C’è da aspettarsi un bel botto sul Digital. In positivo.

Nel magico e fuffoso mondo dei Social/Digital/Interactive Media, si fa sempre più nelle aziende strada un paio di consapevolezze, di quelle da togliere il sonno.

La prima: il digital “is here to stay” e ha effettivamente un impatto su come comunichiamo, come siamo percepiti. Ha un effetto non solo “sul branding” (uno di quegli immateriali fondamentali per la salute dell’azienda, ma di cui in tempi di crisi tanti ritengono di poter trascurare per concentrarsi sull’hard selling). Ha invece anche un effetto sulle vendite, sulla bottom line.
La seconda: Se fatto bene, il digital ha un ROI molto più elevato rispetto a tanti altri modi più classici di comunicazione. Il che non vuol dire che costi poco; a fare le marchette quick and dirty si spende poco ma si ottiene poco, e si devasta la marca.
Quindi, conseguenza di a + b, c’è chi ha deciso che è ora di smettere di parlare e di giocare; quando il gioco si fa duro… entrano in campo i giocatori grossi e spiaccicano chi gli si para davanti.

Due affermazioni significative dalla nave scuola del marketing

Queste mie affermazioni non sono derivanti da una visione ideologica o perché voglio fare il guru pro domo mea; ma dall’esperienza, diretta o indiretta di quello che succede sul campo.
Per andare sul pratico, un esempio per tutti; prendendo una delle più grandi navi scuola del Marketing, quella Procter and Gamble che da sempre è presa ad esempio e viene spesso imitata dalle altre aziende (quindi, in ambito corporate e Blue Chip, è un trend setter).
Sul punto del ROI, il CEO dell’azienda ha semplicemente annunciato 1600 licenziamenti e una rivisitazione del budget pubblicitario – visto che, quando le cose sono fatte bene sul digitale, i ritorni sugli investimenti sono molto più elevati (immagino che i 1600 licenziamenti non siano previsti in fabbrica, ma sul fronte dei comunicatori tradizionali aziendali?).
Quindi possiamo aspettarci un sempre maggior impegno di P&G sul fronte digital/Social. E se lo fa Procter, centinaia di altre aziende si convincono e imitano.
Poi arriva una seconda dichiarazione procteriana che è apparentemente figlia della prima. Dopo un periodo in cui può essere che i successi arrivino per caso… o perché si decide di rischiare e sperimentare, arriva il momento di passare dal sentire la temperatura dell’acqua a quello in cui si nuota.
Poi è solo una questione di tempo per imparare le lezioni e trarre delle regole generali, che diventano poi le leggi di una certa branca del marketing, o della scienza.

Per tagliare i costi, bisogna costruire relazioni

In dettaglio, il capo del marketing P&G (più correttamente, il global marketing and brand building officer) ha sottolineato l’obiettivo dell’azienda a ridurre i costi delle vendite, costruendo relazioni più strette con i clienti attraverso i canali digitali. Costruendo delle relazioni one to one, che durino tutta la vita, con ogni persona nel mondo.

In sostanza di passare da un ottica di “digital marketing” ad un’ottica di brand building (oh, guarda) nel mondo digitale. Il che avrà come conseguenza che “Technology will mean that people will increasingly expect brands to understand their unique needs and deliver.”
Come conseguenza, adottare dei cambiamenti fondamentali nel modo in cui l’azienda opera. Tanto per cominciare, ridurre l’impegno nel “broadcasting” (leggi pubblicità) per focalizzarsi sulla crezione di conversazioni più personali con le persone. Per creare una maggiore fedeltà. E ridurre i costi (di comunicazione) associati ad ogni vendita.
Dove non penso proprio si intenda dire massacrare i budget per spendere il meno possibile, ma spendere bene. Magari seguendo il consiglio di Google, secondo cui “Brands should reward Value, not costs”.

A questo punto mi sa che tocca a tutti farsi qualche domanda e darsi una qualche risposta…

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