Quando il digitale aiuta la biodiversità

La Giornata Internazionale per la Biodiversità ci ricorda l’importanza di tutelare la natura, perché da essa deriva la salute dell’uomo, la sicurezza alimentare, la tutela dell’ambiente. Un contributo fondamentale, per questo obiettivo, può arrivare dalle tecnologie digitali

Ogni DNA che incontriamo ha motivo di esistere. Perché ogni acido desossiribonucleico (questo il suo nome esteso) contiene le informazioni necessarie ad un particolare organismo vivente. E se la vita va difesa, va difeso ogni DNA, matrice e fonte della biodiversità che popola il nostro pianeta. Questo in sintesi il criterio che ispira la Giornata della biodiversità che si celebra il 22 maggio, ma che dovrebbe continuare per tutti i giorni dell’anno.

Proclamata dalle Nazioni Unite per ricordare la Convenzione per la “diversità biologica” siglata il 22 maggio del 1992, questa giornata ha come obiettivo la sensibilizzazione verso la tutela della natura. Perché da essa deriva la salute dell’uomo, la sicurezza alimentare, la tutela dell’ambiente.

Ma la biodiversità è a rischio, “consumata” da modelli di coltivazione, trasformazione, consumo e spreco che non sono sostenibili, ovvero sottraggono più risorse di quanto la natura sia in grado di recuperare nel suo ciclo normale. C’è chi ritiene che si stia affacciando una sesta estinzione di massa e l’IPBES (Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) afferma che un milione di specie fra animali e vegetali sia minacciata di estinzione. E si punta il dito sugli attuali modelli di produzione agricola e zootecnica, accusandoli di essere una delle minacce alla biodiversità.

Diversa la lettura che su questo tema ci offre Giuseppe Pulina, docente di Zootecnica Speciale all’Università di Sassari. “I dati della Fao – ricorda il professore – stimano che siano allevate 11mila razze di mammiferi e 4mila razze di volatili domestici. La natura avrebbe dovuto impiegare milioni di anni per generare, a patto di riuscirci, una così straordinaria varietà genetica e morfologica. Che oggi corre gli stessi rischi delle specie selvatiche, ed è questa una delle sfide che abbiamo davanti.”

È lecito allora chiedersi se l’allevamento è parte del problema o se al contrario può essere parte della soluzione. Anche in questo caso ci viene in aiuto il pensiero del professor Pulina, che ricorda come l’allevamento sia un artefice indiretto della biodiversità vegetale attraverso i pascoli. “Carichi commisurati alla portanza dei sistemi pascolivi e l’azione di dispersione di semi da parte degli animali pascolanti – afferma Pulina – sono i fattori in grado di mantenere la biodiversità dei pascoli e delle superfici silvane. In definitiva – conclude l’esperto – gli animali zootecnici sono sia parte della biodiversità specifica, sia artefici della biodiversità vegetale ed entomologica che oggi osserviamo e che dobbiamo proteggere e valorizzare.”

Nella difesa della biodiversità il ruolo dell’agricoltura e degli allevamenti trova un alleato formidabile nelle tecnologie digitali e nelle applicazioni della genomica. Molti i riferimenti che troviamo sul fronte vegetale nelle banche dati custodite nei diversi registri nazionali delle piante, sotto la regia del Ministero per le Politiche agricole.

Le tecnologie digitali sono poi strumento indispensabile alle attività di salvaguardia e conservazione delle risorse genetiche vegetali di interesse per l’agricoltura. Un esempio viene dalle attività dell’Istituto di Bioscienze e Biorisorse (ex Istituto del germoplasma), dove si valutano e caratterizzano le diversità genetiche entro specie e si svolgono ricerche di nuovi geni utilizzando anche metodologie molecolari.

Non meno rilevante il ruolo delle nuove tecnologie nella genetica animale. Il digitale è entrato con prepotenza nella attuazione delle tecniche genomiche. Un campo, questo, che richiede competenze di biologia molecolare, conoscenze sul sequenziamento del Dna, capacità di ottimizzazione dei big data. In compenso, e grazie alla genomica, il progresso genetico in campo animale ha fatto progressi enormi. Ma al contempo ha posto l’accento sull’importanza di possedere un “archivio” genomico dal quale attingere per selezionare i caratteri desiderati. Ne scaturisce una rinnovata importanza alla conservazione di ogni razza, anche la meno produttiva, serbatoio di un prezioso patrimonio genetico dal quale attingere all’occorrenza (magari persino nella lotta al Covid-19).

È per questo che tutto il mondo degli allevamenti ruota attorno alle grandi banche dati nelle quali sono custoditi gli elementi distintivi di ogni animale allevato. Sia quelli anagrafici, di interesse economico e sanitario, sia quelli produttivi e genetici da utilizzare in campo selettivo. Mentre l’anagrafe nazionale zootecnica è custodita nella banca dati gestita dall’Istituto Zooprofilattico G. Caporale, quelli di interesse sanitario confluiscono in Classyfarm, inserito come il precedente nel portale della veterinaria italiana.

Poi c’è il grande capitolo dei dati di interesse genetico, che fanno capo al mondo degli allevamenti, suddivisi fra varie organizzazioni di settore, dall’Associazione italiana allevatori (Aia) alle associazioni di razza indipendenti come Frisitali. Non mancano strumenti di confronto a livello internazionale, fra questi Synergy, che tessendo una rete internazionale di scambio di informazioni promette risultati in campo genetico senza compromettere la biodiversità. Un rischio che appartiene al passato.

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