Perché il caso #ENIvsReport impone qualche riflessione obbligata

In queste ore stanno emergendo una serie di analisi interessanti su quanto accaduto nell’ultima trasmissione di Report, in cui si parlava di ENI e di una (presunta) maxi-tangente pagata per operare in Nigeria; mentre andava in onda il servizio televisivo di Luca Chianca, l’account Twitter di ENI ha cominciato a rispondere punto per punto alle accuse mosse dal servizio alla multi-nazionale. Il che ha determinato, nelle ore successive, l’innescarsi di un dibattito nel dibattito: quello tra gli esperti che elogiavano l’azione di ENI e chi, invece, tendeva a ridimensionare quanto accaduto.

Tra chi si straccia le vesti e grida al miracolo e chi invece guarda il tutto con distacco, mi sembra il caso di riportare alcune riflessioni tra le più interessanti circolate in rete nelle ultime ore: il botta e risposta di ENI, che ha scelto un social network, Twitter, per far sentire la sua voce, è stato indubbiamente ottimo e ben orchestrato, un’azione di crisis management molto ben studiata, ma solleva una serie di elementi che è bene mettere al centro del dibattito:

  • Il caso dimostra il ritardo del nostro paese rispetto agli altri: Stefano Epifani, docente di Social Media Management alla Sapienza di Roma e nostro direttore, intervistato sul Fatto Quotidiano, afferma che “il clamore che c’è intorno alla risposta di Eni la dice lunga sulla capacità di interpretare i nuovi media nel nostro paese. Il responsabile relazioni esterne di Eni è stato molto bravo e ha fatto un’operazione magistrale. In altri contesti non sarebbe stata un’eccezione. Negli Usa il fatto che un’azienda replichi in diretta è normale. In Italia no, e quello di ieri è stato un vero e proprio punto di passaggio”.
  • Il mondo dell’informazione deve attrezzarsi di conseguenza? In futuro sicuramente: Massimo Mantellini scrive sul suo blog che “bene ha fatto Eni a raccontare la propria visione, tanto più nei confronti di un programma come Report la cui fama di ‘macchina per il giornalismo a tesi’ ha ormai da tempo numerosi e solidi riscontri”; precisa poi che “tuttavia il punto di vista di Eni non è ‘altro giornalismo’, è il punto di vista della grande azienda” e in quanto tale crea una narrazione del proprio punto di vista. Il giornalismo, quello che cerca di narrare dei fatti tramite inchieste, dovrà rispondere alle contro-narrazioni delle parti coinvolte? Nell’immediato forse non è necessario ma guardando il problema sul lungo periodo potrebbe addirittura diventare indispensabile.
  • Il crisis management è indispensabile e questa, se ce ne fosse bisogno, ne è ulteriore prova: se ENI non avesse espresso il proprio punto di vista su un altro media probabilmente ci sarebbe stato un danno di immagine importante, come successo con il caso Moncler, sollevato sempre da Report, nel quale l’azienda non mise in piedi nessuna forma di crisis management tempestiva ed efficace come ha fatto ENI in questo caso. Infatti, come sostenuto da Wired, “Report è uno dei più noti esempi di second screen in Italia: è tra i programmi più commentati e spesso le informazioni emerse possono generare delle crisi per i brand coinvolti. È quindi interessante la decisione di Eni di inserirsi all’interno delle conversazioni sul programma”.
  • È sostanzialmente inutile confrontare i numeri televisivi con quelli di Twitter: sempre Epifani, ricorda che  quella piccola comunità che viene raggiunta su Twitter, fatta di qualche centinaia di migliaia di account, è molto più piccola di quella televisiva che invece insiste su milioni di spettatori; la differenza sostanziale, però, è che quella piccola comunità “non è fatta solo di utenti normali e comuni spettatori ma da influencer che possono avere un peso diverso. Una dimensione di retroazione che è importante considerare”. Proprio per questo è quindi inutile paragonare il numero di utenti di Twitter con l’audience televisiva.
  • È la prima volta in Italia che si vede un’azione così strutturata: è l’opinione di Giovanni Boccia Artieri che, intervistato da Simone Cosimi su Repubblica, afferma che prima “ci si limitava a rispondere in tempo reale ma senza strategie di fondo, senza contenuti e spesso rischiando di produrre più danni che benefici in termini d’immagine, gestione della crisi e reputazione online. Sarebbe tuttavia interessante capire come si sia generato questo fenomeno e soprattutto come si sia propagato, grazie al sostegno diretto o indiretto di quali influencer”. Si tratta, in sintesi, di un nuovo modo, più curato, di fare crisi management.
  • Il caso dimostra la fine dell’unidimensionalità del giornalismo: è quanto sostiene dal suo blog Mario Tedeschini Lalli, il quale afferma che “quanto successo domenica 13 dicembre 2015 è la dimostrazione plastica che il campo giornalistico non è più unidimensionale, non siamo più “soli”: i servizi giornalistici entrano in un continuum informativo pubblico dove agiscono anche altri soggetti, cioè i cittadini cui è indirizzata la comunicazione e le “fonti” stesse. In altri tempi si è chiamato il fenomeno “disintermediazione”, ma sembra che noi giornalisti facciamo una fatica terribile a comprenderlo e a comportarci di conseguenza”.

In conclusione, con la sua “contro-narrazione” (più che contro-informazione) ENI potrebbe aver arginato un danno di immagine? Ci sono tutti gli indizi che indicano di si ma è presto per tirare le conclusioni finali: è lecito però supporre che in prospettiva le aziende saranno chiamate a guardare con maggiore attenzione le dinamiche della social tv e, in generale, al potere conversazionale dei social media: una una sfida per entrambe le parti, che coinvolge sia aziende che giornalisti.

Del resto, sugli impatti della narrazione e della contro-narrazione ci aveva già avvisato Lynn Smith nel 2001 con un articolo sul Los Angeles Times passato alla storia dal titolo “Not The Same Old Story”: “Una volta, si diceva sempre: «È solo una storia, dammi i fatti» […] ora molti cominciano a realizzare che le storie possono avere degli effetti reali che devono essere presi sul serio” e la contro-narrazione messa in piedi da ENI in tempo reale, sembra confermarlo.

 

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