Lavoro agile e obiettivi di sviluppo sostenibile: promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico (SDG 13)

Il tema del cambiamento climatico investe molte dimensioni e linee di intervento, con influenze dirette ed indirette da parte di fattori diversi che richiedono azioni multisettoriali e non limitate alle cornici nazionali. In questo quadro di estrema complessità, è possibile tentare di individuare i possibili impatti del lavoro agile nel contribuire al raggiungimento dell’obiettivo del contrasto al climate change

Immagine distribuita da PxHere

La sida rappresentata dal cambiamento climatico del pianeta (il cosiddetto climate change) costituisce uno dei temi di enorme rilevanza per lo sviluppo delle nostre società, che coinvolge scienziati, movimenti per l’ambiente, il mondo dell’industria e della produzione, la politica, sia a livello nazionale, sia, soprattutto, sul piano internazionale. Come ricordano le Nazioni Unite, per cambiamenti climatici si intendono i cambiamenti a lungo termine delle temperature e dei modelli meteorologici. Tali cambiamenti, seppure ricorrenti in maniera naturale, sembrano essere stati decisamente accentuati a partire dal XIX secolo, con l’incremento geometrico del volume delle attività e della combustione di combustibili fossili come il carbone, il petrolio e il gas, che genera emissioni di gas a effetto serra che agiscono come una coltre avvolta intorno alla Terra, trattenendo il calore del sole e innalzando le temperature. Proprio recentemente, peraltro, il premio Nobel Giorgio Parisi ha ricordato con forza che il cambiamento climatico non aspetta e che se la scienza avverte, la politica ha il dovere di muoversi e trovare soluzioni sostenibili. 

 Nel discorso di Ursula von der Leyen sullo stato dell’Unione per il 2022, la Presidente della Commissione europea ha sottolineato come la sfida climatica sia cruciale e che l’Ue “insisterà per un ambizioso accordo globale per la natura in occasione della conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità, che quest’anno si svolgerà a Montreal”, lavorando in tale direzione anche per la COP27 di Sharm el-Sheikh. I dati messi a disposizione dal Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change) presentano, infatti, un quadro preoccupante, passando in rassegna i devastanti impatti conseguenti al fenomeno del cambiamento climatico (come, ad esempio, l’aumento del livello dei mari, dovuto allo scioglimento dei ghiacci, e l’incremento della frequenza di eventi atmosferici estremi) e richiedendo l’adozione di diverse misure tecnologiche, una radicale modifica del comportamento umano, e una spinta al cambiamento istituzionale. 

 L’obiettivo di sviluppo sostenibile numero 13 dell’Agenda 2030 dell’ONU intende promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico (Take urgent action to combat climate change and its impacts), avendo la stessa Agenda individuato il cambiamento climatico come una delle sfide più grandi della nostra epoca, anche alla luce del suo impatto negativo sulle capacità degli stati di attuare uno sviluppo sostenibile e dichiarato a chiare lettere che “la sopravvivenza di molte società e dei sistemi di supporto biologico del pianeta è a rischio”. 

 Il Rapporto dell’ASviS-Alleanza per lo sviluppo sostenibile del 2021, in riferimento al Goal 13, condivide le preoccupazioni espresse nei diversi fora internazionali, con proposte chiare e radicali che prevedono, ad esempio, l’anticipazione del divieto di commercializzazione autoveicoli con motori a combustione, favorire la chiusura delle centrali a carbone dal 2025, definire un Piano per l’istruzione e la sensibilizzazione al cambiamento climatico, attraverso media, scuole, istituzioni culturali e assumere gli impegni internazionali sul contrasto ai cambiamenti climatici e sulla perdita di biodiversità come linea guida delle politiche nazionali, in modo da orientare la trasformazione del sistema produttivo nel perseguimento del benessere sociale e dell’interesse delle future generazioni. 

 Come appare di tutta evidenza, il tema del cambiamento climatico investe molte dimensioni e linee di intervento, con influenze dirette ed indirette da parte di fattori diversi che richiedono azioni multisettoriali e non limitate alle cornici nazionali. Pure in questo quadro di estrema complessità, è possibile tentare di individuare i possibili impatti del lavoro agile nel contribuire al raggiungimento dell’obiettivo del contrasto al climate change. È di immediata intuitività, ad esempio, che ridurre o limitare il numero delle persone che si recano quotidianamente sul posto di lavoro alleggerisce in maniera diretta il livello dell’inquinamento in relazione al minor volume di autoveicoli in circolazione. Uno studio della IEA (International Energy Agency) del 2020 ha dimostrato, in proposito, che per tutte le persone che devono coprire più di 6 chilometri per raggiungere il proprio posto di lavoro in auto, il lavoro da remoto è positivo per l’ambiente, nonostante l’energia consumata presso la propria abitazione, posto che, secondo una stima dell’Agenzia, un quinto di tutti i lavori a livello globale potrebbe essere svolto tranquillamente da casa o, in ogni caso, fuori dall’ufficio. In un piano in 10 punti per il risparmio di petrolio, l’Agenzia rileva che lavorare da casa fino a tre giorni a settimana porterebbe ad un risparmio di circa 500,000 barili al giorno e 80 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno. 

 Secondo uno studio europeo del 2021 di Carbon Trust, inoltre, un utilizzo adeguato dell’istituto del lavoro agile potrebbe permettere all’Italia risparmiare fino a 8,7 megatonnellate di CO2 equivalente all’anno, pari a 60 milioni di voli da Londra a Berlino e, per ogni persona che lavora da remoto in Italia, hanno calcolato i ricercatori, il risparmio sarebbe equivalente a oltre una tonnellata (1.055 kg) di CO2, includendo le emissioni legate al pendolarismo, all’assenza dagli uffici e a ulteriori emissioni domestiche. Secondo lo studio, inoltre, circa 8,23 milioni di posti di lavoro (36%) in Italia potrebbero essere gestiti da remoto e si prevede che le persone in media lavoreranno da casa circa due giorni alla settimana. 

 Da questo punto di vista, sono in particolare due i target dell’obiettivo 13 che sembrano poter costituire spazi di applicazione e diffusione di strategie legate al lavoro da remoto: il traguardo13.2 (“Integrare le misure di cambiamento climatico nelle politiche, strategie e pianificazione nazionali”), che può rappresentare la base per l’implementazione di politiche nazionali tese a consolidare l’utilizzo, nel settore privato e in quello pubblico, di lavoro agile in formato ibrido remoto/presenza; il traguardo 13.3 (“Migliorare l’istruzione, la sensibilizzazione e la capacità umana e istituzionale per quanto riguarda la mitigazione del cambiamento climatico, l’adattamento, la riduzione dell’impatto e l’allerta tempestiva”) per quanto riguarda, ad esempio, il possibile inserimento della diffusione dello smart working dei Piani Nazionali di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC). 

 Occorre, tuttavia, fare una riflessione più ampia. Secondo uno studio dell’Harvard Business Review, il lavoro da remoto presenta taluni aspetti ambigui per quanto riguarda i vantaggi per l’ambiente: l’impatto in termini di sostenibilità, infatti, pare non dipendere esclusivamente dall’abbattimento degli spostamenti in autoveicoli inquinanti (elemento certamente rilevante), ma anche dal comportamento dei lavoratori in termini di viaggi, utilizzo dell’energia, strumentazione informatica e gestione dei rifiuti prodotti. Ad esempio, a fronte di una diminuzione degli spostamenti per lavoro, può verificarsi un aumento dei viaggi nel tempo libero o di spostamenti brevi non legati al lavoro; in corrispondenza dell’incremento di ore lavorate in remoto può registrarsi un aumento considerevole dell’utilizzo della posta elettronica e della rete, con un impatto negativo in termini di inquinamento da produzione di CO2; la maggior diffusione del lavoro da remoto può comportare un maggiore impegno dei datori di lavoro nel fornire i lavoratori di strumentazione informatica, magari duplicando il numero di macchine a disposizione, conseguentemente aumentando il già consistente volume di “spazzatura elettronica” (e-waste); senza contare, infine, che i lavoratori da remoto possono contribuire ad aumentare i consumi in termini di consumo energetico privato (riscaldamento, elettricità, acqua) rispetto alla presenza in ufficio con sistemi centralizzati.  

 Insomma, se appare chiaro e adeguatamente quantificato il contributo positivo e immediato dello smart working in termini ambientali, con un enorme potenziale per il risparmio di CO2, nel medio e lungo periodo non tutto sembra così lineare. Diventa fondamentale, allora, un’ analisi delle situazioni concerete e dei modelli organizzativi adottati dalle diverse organizzazioni per identificare le possibili inefficienze che spingano all’aumento dei consumi. Ad esempio, il lavoro agile può/deve non essere realizzato solo a casa: in caso contrario, i luoghi di lavoro organizzati a pieno regime energivoro mentre sono occupati solo parzialmente o saltuariamente nel corso della settimana (magari non articolati attraverso postazioni di co-working a rotazione) potrebbero portare a un aumento complessivo delle emissioni di carbonio. Se si pensa, inoltre, alle nostre città (se ne è parlato a proposito dell’obiettivo di sviluppo sostenibile 11 in materia di habitat urbani), la minor presenza in strada di autoveicoli privati a fronte dell’utilizzo diffuso del lavoro da remoto non può non accompagnarsi a strategie più ampie tese a ripensare l’ambiente cittadino e urbano attraverso pedonalizzazioni o realizzazione di spazi ciclabili, adozione di riorientamento dei centri di gravità per realizzare la ormai nota “città dei 15 minuti” o, ancora, sviluppare reti di trasporto pubblico moderne e sostenibili, al riparo di quelli che sono stati definiti gli impatti ambientali nascosti. 

 Il caso della lotta al cambiamento climatico rende dunque ancora una volta evidente, come si è visto a proposito dell’obiettivo in materia di eguaglianza di genere o di quello sul lavoro dignitoso, che lo smart working, quale strumento di gestione dell’attività lavorativa all’interno delle varie organizzazioni, si presenta come leva di cambiamento con implicazioni diverse e interlacciate e che, se offre un proprio specifico contributo al raggiungimento di molti degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, tale apporto va necessariamente calibrato sulle situazioni concrete e sulle esigenze del lavoratore e dell’azienda/organizzazione. Occorre, in altri termini, essere consapevoli dei possibili effetti indesiderati rispetto ai diversi risultati attesi, posto che non esistono ricadute necessariamente simili in contesti diversi. Gli effetti generalmente positivi dell’adozione di misure che implementino e diffondano regimi di lavoro agile, dunque, vanno valutati caso per caso e accompagnati da un approccio più generale in termini di sostenibilità, così da ampliarne e valorizzare le ricadute. 

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