Il futuro (sostenibile) dell’(e)commerce

Nel 2020, la possibilità abilitata dall'ecommerce di compiere acquisti davanti a uno schermo ha rappresentato una sicurezza. Cosa succederà nel prossimo futuro? Come cambieranno le abitudini d'acquisto, e quale importanza avrà la sostenibilità per i consumatori?

Immagine distribuita da Pxfuel

Nel 2020, l’ecommerce ha migliorato le vite delle persone di tutto il mondo in lockdown. La possibilità di fare shopping davanti a uno schermo ha rappresentato una sicurezza, l’opportunità di proteggere se stessi e gli altri. Ma l’ambiente? Quanto costa alla sostenibilità questo ritmo di acquisti?

Le consegne rapide e le aspettative sempre più esigenti dei consumatori insieme ad alcune abitudini di acquisto e consumo come il reso gratuito e i continui cambi (con un’incidenza, in Italia, del 13%) si rivelano spesso scelte antiambientali e influiscono anche sulla quantità di imballaggi, considerato che già normalmente il packaging dell’ecommerce costituisce il 15% del totale della plastica che consumiamo.

A questo si aggiunge che fino a prima della pandemia gli acquisti online non sostituivano le spese in negozio “fisico”, ma vi si aggiungevano. Cosa succederà nel prossimo futuro? Il 2020 è stato a tutti gli effetti il turning point delle abitudini di acquisto oltre che degli stili di vita.

Cosa è cambiato

Shopify, il quinto player dell’ecommerce mondiale, ha aggregato i dati di un milione di venditori e gli insights dei propri clienti, isolando alcune tendenze che ci accompagneranno nei prossimi anni. Il report inserisce l’Italia tra i paesi che più degli altri hanno risentito del cambio di abitudini nello shopping, insieme al Regno Unito. Un trend che riguarda tutti ma in particolare i giovani sotto i 35 anni.

Il primo aspetto evidenziato è che i consumatori acquisteranno sempre meno in negozio (solo il 57% nei prossimi sei mesi) e molto di più online (quasi l’80% degli intervistati), mantenendo però intatta la sopravvivenza del negozio fisico. Il cambiamento di rotta più significativo è quello che riguarda il digitale: secondo Shopify lo sforzo principale per mantenere stabile la loyalty dei consumatori è un approccio multicanale, una migliore comunicazione con i propri clienti, l’utilizzo dei social media, i pagamenti contactless (cresciuti del 122% rispetto al 2019) e le diverse opzioni di consegna.

I consumatori acquisteranno sempre meno in negozio (solo il 57% nei prossimi sei mesi) e molto di più online (quasi l’80% degli intervistati), mantenendo però intatta la sopravvivenza del negozio fisico

A fronte del 54% di consumatori che ha preferito la classica consegna a casa tramite spedizione cresce il numero di coloro che scelgono modalità alternative, e cioè la consegna da punti vendita locali (28%) oppure i punti di ritiro (23%). Mentre il supporto alle realtà locali rimane una buona pratica per l’economia, i punti di ritiro si rivelano sempre più importanti per la sostenibilità nel momento in cui rispettano determinate condizioni e secondo alcune variabili, come la propensione dell’utente a usare un proprio automezzo e l’ottimizzazione del viaggio per più di uno scopo, come accade quando i locker si trovano in un luogo con alta densità di negozi o all’interno di centri commerciali.

Una tendenza che si è sviluppata per la quasi totalità dei consumatori durante la pandemia e che può fare la differenza dal punto di vista ambientale a fronte di una rete di pick up points capillare, soprattutto nelle aree periferiche e rurali, dove l’ultimo miglio della catena logistica costa di più in termini di tempo, trasporti, emissioni.

Tra le nuove (buone) abitudini, c’è quella di ricercare rivenditori indipendenti e acquistare da piccoli brand o da attività appena aperte, in negozio oppure online. Si tratta più di un proposito che di un trend vero e proprio, ma la motivazione dichiarata è all’insegna dell’etica e della solidarietà: supportare le nuove imprese e l’imprenditoria locale.

Vicino, sensibile, sostenibile

Quello che i consumatori vogliono e che giudicheranno nei prossimi anni è l’attenzione dei brand alla sostenibilità dei prodotti e alle cause benefiche. Se il commercio è un’interazione più che una transazione, sempre più spesso le imprese che mettono sul mercato i loro prodotti dovranno farsi advisor di cause sociali o ambientali devolvendo parte del fatturato proveniente dagli acquisti. La responsabilità sociale d’impresa che interessa ai consumatori passa attraverso una comunicazione trasparente – in particolare per quel che riguarda i prodotti e le loro caratteristiche – e un’interazione omnichannel che non dimentica il punto vendita fisico: chissà se dopo la pandemia si confermerà il dato di FutureBrand in cui il 53% della Generazione Z preferisce comprare da marche o rivenditori che abbiano un negozio fisico oltre a quello digitale in una dimensione fluida senza confini (“phygital”).

Se il commercio è un’interazione più che una transazione, sempre più spesso le imprese che mettono sul mercato i loro prodotti dovranno farsi advisor di cause sociali o ambientali devolvendo parte del fatturato proveniente dagli acquisti

Il conversational commerce è infatti uno dei driver più importanti di questo periodo. Le vendite correlate all’uso della chat con il venditore sono aumentate, secondo l’analisi Shopify, del 185%, mentre sempre Shopify calcola che più della metà dei giovani preferiscono comprare prodotti sostenibili e green.

In questo l’Italia si colloca al primo posto tra le nazioni rappresentate, al secondo dopo la Spagna per quel che riguarda le donazioni a scopo benefico legate all’acquisto, al terzo per la tendenza a supportare l’economia locale.

La scelta di “fare la cosa giusta” viene premiata anche globalmente: dai dati Nielsen, già nel 2018 l’81% dei consumatori in tutto il mondo considerava molto importante l’attenzione delle aziende per la sostenibilità ambientale, mentre il 66% degli intervistati accettava di pagare di più prodotti sostenibili, mentre è un dato sempre più accertato che i consumatori premiano con la fiducia nel tempo le imprese più attente all’ambiente.

Il dialogo online tra chi vende e chi compra ha come argomento la sostenibilità

Su questo comune argomento conta la trasparenza. Per questo motivo è stato creato Sustainabuy che integra i dati sulla sostenibilità dei prodotti acquistati o da acquistare nell’esperienza di shopping online, calcolando l’impatto ambientale di quello che usiamo e compriamo. Una maggiore trasparenza su sostanze, materiali, produzione e packaging consente al consumatore informato di essere più consapevole del “peso” delle proprie abitudini sul pianeta.

Nella roadmap stabilita lo scorso anno dall’Environmental Defense Fund, l’ultimo punto è: “aiuta i consumatori a fare scelte sostenibili”. Ma come abbiamo visto dai recenti analytics, non sempre sono i venditori a dettare le linee guida.

Il cambiamento del mondo dello shopping è un dialogo tra venditori e consumatori e segue le due direttrici della sostenibilità e dell’innovazione digitale. Aumentano le nostre pretese rispetto a un’esperienza di shopping piena di features tecnologiche, digitali e sostenibili, mentre i rivenditori non possono ormai fare a meno di affidarsi alle risorse del digitale per tutti i loro servizi, dall’approvvigionamento alla vendita al dettaglio.

Tra i passi da fare lato sellers, prima di tutto coinvolgere anche fornitori e rivenditori in questa forma di conversazione a tema ambientale, impegnarsi ad evitare l’overstock utilizzando modelli predittivi grazie allo studio dei dati di vendita, usare quei canali – i social media – adatti alle generazioni più sensibili al tema della sostenibilità.

I vantaggi di questo approccio sono evidenti nell’employer branding: quasi il 40% dei millennials, cioè un lavoratore su 3, sceglie un posto di lavoro sulla base dell’approccio aziendale alla sostenibilità, e al suo impegno nei confronti dei valori ambientali e sociali.

E noi, gli online shoppers del ritmo pandemico? Cosa possiamo fare per ridurre l’impatto di una tendenza che crescerà a dismisura?

Riscoprire la consegna senza fretta, lo shopping di prossimità, accettare di pagare le spese di consegna da rivenditori più piccoli, restare informati su imballaggi, smaltimento, riciclo dei materiali dei rivenditori che scegliamo, evitare la politica del reso facile e gratuito.

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