In questo post voglio raccontarvi la storia un po’ diversa da quelle che avete letto finora qui su Smart Law: un modo non di usare l’informatica nella Giustizia, ma di procurarselo e gestirne lo sviluppo, nello stesso contesto. La Corte Suprema Federale Svizzera è il Tribunale di rango più elevato di quel paese, che come tutti sanno è da sempre avverso a libero mercato e iniziativa privata.
La Corte ha una politica di adozione di standard informatici aperti dal 2001. Nel corso degli anni ciò ha portato all’uso di diversi programmi e sistemi informatici Open Source. L’email si scrive e legge con programmi come Thunderbird o Evolution. I dipendenti della Corte non usano suite da ufficio proprietarie da più di dieci anni, avendo adottato prima StarOffice e, dal 2010, OpenOffice. Ancora più importante è il fatto che quelle suite non vengono usate per rimanere dipendenti da formati proprietari come .docx o .xlsx: la Corte utilizza per i suoi file lo standard aperto internazionale OpenDocument.
L’uso di formati, standard e software aperti non è nato per caso, o per iniziative personali. Le strategie ufficiali della Federazione Elvetica raccomandano lo sviluppo collaborativo di software nelle istituzioni nazionali, per ridurne i costi. La Corte Suprema ha interpretato queste linee guida in due modi. Il primo è usare sì software Open Source, ma solo quando sia almeno altrettanto efficace di quello proprietario. La scelta dei programmi già citati è quindi un’autorevole conferma di quanto può essere buono il software libero e aperto.
L’altro punto, ancora più interessante, è che la Corte ha sviluppato, e se necessario ancora sviluppa, software in proprio, ma lo pubblica con licenze Open Source standard (GPLv3), perché “bisogna cercare sinergie, non far reinventare la stessa ruota a ogni tribunale”. L’esempio più importante di questo approccio è OpenJustitia, il sistema Open Source sviluppato dalla Corte per l’archiviazione delle sentenze e di tutti gli altri documenti legati a ogni procedimento.
OpenJustitia è interessante prima di tutto come esempio dei motivi seri per cui si sceglie o sviluppa software Open Source. Mentre i dirigenti informatici della Corte sono convinti anche dei vantaggi economici, la spinta principale per sviluppare software in proprio ma Open è stata un’altra. Nel 2005, il progetto venne avviato semplicemente perché non c’era software proprietario che facesse proprio quello che serviva alla Corte, o che si potesse (far) adattare senza spendere ancora di più.
OpenJustitia è composta di sei moduli. Quello base, chiamato Doc, fornisce le funzioni essenziali di ricerca e gestione documentale. Fra gli altri, i più interessanti sono Norm, Anom e Spider. Norm riconosce le citazioni di leggi e decreti nelle sentenze, trasformandoli in link ai relativi testi. Anom nasconde automaticamente tutti i dati sensibili nelle copie dei documenti che vengono pubblicate online o distribuite a terzi. Lo Spider integra banche dati legali esterne nel database principale di OpenJustitia.
I componenti software principali di OpenJustitia sono tutti pezzi da novanta del mondo Open Source: Alfresco (gestione documentale), Java J2EE (integrazione e processing), Apache Lucene (indicizzazione) e PostgreSQL (database). Usare queste tecnologie, già mature e affermate a livello mondiale proprio perché aperte, ha portato fin dall’inizio almeno due vantaggi: il primo è aver ridotto moltissimo la mole di lavoro. Se i programmatori della Corte avessero dovuto scrivere applicazioni del genere da zero, anzichè modificare come volevano (cosa impossibile o quasi, con licenze proprietarie) prodotti esistenti, sarebbero ancora a “Carissimo amico”. Anche la manutenzione a lungo termine risulta più semplice. Se uno sviluppatore di OpenJustitia lascia la Corte, trovarne un altro con le competenze adatte sarà più facile, anche fra diversi anni, che se si fosse trattato di software proprietario, magari di un’azienda non più esistente.
Aver lavorato fin dall’inizio in ottica Open ha anche altre conseguenze positive per la Svizzera in generale. La licenza GPL garantisce che il software rimanga a disposizione di chiunque voglia lavorarci. Inoltre “il Dipartimento di Informatica della Corte Federale non ha intenzione di diventare un nuovo fornitore di servizi IT e non si porrà in concorrenza sul mercato con fornitori privati. Tutti i servizi di integrazione di OpenJustitia nelle reti di altri suoi utenti verranno forniti da aziende private non appena le relative competenze saranno state trasferiti ai membri della Community*”
La Community in questione, che ha avuto il suo primo meeting ufficiale a ottobre 2012, conta già tredici membri fra aziende private e amministrazioni cantonali. L’attività si svolge in maniera aperta secondo poche, semplici regole (le linee guida ufficiali hanno 6 (sei!) pagine!), che non garantiscono alla Corte Federale il controllo assoluto, almeno in futuro.
In altre parole, è proprio e solo per aver voluto un sistema Open Source che oggi la Corte può permettersi di “liberarsi” di OpenJustitia, cioè di condividere con altri le spese del suo mantenimento, con modalità benefiche per il mercato del lavoro nazionale e senza interruzioni di servizi. Questo, nelle intenzioni dei responsabili del progetto, favorirà anche l’uso di OpenJustitia al di fuori dei Tribunali, per esempio in studi legali o facoltà di Legge.
Copiare OpenJustitia? Come?
OpenJustitia non nasce nè gratis nè dal nulla, essendo uno dei frutti più recenti della strategia di lungo termine descritta a inizio post. Il suo codice sorgente è scaricabile da chiunque ma, quasi certamente, non potrebbe essere utilizzato in Italia senza parecchi adattamenti. Il successo di OpenJustitia mostra comunque che sarebbe “smart law” copiare, se non proprio il software, almeno il modo di gestirlo. Farlo non sarebbe nemmeno una rivoluzione. In fondo, cos’è OpenJustititia se non una storia riuscita di e su quel riuso del software nelle Pubbliche Amministrazioni che noi in Italia diciamo di volere da anni?
*Da una presentazione inglese di OpenJustitia fornita all’autore dagli sviluppatori
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