Open Data per l’SDG 4: Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti

L'Agenda 2030 dedica un preciso obiettivo, il 4, a un tema fondamentale come quello dell'educazione. Come, i dati aperti, possono aiutare per questo obiettivo? Quali dati aperti possono aumentare la consapevolezza e sostenere decisioni più informate sul tema? E ancora, qual è l'attuale stato di apertura?

Immagine distribuita da Pixabay

Esce l’edizione 2021 del DESI – Digital Economy and Society Index. Tutti esultano perché sembra che l’Italia abbia “recuperato” ben 5 posizioni rispetto all’anno precedente ma poi si scopre che la metodologia è cambiata e che se avessimo applicato questa nuova metodologia l’anno scorso saremmo stati al 19° posto mentre quest’anno siamo al 20°. Forse quindi tanto bene non va, anche se il cambio di metodologia era sicuramente doveroso, per l’opinione personale di chi vi scrive. Dalla valutazione di questo indice, colpisce comunque che l’Italia continui a essere estremamente debole sulla parte capitale umano dove si posiziona al terzultimo posto davanti solo a Romania e Bulgaria. Nel capitale umano l’indice racchiude tutta una serie di competenze legate al digitale che, a quanto sembra, nel nostro paese continuano a non brillare.

Se poi proviamo a leggere i dati OCSE su analfabetismo funzionale, si dipinge un’Italia dove 1 italiano su 7 nella fascia d’età tra i 16 e i 65 anni è un’analfabeta funzionale e quindi ha difficoltà di comprensione del testo e nella scrittura. In sostanza, da un punto di vista educativo e culturale non sembra l’Italia goda di ottima salute.

Anche i dati invalsi relativi al precedente anno scolastico avevano evidenziato diversi problemi. Su questo si vuole evidenziare l’esistenza di invalsiopen dove si parla di restituire i dati degli invalsi alle scuole e si afferma che “Quest’anno il consueto appuntamento con la restituzione dei dati INVALSI è stato anticipato per favorire un più ampio utilizzo dei risultati a supporto dell’organizzazione dell’attività didattica prima dell’avvio dell’anno scolastico”. Questi messaggi sono importanti ma una domanda sorge spontanea: perché questi dati non sono bene comune e quindi disponibili come dati aperti per il riutilizzo da parte di chiunque per qualunque scopo? Del resto potrebbero esserci tanti studiosi e non interessati che, grazie al loro riutilizzo, potrebbero approfondire e analizzare meccanismi per migliorare uno dei tasselli fondamentali di uno stato che è l’educazione.

L’agenda ONU 2030, dedica un preciso obiettivo, il 4, a questo tema fin qui discusso e riporta una situazione con elementi non proprio positivi, soprattutto in paesi non avanzati. Infatti, guardando i fatti, l’agenda ci dice che “l’iscrizione nelle scuole primarie nei Paesi in via di sviluppo ha raggiunto il 91%, ma 57 milioni di bambini ne sono ancora esclusi” e ancora “Nel mondo, 103 milioni di giovani non possiedono capacità di base in lettura e scrittura, di cui oltre il 60% donne”.

Come possono aiutare i dati aperti per questo obiettivo

La disponibilità di open data, di buona qualità, poi efficacemente usati da diverse organizzazioni potrebbero aiutare in molti casi. Per esempio, si potrebbero identificare i luoghi in cui sono necessarie nuove scuole, oppure individuare quei quartieri delle città dove le scuole sono più vicine ad altri servizi di interesse dell’utenza, potrebbero essere utilizzati per valutare, pubblicizzare e infine migliorare la qualità delle scuole. Rendendo pubbliche le misure sulla qualità delle scuole, anche attraverso analisi e studi si potrebbero aiutare i genitori e gli studenti a sapere quali sono le scuole migliori e a fare pressione sulle scuole di più bassa qualità per migliorarle.

Tramite i dati aperti, per esempio, i decisori politici e le stesse scuole potrebbero capire meglio dove le risorse mancano, agendo di conseguenza per averne di più così da operare in maniera più efficiente

I dati aperti possono anche essere di aiuto per le scuole stesse. Per esempio, i decisori politici e le stesse scuole potrebbero capire meglio dove le risorse mancano, agendo di conseguenza per averne di più così da operare in maniera più efficiente. Pensate a tutte le discussioni che ci sono state nell’ultimo anno sulle misure per migliorare l’aerazione e in generale la situazione nelle scuole relativamente al contagio COVID19. Avere dati aperti puntuali su questo avrebbe aiutato tantissimo questo settore. Purtroppo non se no sono visti.

Infine, i dati aperti aprono alla cultura del dato e alla cultura complessivamente. Più esistono possibilità di accesso libero ai dati, più si possono fornire strumenti a tutti per comprendere fenomeni e quindi arricchire il bagaglio culturale. Quest’ultimo aspetto è proprio un elemento intrinseco del paradigma open data.

I traguardi dell’obiettivo 4

Come si nota dai risultati che ci si aspetta di raggiungere entro il 2030 per questo obiettivo, essi sono ancora una volta fortemente relazionati ad altri obiettivi dell’agenda (e.g., parità di genere, riduzione delle disuguaglianze per citarne solo alcuni che affronteremo, tra l’altro, nelle prossime tappe della rubrica), confermando la natura sistemica della sostenibilità: non si può agire solo per singoli obiettivi, ma bisogna analizzarli nel complesso, e in questo i dati aperti, che rompono i silos di dati, sono un valido supporto.

In particolare, i traguardi elencati dall’agenda sostenibilità sono:

  • garantire entro il 2030 a ogni ragazza e ragazzo libertà, equità e qualità dell’educazione primaria e secondaria così da portare a risultati di apprendimento che siano concreti e adeguati alle sfide della moderna società;
  • garantire entro il 2030 che ogni ragazza e ragazzo abbia uno sviluppo infantile di qualità, nonché la possibilità di accedere a cure e istruzione pre-scolastiche così da essere pronti alla scuola primaria;
  • garantire entro il 2030 a ogni donna e uomo un accesso equo a un’istruzione tecnica, professionale e terziaria, anche universitaria, che sia di qualità ed economicamente vantaggiosa;
  • aumentare entro il 2030 il numero di giovani e adulti con competenze specifiche anche tecniche e professionali per rispondere a certe richieste occupazionali, per posti di lavoro dignitosi e per incentivare anche l’imprenditoria;
  • eliminare entro il 2030 le disparità di genere nell’istruzione garantendo un accesso paritario a tutti i livelli di istruzione e formazione professionale delle categorie protette, tra cui disabili, popolazioni indigene e bambini vulnerabili;
  • assicurare entro il 2030 che tutti i giovani e gran parte degli adulti, sia uomini che donne, abbiano un certo livello di alfabetizzazione e una capacità di calcolo;
  • garantire entro il 2030 che tutti gli studenti e studentesse acquisiscano conoscenze e competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile, anche tramite un’educazione volta a uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile.

Solo leggendoli, e guardando come l’indice DESI ci dipinge soprattutto nell’ambito delle competenze più tecniche, si direbbe che anche per questo obiettivo c’è un sacco di lavoro da fare nel nostro Paese!

Nel 2020 il 27,8% dei giovani di 30-34 anni possiede una laurea o titolo terziario (34,3% delle donne e 21,4% degli uomini), una quota che si mantiene stabile negli ultimi 3 anni. Il livello rimane tra i più bassi d’Europa

Questo giudizio sembra confermato dai dati, che è quello che ci piace guardare. Dal solito rapporto ISTAT emerge che: “Nel 2020 il 27,8% dei giovani di 30-34 anni possiede una laurea o titolo terziario (34,3% delle donne e 21,4% degli uomini), una quota che si mantiene stabile negli ultimi 3 anni. Il livello rimane tra i più bassi d’Europa.” E ancora, “L’Italia con il 15,1 per mille di individui di 20-29 anni laureati STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) è sotto la media europea di circa 4 punti per mille nel 2018.” e “Anche per le competenze digitali l’Italia mostra un ritardo rispetto alla Unione Europea: nel 2019 soltanto il 41,5% possiede competenze digitali almeno di base (in Ue27 sono il 56%), con quote fortemente differenziate per età e per sesso”.

In tutto questo il COVID19 non ha aiutato, infatti anche il monitoraggio delle Nazioni Unite dice che prima della pandemia appariva già chiara la lentezza complessiva nel raggiungere i traguardi fissati per questo obiettivo, ma la pandemia ha ulteriormente peggiorato la situazione con “Cento milioni di bambini in più rispetto al passato che non riescono a dimostrare le capacità di lettura di base.

Quali dati aperti per aumentare consapevolezza e prendere decisioni più informate sul tema?

Provando come sempre a fare una lista non esaustiva di possibili dati aperti da fornire su scala nazionale, con adeguato livello di qualità e quindi costantemente aggiornati, metadatati e in grado di rispettare tutti i principi FAIR (Findabale, Accessible, Interoperable e Reusable), questa potrebbe essere come segue:

  • tutti i dati sugli invalsi; si tratterebbe di renderli aperti a tutti e non solo “restituirli alle scuole”. Questo dato può contribuire al calcolo dell’indicatore 4.1.1 – Percentuale di bambini e giovani: (a) con livello Isced 2/3; (b) alla fine della scuola primaria; e (c) alla fine della scuola secondaria inferiore che raggiunge un livello di competenza minima in lettura e matematica, per sesso;
  • tutti i dati anagrafici sulle scuole e i relativi servizi offerti. Questi dati potrebbero aiutare a identificare dove sono localizzate le scuole, valutando le aree più scoperte e potrebbero alimentare il monitoraggio dell’indicatore 4.a.1 – “Percentuale di scuole che offrono servizi base per tipo di servizio”;
  • tutti i dati sugli studenti delle scuole per sesso ed età;
  • tutti i dati aggregati per sesso ed età del personale delle scuole. Questi dati potrebbero contribuire al calcolo dell’indicatore 4.a.1;
  • tutti i dati sull’edilizia scolastica per comprendere i livelli di sicurezza e di accessibilità delle nostre scuole. Anche questi dati possono contribuire al calcolo dell’indicatore 4.a.1 precedentemente menzionato;
  • tutti i dati, anche statistici, relativi al numero di studenti e studentesse che frequentano specifici percorsi di formazioni nell’ambito delle STEM. Questi dati potrebbero aiutare per l’indicare 4.4.1 – “Percentuale di giovani e adulti con competenze nell’informazione e della comunicazione (ICT), per tipo di competenza”;
  • tutti i dati sulle competenze digitali aggregati per sesso ed età. Questi potrebbe misurare il livello di raggiungimento dell’indicatore 4.4.1 ma anche dell’indicatore 4.3.1 – Tasso di partecipazione di giovani e adulti all’istruzione e alla formazione formale e non formale nei 12 mesi precedenti, per sesso;
  • tutti i dati sulle ricerche scientifiche in questo settore, perché anche i dati scientifici aperti possono contribuire a migliorare la ricerca e ad analizzar al meglio le varie situazioni;
  • tutti i dati su investimenti da operare anche nel contesto del PNRR in questo settore.

Come ricordato nel precedente articolo, che ha analizzato l’obiettivo 8, anche in questo caso sarebbe strategico rendere aperti questi dati con un certo livello di disaggregazione per età, origine e sesso, anche per cogliere gli elementi di equità che i traguardi prima elencati ci impongono.

Stato di apertura

Molti dei dati, ma non tutti, sopra descritti sono aperti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca attraverso il portale unico dei dati sulla scuola e attraverso la sezione di statistica del ministero. Per esempio quelli sulle anagrafiche delle scuole, sul personale, sugli studenti e sull’edilizia scolastica si trovano in questo sito, anche sotto forma di Linked Open Data, interrogabili attraverso uno SPARQL endpoint.

Sarebbe auspicabile uno sforzo maggiore, magari ripensando anche i processi di raccolta che abbiano frequenze di aggiornamento diverse, più puntuali grazie proprio al paradigma dei dati aperti da utilizzare nell’interscambio tra pubbliche amministrazioni

Tuttavia, in molti casi sono dati riferibili a un periodo temporale passato, 2015, 2016, 2018, limitando così le possibilità di analisi. Questo fenomeno accade molto spesso nel contesto dei dati aperti, è bene rilevarlo. Sarebbe auspicabile uno sforzo maggiore in questo senso, magari ripensando anche i processi di raccolta che abbiano frequenze di aggiornamento diverse, più puntuali grazie proprio al paradigma dei dati aperti da utilizzare nell’interscambio tra pubbliche amministrazioni, per esempio.

Inoltre, già in passato erano emerse lamentele sulla qualità dei dati, in particolare dei Linked Open Data, offerti da questo sito.

In pratica, va bene pubblicare dati aperti, ma come ripetiamo ormai allo sfinimento in tutti gli articoli, non basta solo mettere dei dataset sul Web. Bisogna curarne in maniera maniacale ogni aspetto di qualità e far seguire opportune azioni a seguito dello studio di quei dati. Solo così si potrà veramente avere un impatto dal paradigma che raccontiamo in questa rubrica per tutti i temi che trattiamo.

Un’iniziativa lodevole di apertura dei dati, sebbene focalizzata sull’alta educazione, comunque pertinente per l’obiettivo 4, è quella offerta dalla Regione Toscana attraverso il sito Toscana Open Research. Il progetto consente di esplorare i linked open data pubblicati sia attraverso un’infografica ricca di elementi sia mediante interrogazioni fatte direttamente ai dati con lo SPARQL endpoint messo a disposizione. Un modello comune di rappresentazione dei dati è poi utilizzato per armonizzare la semantica dei dati.

Per concludere, nell’elenco di possibili dati prima elencati si sono introdotti anche quelli relativi a investimenti sulle scuole, e sull’educazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Abbiamo veramente bisogno di avere dati aperti a tutti, per il libero riutilizzo su uno strumento così importante come quello del PNRR ma purtroppo non ci sono e quando alcuni vengono spacciati per open data che non sono, sono anche di una qualità talmente bassa che poi organizzazioni come Openpolis, che abbiamo già incontrato nella nostra rubrica, arrivano a pubblicare articoli di accusa importanti e significativi. È una cosa piuttosto grave, sempre a proposito di qualità.

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