte degli stock ittici.
In sostanza, queste analisi ci dicono che dobbiamo ancora fare molto e la conoscenza aperta ci può aiutare ad agire al meglio. Infatti, i dati aperti, e non ci stancheremo mai di ripeterlo, il più possibile disaggregati e di qualità, possono contribuire al calcolo di alcuni indicatori previsti per questo obiettivo. In particolare, possono aiutare a:
- tracciare il livello dell’inquinamento delle acque marine, mettendo a disposizione i dati su alcuni parametri chimici monitorati ma anche su altri elementi come per esempio le temperature, la presenza di specifiche alghe tossiche o la quantità di plastiche. Queste tipologie di dati possono aiutare nel calcolo degli indicatori 14.1 – riduzione dell’inquinamento marino, e in particolare dell’indice di eutrofizzazione costiera e densità di detriti di plastica galleggianti, e 14.3 – riduzione dell’acidificazione degli oceani e in particolare dell’indice di acidità media marina (pH) misurata in una serie concordata di stazioni di campionamento rappresentative;
- tracciare le aree marine protette ricomprese nella rete natura 2000, indicato anche da ISTAT come un possibile strumento per il monitoraggio relativo alla conservazione delle aree marine e costiere (indicatore 14.5.1 – copertura delle aree protette in relazione alle aree marine);
- tracciare l’andamento della pesca sotto svariati aspetti, nelle acque nazionali e sovranazionali per delineare uno scenario di sostenibilità; per esempio, rendendo disponibili dati per il massimo riutilizzo su quali attrezzi della pesca sono utilizzati, sulle dimensioni minime di conservazione delle single specie, sui metodi di produzione, sulla quantità del pescato per alcune specie. Questi dati aiutano nel monitoraggio dell’indicatore 14.4.1 – proporzione di stock ittici entro livelli biologicamente sostenibili;
- valutare quanto l’uso sostenibile di risorse marine possa portare benefici all’economia, mediante la messa a disposizione dati aperti economici del settore che possano facilitare il calcolo dell’indicatore 14.7.1 – pesca sostenibile come percentuale del PIL;
- supportare enti di ricerca, imprese, cittadinanza nel comprendere sempre meglio i nostri mari e in generale fenomeni connessi al livello di inquinamento, di salute e di produttività degli stessi.
Rispetto a questi dati è importante segnalare che sia a livello nazionale che a livello europeo qualcosa è stato fatto per la loro apertura. ISPRA, già prima menzionata, pubblica una serie di dati relativi al mare secondo il paradigma dei Linked Open Data, anche se, per ora, l’ultimo aggiornamento risale solo al 2016. Le aree protette e rete natura 2000 sono uno dei dataset inseriti nel paniere dinamico dei dati aperti di AGID fin dal lontano 2016 e stando all’ultimo monitoraggio per l’anno 2020, che ricordiamo valuta solo se il dato è aperto o meno e nulla dice in termini di numeri sulla qualità dei dati, 18 regioni su 21 lo rendono già disponibile secondo il paradigma dei dati aperti.
Un riflettore particolare bisogna accenderlo sul tema della pesca e della pesca sostenibile. Il nostro Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, un tempo più attento al tema dei dati aperti rispetto a quanto sembrerebbe ora, mantiene ancora un dataset, l’unico aggiornato, proprio sul diario di bordo della pesca. Il dataset è disponibile attraverso diverse distribuzioni, anche in Linked Open Data.
A livello Europeo invece vale la pena segnalare un’iniziativa della suddetta DG MARE nel contesto delle politiche sulle informazioni ai consumatori. Ancora una volta chi vi scrive è di parte, ma il nuovo sito da poco ricercabile sotto il dominio europa.eu rappresenta una fonte piuttosto vasta di dati interessanti sul tema. Ci si riferisce al sistema informativo delle denominazioni commerciali dei prodotti della pesca e dell’acquacultura commercializzati nell’Unione Europea. Un sito disponibile in tutte le 24 lingue ufficiali dell’UE che funge da punto unico di accesso, da grande collettore di dati provenienti da diverse fonti eterogenee tra cui: sistemi tassonomici di riferimento delle risorse acquatiche (e.g., Fishbase, WoRMS, ASFIS, ecc.), liste ufficiali e normative degli stati membri sui nomi commerciali dei prodotti della pesca e dell’acquacultura, (per intenderci quelli che si trovano sulle etichette dei prodotti che compriamo comunemente nei mercati e supermercati e da non confondere con i nomi più comuni anche dialettali), codici di riferimento sui prodotti della pesca per il sistema delle dogane, svariati dati sulle quote di pesca, sulle misure di conservazione minime delle specie, sugli standard di commercializzazione che si ritrovano in diverse normative europee.
I più attenti lettori potrebbero obiettare che, nonostante la ricchezza di dati presenti in quel sito, nonostante i siti della commissione europea adottino licenze aperte, i dati non sono ancora scaricabili in blocco (bulk download) o interrogabili agevolmente mediante API – Application Programming Interface e alcuni presentano licenze, nelle fonti d’origine, non propriamente aperte perché non ne consentono il riutilizzo commerciale (è il caso per esempio dei dati provenienti da Fishbase). È vero, ma la buona notizia è che il tema è all’attenzione degli organismi europei e nonostante non si potranno risolvere alcune limitazioni imposte da certe fonti dati, si potrà comunque pensare di liberare diversa conoscenza che speranzosamente possa aiutare anche rispetto all’obiettivo che abbiamo discusso.
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