L’#AgendaDigitale è morta? Evviva l’Agenda Digitale!

In Italia esiste un brutto vizio: si prende un tema “di moda” e se ne parla. Se ne parla. Se ne parla. Se ne parla pur non facendo nulla di concreto, o quasi. Se ne parla così tanto, talvolta per mesi, a volte per anni, da svuotarlo di ogni significato reale. Se ne parla così tanto, nella completa inazione, da renderlo indigesto. Da arrivare a disgustare chi se ne interessa e da far pensare a chi non se ne occupa quotidianamente di parlare di qualcosa di concreto quando in realtà si sta parlando, il più delle volte, di quella che i giornalisti chiamano “fuffa”: ossia, appunto, del nulla.

agendaSuccede in tutti i campi (ne sa qualcosa chi corre dietro all’abolizione delle provincie). Ma nel digitale succede con forse maggiore forza. Sta succedendo, ad esempio, con l’Agenda Digitale. Il nulla di fatto degli anni passati sta diventando un’ottima scusa per superare il problema senza averlo mai affrontato nella realtà. L’inefficacia dell’azione governativa passata diviene scusa che giustifica l’inazione attuale, perché tutto è difficile, tutto è complesso e – in ultima analisi – la colpa è sempre di qualcun altro (il sistema, la burocrazia, i predecessori, le cavallette, le scie chimiche, i cattivi). E le discussioni inevitabilmente convergono versoapprocci ombelicali, in cui il problema del digitale in Italia si riduce a statuti da approvare, tavoli da nominare, cabine di regia da attivare. Sempre in attesa del salvatore della patria, che ovviamente, non arriva mai. Non arriva perché non serve (né c’è) un salvatore della patria, ma serve (e c’è) la necessità di concepire un sistema nuovo e diverso di governance della “riforma digitale” del nostro Paese.

Ma che il digitale in realtà interessi poco, (o, meglio, che non se ne capisca l’interesse per il Paese), è un fatto. Solo un tema marginale riesce ad essere imbrigliato con così tanta semplicità da pastoie burocratiche prima e poi da dispute interne in confronto alle quali le liti di condominio sembrano alta diplomazia. Solo un tema del quale non si comprendono davvero gli impatti economici è lasciato a gruppi che più che think tank sembrano riunioni degli ex-amici del quartierino in cui le competenze vengono talvolta misurate con il Klout Score. Solo attorno a tavoli che in realtà interessano quattro gatti il livello del confronto (e dello scontro) può scendere a livelli così bassi come quelli ai quali si è assistito negli ultimi mesi. E solo un tema del quale sfuggono le reali implicazioni può essere così facilmente mistificato e trattato con leggi inutili e talvolta persino dannose senza che nessuno sappia, possa o voglia dire nulla.

E così pian piano, dopo aver parlato per anni di Agenda Digitale, alcuni di quegli stessi benpensanti che ne avevano predicato la necessità in passato dall’esterno del sistema, oggi che del sistema fanno parte iniziano a cambiare idea. Che tutto sommato di Agenda Digitale non ce n’è bisogno. Che è un tema vecchio: fuori moda. Insomma: quelli che prima erano i “buoni” cominciano a comportarsi da “cattivi”, ed allora tocca cominciare a stare molto, molto attenti ai buoni.

Tutti si attaccano (dopo averli criticati) ai tre punti di Francesco Caio, recitandoli come un mantra mandato a memoria, dietro al quale non c’è nulla. Senza capire che quei tre punti non sono punti di arrivo, ma di partenza. Senza comprendere che quei tre punti rappresentano il minimo sindacale per il Paese. Senza afferrare il fatto che quei tre punti non risolveranno il problema dell’economia digitale, ma consentiranno di iniziare ad affrontarlo.

Mai come ora, quindi, abbiamo bisogno di Agenda Digitale. I tre punti del Piano Caio non sono una strategia per il digitale, ma una tattica che ci consente di iniziare a poter affrontare il vero problema: che digitale per l’Italia? O meglio, come supportare il digitale perché il digitale supporti la ripresa e lo sviluppo del nostro Paese?

La risposta è politica. Ma la politica non se ne preoccupa, e questo è il nostro primo problema.

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