Fernanda Faini è la prima donna nominata Presidente del Circolo dei Giuristi Telematici, la più antica associazione di giuristi “digitali” nata con lo scopo di studiare e promuovere le iniziative legate al diritto dell’informatica e all’informatica giuridica.
Eletta per acclamazione, la giurista fiorentina sostituisce l’avvocato Giovanni Battista Gallus e guiderà il circolo per i prossimi due anni insieme a Giorgio Battaglini vicepresidente, Paolo Lessio tesoriere, Giovanni Mameli segretario e Luigi Rufo responsabile media.
Fernanda Faini è responsabile dell’assistenza giuridica su amministrazione digitale e open gov in Regione Toscana, collabora nell’insegnamento di Informatica giuridica presso l’Università degli Studi di Firenze ed è dottoranda in Scienze Giuridiche presso l’Università di Bologna (CIRSFID). “Mi occupo per professione e passione dei rapporti fra diritto e nuove tecnologie e innovazione – afferma Fernanda Faini – in particolare dell’amministrazione pubblica: l’impegno è volto alla costruzione di una pubblica amministrazione digitale e aperta, un reale open government italiano. Nel mio lavoro, l’amore per il diritto si è unito a quello per le nuove tecnologie, perché a mio avviso anche in questa relazione è il nostro futuro”.
Quale il ruolo dell’associazione e i prossimi impegni già in programma?
Nella rapida evoluzione che ha caratterizzato la società, la relazione dinamica fra diritto e informatica ha riguardato ambiti disciplinari diversi, coinvolgendo innovazioni che hanno plasmato la nostra contemporaneità. Il Circolo, che da qualche giorno ho l’onore di presiedere, vanta al suo interno competenze che abbracciano i diversi rami del diritto sui quali le tecnologie hanno inciso, caratterizzandosi per una profonda multidisciplinarietà. Lo stesso convegno che si è tenuto sabato scorso a Roma, organizzato dal Circolo, sul tema “10 anni di diritto dell’informatica: come le tecnologie hanno cambiato il diritto” con il patrocinio di ANORC e di CSPT (Centro Studi Processo Telematico) ha disegnato, attraverso i contributi dei relatori, i cambiamenti più significativi che l’informativa ha portato nei diversi rami del diritto, trattando temi quali identità digitale, diritti della rete, FOIA, big data e open data, privacy, sanità digitale, tributi e nuove tecnologie, informatica forense, avvocato digitale e processo telematico. Il nostro impegno per l’Associazione sarà caratterizzato da passione ed entusiasmo, con la volontà di continuare ed estendere le iniziative e le attività che il Circolo ha portato avanti negli anni grazie all’ottimo lavoro del precedente direttivo che era composto da avv. Giovanni Battista Gallus, avv. Marco Cuniberti, avv. Emanuele Cavanna, avv. Ottorino Agati e dalla sottoscritta che ricopriva la carica di responsabile dei media. L’obiettivo del prossimo bienno consiste nel potenziare e ampliare il ruolo dell’Associazione nel mondo del diritto e nella società stessa, intensificando i rapporti con altre associazioni e realtà, con l’obiettivo comune di creare una solida consapevolezza giuridica “digitale”, elemento imprescindibile per i giuristi, gli operatori del diritto e, più ampiamente, per tutta la società contemporanea. Il diritto, infatti, deve essere capace di regolare la realtà odierna, pervasa dalle tecnologie e dall’innovazione: il diritto dell’informatica è il diritto che regola il futuro, mentre va a formarsi.
Cosa pensi della modifica al CAD? Quanto secondo te potrebbe essere importante un coinvolgimento maggiore dei diversi attori istituzionali e non?
Credo sia importante fare attenzione ad un aspetto: ciò che si va a riformare, ossia il codice dell’amministrazione digitale. “Codice” non è una parola casuale: un codice per essere tale deve avere delle caratteristiche di organicità, esaustività e solidità. Deve trattarsi quindi di un corpus organico, completo, realmente autonomo e sistematico all’interno del nostro ordinamento giuridico: nel caso dell’amministrazione digitale sarebbe necessario un testo snello costituito da principi generali e poi le regole tecniche relative alle disposizioni specifiche, al fine di garantire certezza e chiarezza del diritto. Passando ad esaminare la riforma, il decreto approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, in conformità alla legge delega (legge 124/2015 – c.d. Riforma Madia) contenuta nell’art. 1 rubricato significativamente “Carta della cittadinanza digitale”, prevede modifiche e integrazioni nella direzione di fortificare e rendere maggiormente effettiva la cittadinanza digitale. In tal senso, sono da leggere con favore le modifiche all’art. 3, relativo al diritto all’uso delle tecnologie, ampliato e fortificato, le modifiche all’art. 7, relativo alla qualità dei servizi resi e alla soddisfazione dell’utenza, la modifica dell’art. 8 che sostituisce all’ «alfabetizzazione digitale» la «cultura digitale», l’art. 9, relativo alla partecipazione democratica elettronica, che vede un ampliamento soggettivo e oggettivo. Accanto ad aspetti molto positivi come quelli citati, alcune modifiche lasciano qualche perplessità come l’assenza di misure premiali, utili ad incentivare le amministrazioni, al fine di garantire un livello minimo di servizi online e quindi la possibilità per i cittadini di agire i diritti digitali, e la mancata espansione dei principi di trasparenza, partecipazione e collaborazione pilastri dell’open government, seppur la legge delega faccia esplicito riferimento alla realizzazione dell’amministrazione digitale e aperta. Inoltre, per garantire effettività ai diritti digitali, è necessario un forte coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali come nell’originario modello “partecipato” previsto dal Codice: al riguardo è importante mantenere un forte ruolo alle Regioni che devono promuovere sul territorio azioni tese a realizzare un processo di digitalizzazione dell’azione amministrativa coordinato e condiviso tra le autonomie locali. Questo ruolo di regia è strategico e funzionale a poter svolgere azioni e progetti condivisi tra gli enti locali e a garantire soluzioni omogenee, con indubbi benefici per gli utenti, soggetti sui quali è incentrata la prospettiva della Riforma. Infine per quanto attiene all’open source, l’art. 55 non modifica il favor previsto, dato che lascia invariati i commi 1-bis e 1-ter, ma abroga altri commi dell’art. 68, in particolare l’art. 2, 2-bis e 4, venendo a perdersi l’accento su alcuni aspetti significativi quali modularità, interoperabilità e cooperazione applicativa, eliminando un riferimento esplicito al repertorio dei formati aperti e indebolendo la cogenza del riuso di soluzioni per le amministrazioni centrali.
Last but not least, a mio avviso sarebbe necessario prevedere nel Codice un coinvolgimento preventivo e obbligatorio (seppur non vincolante) degli stakeholders negli interventi relativi alla normativa in materia, in considerazione della necessità di competenze e approcci diversi e dell’impatto trasversale che hanno le disposizioni del CAD. La consultazione e l’approccio multi-stakeholders in materia, idoneo a coordinare attori istituzionali e privati, è fondamentale per ottenere norme più condivise e maggiormente effettive.
Questa settimana è stato presentato SPID. Pensi ci siano ostacoli non previsti rispetto all’ottimismo delle previsioni di diffusione?
Il Sistema Pubblico per l’Identità Digitale (SPID) è uno strumento teso a semplificare la vita dei cittadini e il rapporto degli stessi con la pubblica amministrazione. Tassello fondamentale per accedere ai servizi in modo semplice e sicuro, deve però, per raggiungere pienamente il suo scopo integrarsi necessariamente con la reingegnerizzazione dei servizi della pubblica amministrazione e con la messa a disposizione di servizi semplici e funzionali. A tal fine è necessario che in ottica di effettivo open government i servizi siano co-progettati e realizzati con la partecipazione e la collaborazione degli utenti. Sullo SPID alcuni possibili ostacoli possono venire da aspetti particolarmente delicati, quali la sicurezza e l’accreditamento degli identity provider, profili sui quali sono state sollevate alcune perplessità da parte degli esperti in materia.
E’ recente la presentazione della proposta di legge sulla sharing economy che ha fatto nascere un dibattito sul ruolo della normazione rispetto all’innovazione. Quale la tua opinione a riguardo? Come può la normazione aiutare l’innovazione (senza arginarla quindi)?
Il fenomeno della sharing economy è un innovativo modello di condivisione e collaborazione che, basandosi sulle opportunità offerte dalle tecnologie, crea connessioni dirette fra persone al fine di scambiare beni e servizi. Oggi è tematica al centro del dibattito, in considerazione delle opportunità relative a nuovi modelli di sviluppo e di consumo che possono portare a un incremento della fiducia e della coesione sociale, ma anche a nuovi rischi da contenere ed arginare, quali la riduzione dei posti di lavoro, la fornitura di servizi che sfuggono alla regolamentazione con possibili profili di concorrenza sleale e il disgregarsi del lavoro con impatti sulle garanzie dei lavoratori. Cosa può fare la normazione? Beh ubi societas, ibi ius, dicevano i latini. Dove c’è una società, là c’è il diritto: ogni società non può che fondarsi sulla regolamentazione offerta dal diritto. E attualizzerei dicendo: laddove va la società, là deve andare il diritto. Ed ecco che nella società contemporanea, la società dell’informazione e della conoscenza caratterizzata dal ruolo centrale svolto dalle tecnologie, il diritto si trova a regolare l’innovazione e anche il nuovo fenomeno della sharing economy. Sfida inedita e complessa, ma il diritto deve assolvere al proprio compito ed essere capace di regolare la società odierna, plasmata profondamente dall’innovazione.
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