Ripristinare gli ecosistemi, la sfida passa (anche) dal digitale

Nel World Environment Day 2021, il tema scelto dalle Nazioni Unite è quello del ripristino degli ecosistemi: un obiettivo fondamentale dal quale passa il futuro del pianeta e delle persone, e per il quale raggiungimento un contributo decisivo potrà arrivare dal digitale

Oggi si celebra il World Environment Day, la Giornata Mondiale dell’Ambiente. La data scelta, il 5 giugno, coincide con il primo giorno della storica Conferenza di Stoccolma, che ebbe luogo nel 1972, prima grande conferenza sui temi ambientali convocata dalle Nazioni Unite: in questo giorno, da ormai 47 anni, fin dalla sua prima lontana edizione del 1974, la celebrazione ha quindi l’obiettivo di sollecitare i governi e le organizzazioni a impegnarsi per la conservazione e la valorizzazione dell’ambiente, sensibilizzando all’azione su questioni ambientali urgenti.

Il tema scelto per quest’anno è quello del ripristino degli ecosistemi. L’eccessivo sfruttamento di questi ultimi ha generato enormi danni per il pianeta: l’obiettivo di questa giornata, quindi, è quello di prevenire, arrestare e invertire questo danno, passando dallo sfruttamento della natura alla sua guarigione. La giornata di quest’anno, inoltre, darà il via al Decennio delle Nazioni Unite sul ripristino dell’ecosistema (2021-2030): il decennio, la quale fine coincide anche con la data di “scadenza” prevista dagli obiettivi di sviluppo sostenibile, si pone l’obiettivo di fermare il degrado degli ecosistemi e ripristinarli, perché soltanto con ecosistemi sani è possibile migliorare i mezzi di sussistenza delle persone, contrastare i cambiamenti climatici e fermare il collasso della biodiversità. A beneficio delle persone e della natura.

La salute degli ecosistemi è quindi un obiettivo prioritario che, come evidenziato dalla giornata, deve essere affrontato a livello globale. Ciò significa mettere in campo quelle azioni strategiche e quanto mai urgenti per il perseguimento di uno sviluppo sostenibile, come il passaggio dall’economia lineare a quella circolare, ponendo fine allo sfruttamento intensivo delle risorse, così come abbracciare i principi dell’agricoltura sostenibile e accelerare il processo di transizione energetica. Non solo: in questo contesto, un ruolo fondamentale è ricoperto dalle piccole ma fondamentali azioni che ognuno può realizzare nella vita di tutti i giorni, nell’adottare un comportamento e uno stile di vita più sostenibile.

In questo senso, con l’innovazione che avanza sempre più veloce, diventa fondamentale guardare al digitale come ad una fondamentale opportunità: se la salute degli ecosistemi, e quindi del pianeta, è l’obiettivo da raggiungere, non si può prescindere dal considerare la tecnologia digitale come una leva strategica da declinare in chiave di sostenibilità.

Dall’agricoltura eco-esternalizzante all’agricoltura sostenibile, con l’aiuto del digitale

Se è evidente quanto l’agricoltura sia un elemento decisivo, imprescindibile per la vita dell’uomo, lo è altrettanto il fatto che sia un’attività che nel tempo ha avuto un’impronta decisamente importante sugli ecosistemi del pianeta. Per questo è fondamentale conciliare le necessità produttive con il rispetto delle risorse ambientali, secondo i principi dell’agricoltura sostenibile. Quale contributo, in questa direzione, dalle tecnologie digitali? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Pulina, professore di Zootecnica Speciale presso il Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari.

L’agricoltura è parte dell’ecosistema così come l’uomo. L’estensione delle tecniche di coltura e di allevamento irrazionali e predatorie, finalizzate all’esternalizzazione dei costi ambientali che qualsiasi attività umana comporta, ha generato importanti fenomeni di consumo di suolo, fino alla desertificazione, di concentrazione di nutrienti in aree ristrette e nei corpi idrici, in particolare di azoto di origine artificiale e di fosforo, di perdita di biodiversità animale (insetti e piccoli animali) e vegetale (soprattutto delle cosiddette malerbe) e di riduzione del contenuto in carbonio nei suoli. L’agricoltura sostenibile del futuro non è un felice ritorno al passato (nel quale non sono mancati i danni ambientali legati allo sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali), ma il convincimento che fra le finalità produttive dei sistemi agricoli, zootecnici e forestali deve essere compreso il miglioramento della qualità ambientale degli ecosistemi in cui si opera. Per essere chiari, agricoltura e allevamento non solo dovranno produrre cibo buono, sano e accessibile a tutti gli abitanti del Pianeta, ma dovranno farlo con bilanci ecologici positivi, cioè conservando le risorse ambientali (acqua, aria, suolo, bios) dove queste sono sufficienti e restaurandole laddove queste siano state erose da precedenti pratiche, anche non agricole. Le tecnologie digitali, nel cambiare il paradigma di approccio ai problemi, sono fondamentali per individuare le migliori strategie in intervento nei casi specifici (la condivisione delle esperienze possibile con le tecnologie digitali è fondamentale in tal senso) e nel gestire i processi produttivi con sensori e indicatori in grado di evitare qualsiasi divergenza dagli obiettivi di sostenibilità prefissati da ciascuna filiera del cibo. In questo contesto, le filiere zootecniche, occupando vasti ambienti seminaturali (praterie, boschi), si candidano a sistema in grado di rispondere più efficacemente e rapidamente all’esigenza di salvaguardia ecosistemica indicate dall’ONU per la giornata mondiale per l’ambiente: reimmaginare i comparti, con fortissima integrazione fra tutte le fasi della filiera; ricreare una catena del valore ambientale parallela a quella del valore economico per tutti i prodotti di origine animale; restaurare gli ecosistemi compromessi con la sostituzione dell’agricoltura eco-esternalizzante con gli allevamenti carbon e nitrogen-sink e rigenerativi della biodiversità”.

Dall’economia lineare alla chiusura del cerchio

Il passaggio da un modello lineare di economia, basato su un elevato consumo di risorse, ad uno invece circolare con l’utilizzo di materie prime rigenerative, è senza dubbio fondamentale per il raggiungimento dell’obiettivo evidenziato dalla giornata. D’altra parte, basti pensare anche al contributo nella transizione alla neutralità climatica da parte dell’economia circolare: si stima infatti che raddoppiando l’attuale tasso di circolarità, si riuscirebbero a tagliare a livello globale 22,8 miliardi di tonnellate di gas serra.

In questo senso, secondo Renato Grottola, Global Director Growth and Innovation di DNV e componente del Comitato di Indirizzo del Digital Transformation Institute – Fondazione di ricerca per la sostenibilità digitale, “La transizione da economia lineare a economia circolare è un presupposto fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi fissati nell’Agenda 2030. Ognuno di noi è chiamato a contribuire a questo cambiamento: non si tratta solamente di ridurre la quantità di rifiuti prodotta reimmettendo materia utile all’interno dei cicli produttivi, ma, piuttosto, di ridefinire i nostri comportamenti, partendo dai modelli di consumo. Una vera e propria ridefinizione del nostro vocabolario comportamentale: dalla proprietà alla condivisione, dall’obsolescenza al riuso, dallo scarto al riciclo. Questo cambio di paradigma introduce nuove forme di scambio di valore, ovvero nuove forme di transizione, tra imprese, individui, enti che saranno alla base di nuovi modelli di utilizzo e consumo. Le tecnologie digitali saranno in grado di abilitare queste transazioni, e di garantire, ad un costo accettabile, la fiducia tra gli attori che è un presupposto fondamentale affinché lo scambio di valore abbia luogo”.

Il ruolo delle piattaforme di comunicazione digitale

Come detto, quindi, in questa sfida ognuno è chiamato a fare la propria parte: la dimensione individuale, all’interno di un fenomeno così vasto, ha infatti un’importanza fondamentale.

In questo senso, occorre richiamare l’attenzione verso la necessità di attuare comportamenti più sostenibili da parte di ognuno e, per Alberto Marinelli, Direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale alla Sapienza, Università di Roma, e membro del Comitato Scientifico del Digital Transformation Institute, un ruolo decisivo in questa direzione può essere svolto dalle piattaforme di comunicazione digitale che, “nella percezione individuale, finora, sono servite soprattutto per assicurare quella soglia minima di empowerment che si conquista con l’esibizione di atteggiamenti proattivi in difesa dell’ambiente (modificando la foto del profilo ecc.) o con l’adesione a campagne di successo a livello planetario (Friday for Future ecc.). In questa direzione si muove la campagna #GENERATIONRESTORATION del World Environment Day che ospita e rilancia forme di microattivismo, generate a livello locale, integrandole in una cornice di senso più vasta e condivisa. Questa positiva tensione ideale è un presupposto fondamentale per promuovere attenzione verso azioni sostenibili. È necessario però alzare il livello della sfida e passare dalla promozione di stili di vita responsabili alla costruzione di una consapevolezza profonda e sistematica delle opportunità che le tecnologie digitali possono offrire rispetto all’obiettivo della sostenibilità ambientale. È fondamentale che la call to action sia correlata alla informazione e alla concreta sperimentazione delle opportunità che le tecnologie rendono disponibili, soprattutto nel redesign degli ambienti urbani e delle pratiche quotidiane sostenibili”.

Per l’ambiente, attenzione all’ambientalismo acritico

“Eppure – conclude Stefano Epifani, presidente della Fondazione Digital Transformation Institutenella giornata mondiale dell’ambiente abbiamo il dovere di evidenziare che si debba guardare all’ambiente per ciò che è, ossia un tema complesso e sistemico. Nella definizione delle scelte di sostenibilità spesso l’atteggiamento delle persone è ideologizzato e manca quasi del tutto la consapevolezza delle conseguenze concrete delle scelte ideologiche. Questo fa si che vi sia una mancanza di correlazione quasi totale, nelle persone, tra ciò di cui credono di essere convinte ed i comportamenti che poi praticano. Nella nostra ricerca su “Gli Italiani e la Sostenibilità Digitale” abbiamo evidenziato come oltre la metà dei cittadini italiani non sia in grado di comprendere gli impatti pratici delle proprie posizioni ideologiche, e questo è un enorme problema quando si affronta un tema che per portare risultati concreti non richiede solo l’intervento (spesso parziale e fallace) delle Istituzioni, ma una responsabilizzazione reale dei cittadini. Se invece le persone si concentrano sulla moda del momento e su visioni del tutto acritiche dei temi legati all’ambiente il problema si pone e con forza. Non è un caso che le visioni critiche sul ruolo della tecnologia, quelle visioni che portano a vedere nel 5G prevalentemente una minaccia e comunque nel digitale un vero e proprio nemico (tale è ritenuto – nei fatti – per quasi due terzi degli italiani, ed anche questo dato è significativo), si concentrano proprio nelle fasce che potremo definire dell’ambientalismo radicale, o dell’estremismo verde. Fasce che – paradossalmente – danneggiano di più proprio la sfida per l’ambiente, rendendo più ripida la curva di adozione di quella che sappiamo essere l’arma più potente che abbiamo a disposizione per il clima e la biodiversità: la tecnologia digitale. Correttamente utilizzata, ovviamente”.

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