Open Data per l’SDG 3: salute e benessere

Il tema della salute, a causa della pandemia, ha catalizzato la nostra attenzione da almeno 18 mesi. Un tema delicato, soprattutto se collegato a quello dei dati riutilizzabili da chiunque per qualunque scopo: parliamo del SDG 3, e di come i dati aperti aiuterebbero sia la collettività, sia chi deve prendere decisioni

Immagine distribuita da Pixabay

Riprendiamo dopo la pausa estiva il nostro viaggio tra i possibili dati che, se resi disponibili a tutti secondo il paradigma degli open data, potrebbero essere un valido supporto alle politiche di sostenibilità.

L’obiettivo di questo articolo riguarda un tema che ha catalizzato, e continua a farlo, la nostra attenzione da almeno 18 mesi. Parliamo infatti di salute e benessere.

Partendo dal presupposto che i dati aperti non dovrebbero contenere dati personali (a parte alcune eccezioni), men che meno categorie particolari di dati personali come quelli sanitari di singoli, con le opportune cure sui dati, ovvero quella tanto richiamata qualità sempre necessaria, anche dati sulla salute non riferibili a singole persone possono essere pubblicati come open data

L’argomento salute, soprattutto se collegato al tema dei dati riutilizzabili da chiunque per qualunque scopo, è piuttosto delicato in quanto informazioni sanitarie delle persone ricadono sotto il cappello del regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, il cosiddetto GDPR. Ed è opinione di chi vi scrive che spesso questo aspetto è stato utilizzato, soprattutto nell’ultimo anno, in maniera anche un po’ strumentale per percorrere la strada della chiusura e non trasparenza, per paura di possibili divulgazioni improprie di dati personali e forse anche per altre. Partendo dal presupposto che i dati aperti non dovrebbero contenere dati personali (a parte alcune eccezioni), men che meno categorie particolari di dati personali come quelli sanitari di singoli, chi vi scrive ritiene che con le opportune cure sui dati, ovvero quella tanto richiamata qualità sempre necessaria, anche dati sulla salute non riferibili a singole persone possono essere pubblicati come open data.

Chi segue il tema ricorda sicuramente i tanti appelli, le tante discussioni sui social network da parte della cittadinanza attiva per l’apertura di un numero maggiore di dati sul COVID-19. La campagna #datiBeneComune, ancora attiva e forse più attuale come mai, è nata proprio dalla mancanza di dati aperti sul tema del controllo della diffusione di una pandemia che ha trasformato le nostre vite. Dati aperti quindi per una maggiore conoscenza e consapevolezza ma anche una maggiore capacità di controllo rispetto a politiche che in certi casi hanno inevitabilmente limitato le libertà delle persone per scopi di salute pubblica.

Nonostante le numerose voci, ci sono ancora diversi “dati non dati” che studiosi, singoli cittadini e organizzazioni richiedono da tanti, troppi mesi e che potrebbero aiutare a studiare meglio fenomeni che comportano un ripensamento del modello di società, in ottica appunto di sostenibilità.

Nei passati articoli abbiamo anche parlato di qualità dell’acqua e di un progetto europeo, WHOW, che segue questi aspetti legati anche e soprattutto ai parametri di salute, come la diffusione di malattie. Difficilissimo riuscire a trovare dati aperti, o volontà di aprirne nel contesto sanitario; questo limita le possibilità di studio e di messa a punto di politiche mirate su questi temi che rientrano proprio nell’obiettivo in discussione.

Ma vediamo se riusciamo a rompere qualche tabù proponendone alcuni anche per il settore salute e benessere. Per farlo partiamo analizzando i traguardi definiti.

Traguardi obiettivo 3

L’insieme di traguardi che l’agenda ONU prevede possono essere riassunti come segue:

  • riduzione del tasso di mortalità materna globale a meno di 70 per ogni 100.000 bambini nati vivi;
  • porre fine alla mortalità prevedibile di neonati e bambini sotto i 5 anni;
  • porre fine a epidemie quali AIDS, malaria, malattie tropicali trascurate e combattere la diffusione di malattie come per esempio tubercolosi, epatite, malattie di origine idrica e altre malattie trasmissibili;
  • ridurre di un terzo la mortalità prematura da malattie non trasmissibili incentivando la prevenzione e il trattamento;
  • promuovere il benessere e la salute mentale;
  • dimezzare a livello globale il numero di morti e feriti per incidenti stradali;
  • rafforzare la prevenzione e il trattamento di abuso di sostanze tra cui stupefacenti e alcolici;
  • garantire l’accesso universale ai servizi di assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva;
  • conseguire una copertura sanitaria universale, l’accesso ai servizi essenziali di assistenza sanitaria di qualità e l’accesso sicuro, efficace, di qualità e a prezzi accessibili a medicinali di base e vaccini per tutti. Collegato a questo tema, sostenere la ricerca e lo sviluppo di vaccini e farmaci per le malattie trasmissibili e non trasmissibili che colpiscono soprattutto i paesi in via di sviluppo;
  • ridurre sostanzialmente il numero di decessi e malattie da sostanze chimiche pericolose e da contaminazione e inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo.

Leggendo questi traguardi non si può notare la loro attualità, con un impatto complessivo su tanti aspetti della nostra vita: come ci curiamo, come coniughiamo la nostra vita sociale con quella lavorativa, quali mezzi di mobilità sostenibile utilizziamo, che modello di società globale vogliamo adottare per ridurre epidemie/pandemie. In altri termini, la pandemia ci ha dimostrato: l’importanza di avere una copertura sanitaria globale, la necessità di disegnare piani efficaci contro pandemie, la necessità di ripensare la nostra società, elementi che riscontriamo anche negli obiettivi dell’agenda ONU.

Dati aperti su tutti questi aspetti aiuterebbero moltissimo sia per la collettività – quanti riusi/studi ci sono stati usando solo i dati aperti ultra aggregati del Dipartimento di Protezione Civile sull’evoluzione della pandemia COVID-19 – sia per chi deve prendere decisioni perché, come sempre, è bene sottolineare che dai dati devono poi seguire opportune azioni pianificate dai livelli decisionali.

Rispetto a questo obiettivo, Il monitoraggio delle Nazioni Unite che siamo soliti citare dipinge uno scenario in miglioramento prima della pandemia ma in peggioramento dopo la crisi pandemica che ha anche contribuito ad amplificare le disuguaglianze sanitarie specialmente per le persone povere, fragili, anziane e per i rifugiati e migranti. Colpisce, inoltre, l’analisi sulla mancanza di dati che costituisce il principale ostacolo per capire la reale portata e impatto della pandemia COVID-19. Si afferma infatti che “mentre i sistemi di sorveglianza della salute pubblica hanno fatto sforzi enormi nel segnalare i casi di COVID-19 all’OMS, spesso mancano caratteristiche fondamentali come l’età e il sesso. Nel complesso, tra gennaio 2020 e aprile 2021, le informazioni sull’età mancavano dai rapporti del 44% di tutti i casi. Per i paesi dell’Africa, le informazioni su sesso ed età mancavano da quasi tutte le segnalazioni di casi.”. Insomma, sembra tutto tornare anche rispetto a quanto riportato precedentemente con l’iniziativa “dati non dati”!

Nel contesto italiano, è sempre l’ISTAT che guida nell’analisi dei vari obiettivi. Si segnala che un nuovo rapporto di monitoraggio per il 2021 è stato rilasciato proprio qualche giorno fa con una novità, sintomo che anche la comunicazione dei dati è sempre più considerata all’interno delle nostre organizzazioni pubbliche: ora si possono consultare dashboard interattive con la possibilità di selezionare il singolo obiettivo, l’indicatore SDG di misurazione, la misura statistica, la dimensione (sesso, territorio) e l’anno di riferimento.

Per questo obiettivo, nel nuovo rapporto ISTAT del 2021, si evidenza come la pandemia abbia portato a un eccesso di mortalità e che: i) “nel 2020 il totale dei decessi per il complesso delle cause è stato il più alto mai registrato in Italia dal secondo dopoguerra: 746.146 decessi; 100.526 decessi in più rispetto alla media 2015-2019”, ii); che la copertura vaccinale antinfluenzale nell’inverno 2020/2021 è sensibilmente aumentata e iii); che in generale certe malattie sono in lieve aumento, in alcuni casi più nella popolazione maschile rispetto a quella femminile (come il caso dell’ipertensione) e che tornano ad aumentare le persone in eccesso di peso e quelle con comportamenti a rischio nel consumo di alcol.

Riflettendo su queste considerazioni, ci potrebbero essere diversi dati aperti da considerare, oltre a quelli che già faticosamente varie comunità provano a tracciare per intraprendere poi precise azioni di richiesta ai titolari dei dati:

  • dati statistici sulla mortalità per varie fasce d’età e per specifiche categorie della popolazione (questi dati potrebbero contribuire al calcolo degli indicatori 3.1.1 –  Tasso di mortalità materna, 3.2.1 – Tasso di mortalità sotto i 5 anni e 3.2.2 – Tasso di natalità neonatale);
  • dati sulle cause di morte, già peraltro presente nel paniere dinamico di dataset da aprire dell’AGID, che non sembra avere una buona copertura, in termini di disponibilità, su tutte le Regioni del nostro Paese. Questi dati potrebbero contribuire al calcolo dell’indicatore 3.4.1 – Tasso di mortalità attribuita a malattie cardiovascolari, cancro, diabete o malattie respiratorie croniche;
  • dati di diffusione di malattie, anche trasmissibili per età e sesso (utili per gli indicatori 3.3.1, 3.3.2, 3.3.4 usati per misurare il numero di infezione HIV, incidenza di malattie come la tubercolosi, l’epatite B) che possono essere efficacemente utilizzati per arginare la loro diffusione con politiche mirate anche nei confronti delle popolazioni più fragili e più soggette al rischio;
  • dati sui medicinali, inclusi prezzi, e sull’accesso agli stessi da parte di diverse categorie di popolazione;
  • dati sui servizi offerti alla popolazione per la salute dislocati sul territorio, con quindi un supporto da parte di dati geospaziali per orientare i diversi utenti nella scelta dei luoghi di cura;
  • dati di accesso a presidi di salute (e.g., pronto soccorso), magari anche suddivisi per patologie diagnosticate;
  • dati su incidenti stradali, già peraltro riportati nell’articolo precedente;
  • dati sulla mortalità dovuta alla mobilità, nonché dati sui diversi mezzi di mobilità di cui si può usufruire sul territorio. Questi dati potrebbero essere utili nel calcolo dell’indicatore 3.6.1 – Tasso di mortalità per incidenti stradali;
  • dati sui vaccini (per misurare l’indicatore 3.b.1 – “Percentuale della popolazione target coperta da tutti i vaccini inclusi nel loro programma nazionale”)
  • dati sull’inquinamento delle acque, che si ricollega anche a obiettivi quali l’SDG 6 di cui abbiamo già scritto, dell’aria, del suolo collegati al tasso di mortalità (questi dati potrebbero aiutare per misurare l’indicatore 3.9.2 – “Tasso di mortalità attribuito all’acqua non sicura, ai servizi igienici non sicuri e alla mancanza di igiene”);
  • dati sulle varie modalità di lavoro, anche in rapporto agli incidenti sul lavoro e alle tipologie di mobilità.

Sono già aperti questi dati? A volte capita infatti di riportare con piacere alcuni tentativi di apertura presenti nel nostro Paese, sebbene scarsamente coordinati e uniformi su scala nazionale e in certi casi di dubbia qualità. Tuttavia, su questi qui elencati si fatica a trovarne. Fanno eccezione i dati su infortuni e malattie professionali dell’INAIL, i dati statistici pubblicati dalla stessa ISTAT sulla popolazione e altri dati aperti del Ministero della Salute su dispositivi medici, medicinali e strutture sanitarie che comunque, a detta di riutilizzatori di varie comunità interessate al settore salute, risultano spesso molto aggregati e con una frequenza di aggiornamento che ne limita molto il potenziale (e questo è successo proprio durante la pandemia).

Tuttavia, a conclusione di questo articolo, due elementi positivi che sempre più spesso vengono dalle comunità di cittadini: si vuole infatti segnalare prima un progetto, promosso dalla comunità Open Data Sicilia che si chiama “informaCOVID”. Esso offre non solo un toolkit a supporto di realtà comunali nell’apertura dei dati sulla pandemia, ma anche un insieme di dataset aperti che riportano dati disaggregati a livello di comune e che presentano lo stesso schema del dataset rilasciato a livello nazionale dalla Protezione Civile.

Infine un secondo lavoro molto interessante, collegato ad alcuni dati prima menzionati, è quello che misura il livello di stress dei percorsi ciclabili di tutte le strade d’Italia. Un articolo racconta l’esperienza di due attivisti open data italiani che, partendo dal modello utilizzato da Bike Ottawa completamente aperto, e attraverso l’uso di dati aperti di OpenStreetMap, progetto mondiale libero e collaborativo per la raccolta di dati aperti geografici, hanno calcolato lo stress dei percorsi ciclabili di tutte le strade italiane. Lo stress è misurato in relazione alla strada che contiene il percorso e al rapporto con le strade che incrocia, e il risultato è la mappa delle “bici stressate dal traffico”. Non è affascinante? Qualcuno ha scritto “quante cose si possono fare con i dati”. Noi aggiungiamo “quante se ne possono fare con tanti dati e conoscenza aperta”!

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Giorgia Lodi ha conseguito il dottorato di ricerca in Informatica presso l'Università di Bologna (Italia) nel 2006. Attualmente è tecnologa presso l'Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) - Laboratorio di tecnologie semantiche (STLab). In questo contesto, è referente privacy dell’Istituto e membro di svariati gruppi europei sulla definizione della semantica dei dati. In passato ha svolto attività di consulenza per l'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID), dove ha lavorato in aree quali open government data, Linked Open Data, Semantic Web, Big Data e sviluppato la rete nazionale di ontologie per la pubblica amministrazione OntoPiA. All'interno di STLab ha coordinato e coordina ancora diversi progetti nazionali ed europei che prevedono l’apertura di dati secondo il paradigma dei Linked Open Data

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