#ConnectedCar e retinopatia ipertensiva: i 5 elementi che le aziende devono tener d’occhio

La retinopatia ipertensiva è un danno alla retina che è causato dall’ipertensione: in condizioni di forte pressione sanguigna si può arrivare addirittura ad avere una visione distorta delle cose, un annebbiamento che altera la corretta percezione degli oggetti e degli ambienti che cerchiamo di osservare, fino ad arrivare a emorragie e cefalee nei casi più gravi.

Questa “patologia” però può non interessare solo il corpo umano, ma potrebbe, in senso lato, essere anche una affezione di ecosistemi che, in fase di crescita, soffrono di iperattività: anche il mercato delle Connected Car in questo momento sta conoscendo una situazione di forte “pressione”, con una crescita che denota un grande entusiasmo da parte di tutti i soggetti della filiera: secondo Cisco negli Stati Uniti il 35% di tutte le nuove auto sono già dotate di unità di connettività al loro interno e per il 2020, la proiezione è di salire all’80% negli Stati Uniti, al 50% in Europa e al 30% nel resto del mondo.

Gli esperimenti che le aziende stanno compiendo in questo contesto sono molto interessanti: sempre Cisco ad esempio, in collaborazione con General Motors, ha intenzione di “far dialogare” le berline Cadillac CTS (previste per il 2017), garantendo un flusso di dati grazie ad una particolare banda che non può subire interferenze di alcun tipo. Le implicazioni sono numerose: la tecnologia consentirà di evitare collisioni e incidenti, di condividere informazioni sulle posizioni dei veicoli, sulla loro velocità, sullo stato di frenata e avvertire i conducenti dei possibili rischi.

Il caso non è isolato: anche Fiat, da tempo, ha pensato di connettere i propri veicoli e nella prossima 500, come riportato dal Sole 24 Ore, “non mancheranno i collegamenti con i propri account Facebook e Twitter per restare sempre in contatto con i propri amici”; contatti non confermati per lo sviluppo delle auto connesse anche tra BMW ed Apple, mentre Google sta utilizzando veicoli della Lexus per i test del suo sistema di auto connesse senza conducente; anche il mercato orientale non rimane a guardare e Alibaba ha da poco sottoscritto una partnership con SAIC Motors, il più grande produttore di autoveicoli della Cina.

Il problema però è un altro: con tutta questa “pressione arteriosa” e ipertensione entusiastica, il mercato delle connected car non rischia di subire danni da retinopatia ipertensiva? Traducendo, gli attori della filiera non corrono il pericolo di avere una visione distorta su come sviluppare le connected car e, annebbiati dall’“ipertensione” dei mercati, di non riuscire a osservare e controllare in modo obiettivo tutti gli elementi per la loro corretta industrializzazione?

Il rischio c’è ed è altissimo. Noi abbiamo identificato cinque elementi chiave che gli attori della filiera dovrebbero tener d’occhio per non perdere di vista il quadro generale:

  1. Partnership: la produzione delle connected car necessita della capacità di integrare elementi e caratteristiche che richiedono competenze ed esperienze molto differenti tra loro. Cisco e General Motors, come visto, hanno unito le forze proprio allo scopo di combinare il know how per permettere la connettività delle auto, ma questo è solo un esempio che può estendersi a tutte le aziende che compongono la filiera produttiva: dalle aziende che si occupano di automotive, le aziende produttrici di terze parti, alle OTT, passando per le aziende di telecomunicazioni.
  2. Connettività e costi per l’utenza: qual è il modo migliore per collegare la macchina alla rete? Le soluzioni di connettività “embedded” potrebbero fornire connessioni qualitativamente elevate, ma alcuni consumatori preferiscono connettere lo smartphone all’auto per avere accesso ai propri contatti o comunque utilizzare una SIM mobile; inoltre ci sarà sicuramente un prezzo da pagare per la il traffico dati dell’auto: i consumatori accetteranno di pagare la connessione anche per la macchina? Come nota Forbes, servirà ripensare i modelli di business.
  3. Normative: le implicazioni delle norme nella produzione delle connected car non sono poche. In primo luogo, la questione della privacy e gli obblighi che le società dovranno rispettare nei confronti dei propri clienti: i dati generati dall’utilizzo delle connected car rientrano nella classificazione dei “dati personali”; in che modo i guidatori e i passeggeri di un’auto dovranno dichiarare il consenso al trattamento dei dati? Oppure, di chi è l’effettiva proprietà dei dati e come potranno essere utilizzati? Inoltre, c’è la possibilità che le aziende di automotive dovranno applicare le norme per le telecomunicazioni alle connected car in tutti i paesi in cui sono vendute, ma si tratta di una frammentazione legislativa complessa perché gli adempimenti (oltre ad essere onerosi) sono molto diversi da paese a paese.
  4. Standard: in Europa, due organismi per la standardizzazione, ETSI e CEN, hanno confermato che l’identificazione degli standard di base per la comunicazione delle connected car (richiesta da parte della Commissione Europea) è stata completata. L’identificazione degli standard renderà possibile un ecosistema integrato per la comunicazione tra i veicoli e le infrastrutture stradali: come recita un comunicato dell’UE in proposito, sarà possibile, ad esempio, che “un messaggio venga proiettato sul parabrezza, il quale segnalerebbe un incidente che è appena accaduto nelle vicinanze”. In sostanza, chi progetterà i veicoli connessi, dovrà rispettare gli standard se vuole davvero che il suo prodotto interagisca con un ecosistema stradale integrato e connesso.
  5. Sicurezza: quali sono le implicazioni delle connected car nel mondo dell’hacking? Il flusso di dati che emerge dai veicoli connessi è destinato ad attirare una vasta gamma di criminali informatici, che avranno un nuovo allettante ecosistema da sfidare. Proprio di recente, Pierluigi Paganini ha raccontato di come due noti hacker, Charlie Miller e Chris Valasek, siano riusciti a prendere il controllo di una Jeep Cherokee in autostrada: in questo caso era soltanto una dimostrazione controllata, ma se gli hacker avessero avuto altri scopi ben peggiori? Infine, per quanto riguarda la sicurezza stradale ci sono ancora molti interrogativi: proprio qualche giorno fa si è verificato, infatti, un incidente con il prototipo della Google Car, l’auto senza conducente di Mountain View.

In conclusione, le sfide per le connected car, e per chi fa parte dell’ecosistema che ne supporta la realizzazione, sono moltissime e per la maggior parte di esse non c’è ancora una risposta univoca. Di certo gli utenti non disdegnano un futuro a base di macchine connesse: recenti dati mostrano come l’80% degli utenti si aspetti di poter trovare nelle auto la stessa “esperienza di connettività” che sperimenta con la banda larga domestica e su mobile, ma soprattutto conta di poter avere strumenti di diagnostica, con il 73% che spera di controllare lo stato di “salute” delle macchine sui device mobili soprattutto prima e durante viaggi lunghi.

Questi dati positivi, però, non devono rendere miopi (se non ciechi) gli attori della filiera: il rischio è di ritrovarci con auto che non dialogano davvero tra loro o con le infrastrutture stradali, con costi di connettività che non vuole pagare nessuno e con preoccupazioni diffuse sulla sicurezza che rischiano di minare la corretta penetrazione del mercato. Anche perché per la retinopatia ipertensiva non esiste alcuna medicina.

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